di Michela La Torre, psicologa, allieva in formazione quarto anno IAFF.
Estate 1983. Nelle soleggiate e sognanti campagne del cremasco, il giovane ed introspettivo Elio Pearlman è solito trascorrere le sue interminabili giornate nella villa di famiglia dividendosi tra la lettura, la musica, le uscite con gli amici e la compagnia della fidanzata Marzia.
In questo clima dolcemente sopito, l’arrivo dell’americano Oliver, studente straniero spigliato ed esuberante, risveglierà in Elio il calore di una scoperta, forse inattesa, che cambierà profondamente la sua vita. Tutto, infatti, prende inaspettatamente un’altra piega, il desiderio lascia senza fiato e si insinua a poco a poco, ti prende dove non te l’aspetti, spiazza ciò che sei o credi di essere e ti porta dove non sai di volere andare, in quella stagione potente e incerta che è l’adolescenza, quando tutto è possibile e tutto è terribilmente difficile.
È meglio parlare o tacere al costo di morire? È il dilemma che si pone Elio, non sapendo se esprimere il proprio tormentoso sentimento di attrazione e desiderio verso il più grande e maturo Oliver.
La madre apre la strada donando al figlio una mappa: si può parlare dei propri sentimenti, si può dire all’altro cosa proviamo, anche assumendosi il rischio di un rifiuto, di una sofferenza.
Perché l’amore in Call Me by Your Name è il frutto da cui poter apprendere e fare esperienza, si insinua nelle trame della storia in cui un adolescente sta cercando il suo posto nel mondo, alla ricerca di uno spazio tutto per sé da abitare.
Dai corpi marmorei dei protagonisti, ai paesaggi della natura incontaminata, le immagini rappresentano pienamente un’espressione idealizzata del primo innamoramento giovanile, una dimensione intima e poetica, a metà tra il sentimento puro e l’attrazione erotica, che penetra sotto la pelle e conduce ad un crogiolo di passioni che le parole non riescono ad esprimere.
È in questa tensione che si trovano i due protagonisti, è in questo groviglio che il loro studiarsi diventa un gioco reciproco di sguardi e agiti, perché la purezza dell’impulso a essere sé stessi, qualunque cosa l’assecondarlo comporti, ci spinge a non rifiutare nulla ed a viversi fino in fondo ogni brivido.
L’incapacità a sottrarsi alla fiamma che brucia, il denudarsi via via che si diventa sempre più vicini fino ad arrivare a denudare l’altro, porta al momento in cui si scopre una persona con la quale si riesce a diventare davvero ciò che si è. Chiamami col tuo nome e io ti chiamerò col mio, dice Oliver a Elio, espressione che rappresenta l’apice dell’intimità, quella capacità di entrare nello spazio dell’altro senza le protezioni, le sovrastrutture, le vie di fuga e le scorciatoie che da adulti mettiamo in atto quando ci avviciniamo a qualcuno.
Ma il film è anche un approccio al tema della sofferenza, con lo scorrere del tempo che scandisce il tramonto di un’estate che porta con sé anche la fine di quel sogno adolescenziale.
L’importante però è viverselo fino in fondo e non chiudergli le porte, perché, come spiegherà saggiamente il padre di Elio, molti adulti perdono quell’incoscienza crescendo, diventando sempre più aridi e meno avvezzi all’ascoltare e ad alimentare il proprio fuoco interiore.