L’influenza degli aspetti psicologici su quelli fisici, è ormai nota anche se purtroppo ancora non se ne conosce l’entità: basti pensare che un terzo dei concepimenti avviene durante la fase degli accertamenti diagnostici per l’infertilità o durante il periodo di attesa delle procedure di PMA, come se la possibilità di affidarsi al medico riducesse di per sé le ansie e le preoccupazioni della coppia.
Il percorso della coppia che affronta un problema di infertilità e che ricorre alle tecniche di procreazione mediamente assistita può a lungo andare, diventare sfibrante per i due partner.
Gli stress possono permanere a lungo dopo la conclusione delle procedure, anche se il percorso ha esito positivo.
La coppia vive una profonda solitudine e spesso non sa con chi parlare.
I due partner affrontano molte prove a cominciare dai molti accertamenti medici che vengono richiesti, alla difficoltà di reperire informazioni chiare, alla fatica di parlarne con amici e parenti, al sentimento di isolamento sociale che può manifestarsi, alla dimensione luttuosa con cui la coppia si confronta legato alla perdita della possibilità di avere un bambino naturalmente.
E’ molto importante che il medico sia preparato ad accogliere la coppia nella complessità di ciò che sta vivendo, che conosca le dinamiche che si determinano quando un figlio che si desidera tarda ad arrivare, o che si innescano con un percorso di fecondazione assistita.
La coppia si prepara a “contenere” un bambino ed è molto importante che si senta “contenuta” simbolicamente nella mente dell’operatore che si prende cura di lei.
Avere una cultura delle relazioni non significa soltanto mettere la coppia (e non la donna!) al centro del percorso di PMA ma poterla guardare nella complessità del suo progetto esistenziale: significa tenere presente la fase del ciclo vitale in cui si trova; conoscere le dinamiche che si possono innescare tra i partner durante la preparazione, il trattamento, l’attesa; avere presente l’importanza del contesto allargato nel quale la coppia è inserita e la qualità dei rapporti dei partner con le famiglie d’origine; conoscere i meccanismi difensivi e l’impatto devastante che può avere un fallimento; sapere che per accogliere un bambino, ci vuole un nido, fatto di condivisione e di sostegno reciproco.
Dare valore alla dimensione relazionale della cura, oltre a contribuire alle percentuali di successo delle gravidanze, rappresenta un fattore protettivo che può aiutare, qualora il percorso non portasse al risultato sperato, ad avere più possibilità di superare la perdita. Il “successo”, infatti, non può essere rappresentato solo dalla gravidanza, ma anche dalla possibilità per quella coppia di sopravvivere alla fatica delle cure, all’angoscia, all’incertezza e al dolore di un lutto.
Immagine: Ttozoi