Questo articolo è stato scritto da Luca Pappalardo, socio fondatore, didatta IAFF, insieme agli allievi IAFF Marco Cappellini, Antonella Concordia, Ilaria Di Matteo, Chiara Martucci, Martina Peruffo, Giulia Panesi, Giulia Tatulli, Marta Simonetti, Francesca Sorbo.
“ […] Oggi passato e futuro si incontrano
e si confondono.
Gli uomini che un tempo vi guidavano
oggi vi seguono.
Vi seguono lungo il Viaggio della Transumanza
sentiero della vita
tratturo di speranza […]”
“2 luglio 2011”, Catia Clementi
La parola “transumanza” deriva dal verbo transumare,
ovvero attraversare (dal latino “trans” = al di là e “humus” = terra);
porta con sé il concetto di migrare inseguendo il ritmo delle stagioni,
alla ricerca del clima perfetto,
del pascolo migliore,
quello in grado di assicurare al gregge nutrimento e benessere.
Premessa
Il progetto di intervento clinico descritto in questo articolo è stato presentato da un gruppo di lavoro costituito a pochi mesi dal residenziale dell’Istituto di Alta Formazione e di Psicoterapia Familiare di Firenze svoltosi ad Amatrice nell’ottobre del 2019, dopo la morte di Rodolfo de Bernart, storico direttore dell’I.T.F.F, avvenuta nel febbraio dello stesso anno.
L’Amministrazione Comunale, che ci ha fornito un importante supporto logistico, aveva proposto allo IAF.F., nel segno dell’antico baratto e della logica propria del legame affettivo del dare, ricevere e ricambiare, di restituire un elaborato con una un’analisi critica della realtà del territorio e dei suoi abitanti ed un’ipotesi di intervento vicina ai nostri saperi.
Abstract
E’ l’esperienza del trauma unita alla sofferta ricerca di speranza a tracciare le linee del progetto presentato in questo articolo. “Dedicato ad Amatrice” si è posto l’obiettivo di intercettare i bisogni singoli e collettivi della popolazione di Amatrice e di proporre una risposta efficace ad essi. Le risonanze emotive suscitate dall’esperienza nei luoghi del terremoto, rielaborate secondo l’ottica sistemico-relazionale, orientano l’intero progetto, che si articola su due macro aree. La prima è dedicata ad un’accurata analisi contestuale che si sviluppa su quattro tematiche ripercorrenti la storia, il valore simbolico e quello psicoaffettivo della sofferenza vissuta dall’intera comunità amatriciana. Nella seconda parte, viene presentata una doppia modalità di azione: alla mediazione sociale umanistica di Jacqueline Morineau, finalizzata alla creazione di un comune spazio di elaborazione del dolore individuale e collettivo, si associa un modello di intervento di derivazione anglosassone, volto a coinvolgere i cittadini nell’opera di ricostruzione e ad aumentare i livelli di benessere psicologico e sociale.
The experience of trauma combined with the painful search for hope traces the lines of the project presented in this article. “Dedicated to Amatrice” aims to intercept the individual and collective needs of the population of Amatrice and proposes an effective response to them. The emotional resonances aroused by the experience in the places of the earthquake, re-elaborated according to the systemic-relational perspective, are the guide of the entire project, which is divided into two macro areas. The first is dedicated to an accurate contextual analysis that develops four themes that retrace the history, symbolic, emotional value of the suffering experienced by the entire Amatrician community. In the second part, a double mode of action is presented: the humanistic social mediation of Jacqueline Morineau, aimed at creating a common space for the elaboration of individual and collective pain, and an Anglo-Saxon model of intervention, that involves the citizens in the reconstruction work and increases the levels of psychological and social well-being.
Parole chiave: trauma, terremoto, Amatrice, modello sistemico-relazionale, ricostruzione, empowerment individuale e collettivo, mediazione sociale umanistica
Introduzione
La Transumanza è un viaggio tra passato e futuro che si prende cura del legame con la terra e tra le generazioni. Un cammino da riprendere sotto una diversa forma ma con la sua antica sostanza. E’ questa l’allegoria suggestiva che abbiamo scelto per sintetizzare il senso del progetto d’intervento che abbiamo prospettato alla città di Amatrice.
Alle 3:36 del 24 agosto 2016 tutto è cambiato ad Amatrice. Il tempo si è fermato. In pochi minuti sono scomparsi luoghi, sono morte persone, si sono spezzati legami; insieme agli edifici, si è lesionato anche il modo di appartenersi di un’intera comunità.
Nel camminare lungo le strade della città e in particolare nella “zona rossa”, la vista delle macerie che un tempo erano le case e i luoghi di incontro degli abitanti, hanno generato sentimenti di dolore e di rabbia, espressi con le lacrime della compassione. Un senso di impotenza pervadeva l’aria: Amatrice non sembrava aver perso soltanto la sua struttura esteriore, ma anche quella interiore, la sua identità. Il devastante terremoto aveva distrutto i luoghi che da sempre sono stati fonte di identificazione personale dei cittadini: la popolazione sembra vivere ora in uno stato di disorientamento, dove la perdita dei punti di riferimento rischia di farla sentire straniera nella propria casa.
Con questo nostro progetto d’intervento abbiamo prospettato alla cittadinanza di poter vivere nuovamente Amatrice come “Casa”, uno spazio e un tempo in cui la sensazione di perdita e di frammentazione possano divenire opportunità di trasformazione del dolore, di ri-connessione alla memoria e ai legami con l’altro e di ricostruzione di un nuovo senso di appartenenza alla propria terra.
Analisi del contesto e dei bisogni
Noi dello IAF.F che abbiamo associato il nostro logo al simbolo della “Casa”, speranza della ripartenza e etica delle relazioni, con la presentazione di questo progetto alla città di Amatrice, desideriamo ricambiare con i nostri strumenti – l’ascolto, l’analisi del contenuto delle produzioni discorsive, l’osservazione del contesto, l’ipotizzazione, la restituzione di senso, le indicazioni potenzialmente operative ai fini di una possibile trasformazione – quanto abbiamo appreso durante l’esperienza sul campo.
La raccolta delle testimonianze è stata elaborata attraverso una tecnica di analisi del contenuto delle interviste raccolte. Siamo così pervenuti all’individuazione di aree tematiche trasversali ai vari argomenti trattati e alla narrazione di ciascun soggetto (Ghiglione et al., 1980; Pappalardo, 2020).
Quattro sono i nuclei tematici che emergono dall’analisi compiuta, che di seguito sintetizzano il senso complessivo emergente.
- Tempo e spazio
Il comune di Amatrice è costituito da sessantanove frazioni, anche se, in seguito alle scosse sismiche, la frammentazione è certamente più emotiva che geografica.
Ogni territorio è depositario di una cultura in cui l’uomo e il suo ambiente si co-costruiscono e così si appartengono e si identificano.
Per tale motivo, entrare ad Amatrice e cominciare a conoscerla permette di stare in contatto non solo con il territorio concreto ma con il topos, inteso come l’insieme di territori reali e luoghi mentali costituiti da elementi psichici, storici e antropologici.
Per analogia al legame familiare, possiamo plausibilmente ipotizzare che: da una parte, la cultura del territorio rimanda alla dimensione etica dei valori e delle idee di riferimento con cui si tramanda il senso di appartenenza o la volontà di cambiare e di differenziarsi; dall’altra, per una comunità sociale il concetto di temporalità sia uno degli elementi chiave con cui si trasmette l’approccio alla vita.
Nei legami generazionali il tempo si intravede anche nel ripetere gesti e modi dell’abitudine familiare oppure nell’innovare qualcosa che è stato tramandato ma che deve essere riattualizzato in forme contemporanee per potersene appropriare davvero. Queste dimensioni, la significatività dello spazio come elemento della cultura e la gestione del tempo, fanno da riferimento per indagare la qualità delle relazioni di appartenenza (Scabini & Cigoli, 2000).
Dopo il dramma del terremoto, il tempo sembra aver assunto una forma circolare in cui ogni processo evolutivo del ciclo di vita della città e delle persone che la abitano esiste e procede a fatica.
La popolazione descrive con varie sfumature una sorta di avvilimento, dove la mancata elaborazione dei traumi e dei lutti fa sì che il doloroso tempo passato riempia completamente il tempo presente senza fondate speranze per il futuro.
Il forte scoraggiamento nei confronti del futuro e la sfiducia riportati, nel poter rilanciare l’economia della cittadina distrutta, come nel rinsaldare i legami sociali al suo interno, hanno anche motivazioni antecedenti al sisma. Si tratta, infatti, di una situazione di spopolamento e concentrazione di una popolazione anziana, comune a tanti altri borghi del centro-sud Italia. I problemi reali e pragmatici del popolo amatriciano sommano vecchi e nuovi bisogni di far ripartire un’economia e un tessuto sociale, per forza di cose, prossimo alla disgregazione.
Pertanto, si percepisce forte dalle loro parole la necessità di una cura e di una ragione plausibile per la “Restanza” (Teti, 2011), ovvero quella posizione di chi decide di restare, rinunciando a recidere il legame con la propria terra e comunità d’origine, non per rassegnazione ma con un atteggiamento propositivo.
- Memoria e legami generazionali
Nella nostra esperienza clinica – nelle situazioni segnate dal dolore mentale, connesso ad ingiustizie e ferite subite, e dai conflitti intrapsichici ed interpersonali che ne derivano – un primo passaggio trasformativo nelle famiglie è permesso dalla condivisione del vissuto e dalla narrazione reciproca degli eventi e dei significati connessi e delle esperienze affettive e identitarie.
Queste esperienze che l’Io compie danno forma all’identità: narrare eventi che fanno riferimento a una memoria comune crea una storia coerente, che ha potenzialità di unione e creazione di un senso di appartenenza. La narrazione non è dunque solamente creatrice di un’identità individuale, ma anche di un’identità collettiva, culturale, comunitaria: l’identità di un luogo.
Il bisogno di costruzione e di continuità della memoria storica di questo luogo è riportato in fieri dalla popolazione e garantito solo in parte dalle storie custodite da un gruppo di nativi, che credono ancora nelle risorse della comunità.
Al di là dell’importanza di queste figure storiche di riferimento, emerge latente il desiderio di un dialogo fra le diverse generazioni, che non esclude la contrapposizione e l’ambivalenza, ma le sa assumere in vista di una soluzione. Nel famigliare come nel comunitario, pensiamo pertanto che sia importante rilanciare il patto tra le generazioni, per recuperare la continuità di un’identità e dei valori/esperienze che la fondano e permettono la differenziazione e l’evoluzione. Questo obiettivo comporta lo scegliere azioni concrete e simboliche volte a ricominciare a far sentire le nuove generazioni dentro un cammino comune, una storia condivisa, dove il bene interpella continuamente la responsabilità di ciascuno.
In conclusione, come nella patologia familiare, la crisi è occasione di rilettura degli eventi significativi per la cura dei legami e la trasformazione degli individui.
Ipotizziamo che degli interventi forti dal punto di vista simbolico ed affettivo siano in grado di fronteggiare gli effetti del trauma collettivo. Queste intense esperienze potrebbero contribuire alla riscoperta di un potere d’azione condivisibile, capace di riconnettere tra loro storie, persone, luoghi e memoria, promuovendo un’ottica di empowerment individuale e sociale.
- Il dolore inespresso e l’alterità
L’incontro con molti testimoni, che hanno vissuto il sisma, ci ha permesso di cogliere il profondo smarrimento e il senso di impotenza vissuto dal popolo di Amatrice.
Malgrado la solidarietà e l’attenzione che hanno fatto seguito al sisma, gli interventi d’aiuto sembrano essere stati percepiti come “pacchetti preconfezionati” dagli abitanti che, probabilmente, non si sono sentiti né visti né riconosciuti nel loro bisogno di partecipazione alla ricostruzione.
Si potrebbe ipotizzare che l’Altro sia stato percepito come un estraneo che non sapeva, non poteva capire, non c’era, che non aveva perso niente.
Divisa tra la riconoscenza per l’aiuto ricevuto e un senso di solitudine per i propri bisogni non riconosciuti, tra l’illusione di poter bastare a se stessa e la delusione di essere stata abbandonata dopo i primi momenti, Amatrice vive una profonda ambivalenza.
Inoltre, ad una prima fase di profonda idealizzazione e vicinanza, è seguita una divisione interna alla comunità, in cui gli individui e le famiglie hanno cominciato a confliggere sulle rispettive differenze. Questo ha minato il clima di iniziale condivisione ed iper-investimento nella comunità.
Con l’ingresso delle differenze, ciò che inizialmente univa è diventato quello che separa. La “famiglia amatriciana” si è trovata, verosimilmente, a convivere con fantasmi di perdita, chiudendosi dentro i rigidi confini del proprio sistema per auto-conservarsi ed evitare la disgregazione.
Ad un ulteriore livello di analisi, quello individuale, si ha l’impressione che il vissuto interno di molti amatriciani sia caratterizzato da una serie di dicotomie: l’essere fisicamente tra le macerie vs la percezione interna di far parte di qualcosa di ancora perfettamente integro; il prima e il dopo; il senso di impotenza vs la sensazione di essere indispensabile; gratitudine vs rabbia; sollievo di essere vivi e senso di colpa per essere sopravvissuti; diffidenza verso l’esterno/estraneo e iper-investimento idealizzante verso la propria comunità.
- Il sacro e la ritualità
“La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo” (Matteo 21,33).
Il passo evangelico sovviene alla mente quale codice per leggere l’incastro tra lo spettrale spettacolo delle macerie, che colpisce gli occhi e l’anima, ed il bisogno di conforto e di pace. La materia appare così precaria e allo stesso tempo immutabile e ferma – quasi come, paradossalmente, si trattasse di qualcosa di sacro da contemplare – che impone la distanza, qualcosa che non sia opportuno toccare in maniera immediata o ignara. L’incastro tra il dolore e la speranza, tra la crisi e la catarsi, è il cuore simbolico dell’azione della tragedia greca, riferimento culturale della mediazione umanistica, uno degli interventi che proponiamo in questo progetto.
Non deve stupire il riferimento al sacro. Uno dei suoi caratteri consiste nel fatto che esso appare come una qualità che può essere propria delle cose più varie, come i luoghi, il tempo, alcune azioni come i riti, gli oggetti, perfino le macerie. Antropologicamente il sacro interviene come mediatore di senso del rapporto tra la morte e la vita. L’etimologia della parola, d’altronde, rende meno improbabile l’associazione che è sopraggiunta nelle menti di molti di noi. Sacro (sbarrare, interdire ma anche elevare ed ancora avvincere, aderire) è un termine poliedrico, che indica una categoria di significati e realtà, che si aggiungono e si contrappongono a ciò che è ordinariamente percepito come profano. Il sakros così sancisce un’alterità, rispetto all’ordinario, al comune. L’esperienza del sacro è indissolubilmente legata allo sforzo compiuto dall’uomo per costruire un mondo che abbia significato. Anche rispetto a ciò che è appunto “sbarrato”, “interdetto” al senso, ciò che è terrificante e irrazionale. In questo tentativo di conciliare gli opposti, il sacro è sempre ambivalente (da cui il doppio significato del latino sacer come «sacro» e come «maledetto»), venerato e temuto, benefico e pericoloso. Pensieri e condizioni dell’animo che il popolo amatriciano dice di aver sperimentato in questo tempo complesso. Ciò che manca è semmai la sfida di poter vedere in quelle macerie anche qualcosa in grado di “avvincere” e di “fare aderire”.
I riti, religiosi e laici, riattualizzano lo spirito di coloro che vi aderiscono ed avvicinano il sacro all’umano. E’ per queste ragioni che, nonostante la ferita che ha attaccato questa matrice di significati, ci risulta che gli amatriciani sembrino ricercare comunque una dimensione di ritualità e sacralità laica condivisa. Un tentativo in questa direzione ci sembra possa essere stato quello di ricreare uno spazio artistico – il museo diocesano – quale espressione di una memoria preziosa salvata dalle macerie. Ciò che maggiormente l’ha caratterizzato ai nostri occhi è la sua contemporaneità: un intreccio tra appartenenza all’arte del passato e una differenziazione attraverso canali espressivi innovativi. L’obiettivo verosimile che gli abbiamo attribuito è quello di partire da lontano per lanciarsi nel futuro. Un’allegoria di quello di cui ha bisogno Amatrice.
Queste considerazioni, che sintetizzano i segni rintracciati, introducono il bisogno di un momento di elaborazione collettiva, rituale appunto, di quella ferita allo spirito della comunità che ha rappresentato il terremoto. Scrive Jacqueline Morineau (2000) ne “Lo spirito della mediazione”: “Se rispetto all’espressione della sofferenza ignoriamo la dimensione simbolica, non giungeremo mai al cuore della sofferenza stessa. (…) La mediazione offre una nuova forma rituale alla società postmoderna, poiché essa permette alla sofferenza di esprimersi attraverso un rito iniziatico”.
Pensiamo che Amatrice abbia bisogno di questo rito laico, di una mediazione sociale umanistica: così la pietra scartata dai costruttori potrà diventare testata d’angolo.
Obiettivi
Quanto rilevato e sopra descritto riguardo all’analisi della situazione di Amatrice ci suggerisce di intervenire su due livelli:
- sul bisogno di elaborazione del trauma e della diaspora concreta ed emotiva subita dalla collettività.
- sul ricreare luoghi e tempi di incontro, dotati di senso etico, affettivo e materiale.
L’obiettivo comune ad entrambi i livelli è quello di riconnettere singoli, gruppi, famiglie, generazioni e istituzioni nel ricostruire un’identità umana, spaziale e temporale.
Questa ricostruzione, da una parte di memoria, sentimenti e pensieri assimilabili nelle differenze, dall’altra di un tessuto sociale attraverso il ritrovarsi ed il fare assieme, vuole favorire il senso di appartenenza alla comunità di ieri, dell’oggi e di domani.
Gli interventi
Per perseguire il primo obiettivo pensiamo che debba essere creata un’occasione emblematica, un preciso momento collettivo di “incontro con il dolore e con la speranza”. Un’azione unica ed irripetibile – una sorta di aristotelica “rappresentazione”[1], per unità di tempo, di luogo e di azione – di quanto occorso traumaticamente, attraverso un intervento di mediazione sociale. Questa operazione, condotta sulla base del modello teorico-pratico della mediazione umanistica, fornisce un contenitore spazio-temporale, nel quale convogliare gli elementi della crisi alla ricerca di una catarsi collettiva.
Occorre far condurre tale intervento da operatori specializzati, coinvolgendovi la popolazione di Amatrice.
Per raggiungere il secondo obiettivo, invece, il tempo è quello lungo e prolungato del lavoro psicosociale, condotto in analogia con alcune esperienze internazionali ed in particolare con il Compassionate Frome Project (Abel et al., 2018). Il progetto prevede attività psicologiche e concrete di vario genere – dai laboratori di scrittura autobiografica, a quelli di costruzione di genogrammi fotografici[2] delle famiglie amatriciane, dal progetto di ricostruzione sistematica degli stazzi della transumanza alle health walking o ai talking cafè (per dirla con l’esperienza del progetto pilota iniziato nel Somerset nel 2013) – che realizzano appuntamenti costanti della vita della collettività.
La mediazione sociale umanistica
Troppo spesso la sofferenza, invece di essere un passaggio, diviene uno stato in cui ci si blocca. Ci si aggrappa a tale sofferenza poiché essa diviene l’unica identità rimasta della relazione perduta con persone e con luoghi. Si ignora però che tale stato da permanente può diventare transitorio.
La mediazione umanistica offre una possibilità di favorire questo passaggio, poiché permette di uscire dal passato per ritrovare il presente, di abbandonare i fantasmi creati attorno all’Altro, per incontrarlo nella sua realtà. Solo allora si può ritrovare il legame perduto con l’Altro ma anche con se stessi.
Nello specifico, la mediazione umanistica si fa catalizzatrice della trasformazione e della ricostruzione, partendo dal fondamento stesso dei conflitti esterni ed interni: il caos.
La mediazione umanistica è uno spazio fisico e metaforico che accoglie il disordine, la sofferenza e la separazione. E’ un intervento tecnico ma è anche una sorta di “rito” costruito sulla struttura drammaturgica della tragedia greca, condotto da operatori tecnici che, come il coro greco, attivano e sostengono l’azione del confronto di parola tra i soggetti. Durante la mediazione si rende possibile far evolvere un’energia, che può avere valenze dolenti, aspetti traumatici e perfino un’aggressività distruttiva, in un’opportunità di trasformazione per coloro che vi partecipano. Segue il percorso della drammatizzazione greca: theoria (esposizione del vissuto personale in cui ogni soggetto viene ascoltato senza essere giudicato), krisis (nella quale far emergere il dolore nelle sue varie forme attraverso l’azione dei mediatori che favorisce la reciproca comprensione del pathos sofferto e delle ragioni soggettive) e katarsis (incontro e riconciliazione con le componenti personali rifiutate di sé e dell’Altro). Il mediatore, rispettivamente come il pubblico ed il coro della tragedia greca, da una parte apprende dalla scena, come osservatore di una realtà che non conosce ancora, dall’altra accompagna, sollecita, interroga i protagonisti. La parola è il veicolo che esprime il dramma, attraverso di essa l’importanza del conflitto viene accolta, condivisa e riconosciuta.
L’obiettivo è sviluppare nell’individuo lo “spirito della mediazione,” ovvero, quel “saper fare” e quel “saper essere” nel quotidiano, per poter vivere meglio insieme, nel rispetto delle differenze di ognuno. Ogni individuo potrà così diventare a sua volta catalizzatore del cambiamento e parte attiva nella ricostruzione della propria comunità.
L’Amatrice Compassionate Care Project
Per coniare una formula del contenitore degli interventi e delle proposte che nella nostra prospettiva dovrebbero riconnettere il tessuto comunitario di Amatrice, abbiamo preso a prestito il titolo del programma che, nel 2013 a Frome, cittadina del Somerset, ha fortemente ridotto la spesa sanitaria di quell’area, puntando a contrastare l’isolamento sociale degli abitanti e ricreando una capacità aggregativa di quella comunità.
In sostanza il Frome Medical Practice, una politica di interventi posta a servizio della popolazione, ha adottato l’approccio innovativo di combinare le cure mediche di routine con un programma di cure “compassionevoli” di comunità per lo sviluppo della comunità stessa.
Nella nostra prospettiva l’aggancio a questa esperienza pilota risiede intanto nel considerare il concetto di cura, come lo definisce l’OMS. Allo stesso modo l’espressione “compassionevole” può essere colta nell’accezione etimologica, particolarmente calzante all’analisi psicosociale che abbiamo sopra illustrato, di “sentire con l’Altro”, di condividere il sentire psico-emotivo degli altri cittadini, quale elemento indispensabile per quel progetto di rilancio del senso di appartenenza solidale alla comunità e di speranza in un futuro possibile attraverso il fare comune.
L’importanza del fare
Il fare comune è il filo rosso che collega le molte attività che sono state proposte ai cittadini di Frome. E’ l’essere stati estromessi dal fare attivamente qualcosa ed in comune, per sé e per gli altri, uno dei più frequenti motivi di frustrazione che gli amatriciani ci hanno riportato. La categoria attività/passività è d’altra parte una degli elementi più frequenti che emergono nel lavoro psicoterapico: l’individuo, che si sente passivamente “soggetto a” agenti che determinano la propria condizione di sofferenza, deve essere aiutato – attraverso la rielaborazione di nuove rappresentazioni di Sé e del contesto – a riappropriarsi di una condizione attiva, a vedersi come “soggetto di” possibilità e responsabilità, connesse ad azioni degne di valore e più libere da condizionamenti esterni.
Un interessante progetto pilota: la comunità “compassionevole”
Il successo del programma inglese è determinato dall’uso sistematico delle relazioni sociali come il mezzo più efficace per migliorare la salute degli utenti. I risultati della ricerca sulle variabili isolate hanno evidenziato che la connessione sociale ha un impatto maggiore sulla salute rispetto ad altri fattori di profilassi (ad esempio, la riduzione delle dipendenze). Da indagini preventive è emerso che i servizi offerti per lo sviluppo del senso di comunità avevano bisogno di un network univoco, che riconnettesse le persone ad una rete integrata di supporto. Nel momento in cui gli accessi al Pronto Soccorso nell’intera regione del Somerset sono aumentati del 30%, quelli di Frome sono diminuiti del 15%, con una diminuzione considerevole della spesa sanitaria ed un aumento del senso di autoefficacia percepita dai cittadini.
E’ importante specificare che quelle che nella terminologia del Frome Project sono definite comunità compassionevoli non prendono il posto dell’assistenza sociale, perché presentano piuttosto le peculiarità di:
- sfruttare al massimo le reti di supporto di famiglia, amici e vicini, in modo che le persone costruiscano cura, connessione e socievolezza, condividendo compagnia e valori;
- costruire reti di supporto reciproco per le questioni di routine della vita degli abitanti;
- creare un collegamento tra i cittadini e le attività della comunità (il coro, i gruppi di camminate, i laboratori di bricolage, i Talking Cafè, ecc.).
L’aspetto decisivo è stato collegare l’organizzazione sanitaria e quella sociale in tutta l’area, mappando il territorio, compilando un database di risorse già presenti, nel volontariato e in altre agenzie. Altre iniziative si sono aggiunte successivamente, colmando le lacune emerse attraverso il confronto con la popolazione. Questo lavoro di raccolta dei bisogni e di smistamento delle informazioni è stato portato avanti da volontari – i Community Connectors – che, dopo un training iniziale, nei luoghi di incontro sociale fornivano informazioni ai cittadini. I soggetti, inizialmente guidati, sono diventati gradualmente proattivi, spiegando personalmente agli operatori preposti come e cosa volessero fare.
La nostra proposta: attivazione di un network che con-tenga
Nella costruzione iniziale del progetto era sembrato utile poter impiegare alcune tecniche ed interventi di orientamento sistemico-relazionale, volte a sollecitare la rielaborazione dei vissuti traumatici e la ricostruzione di un tessuto sociale. Ma avevamo capito dalla gente di Amatrice che non potevano essere un’altra volta soluzioni calate dall’alto e da soggetti terzi. Nella scansione tripartita della mediazione umanistica, la katarsis ha, però, proprio la funzione di sollecitare attivamente soluzioni che nascano dai partecipanti. Così da un primo intervento riparativo possono nascere soluzioni per una seconda fase del lavoro psicosociale.
Quello che mancava ancora era la cornice che tenesse insieme soluzioni altrimenti slegate tra loro e senza una ratio comune, oltre al persistere del problema della continuità temporale degli interventi. Il modello di Frome supera queste criticità: si prospetta come qualcosa di duraturo, che connette risorse autoctone ed interventi tecnici sistemico-relazionali al senso di appartenenza e di autoefficacia della comunità.
Le tecniche sistemico-relazionali
Dentro la cornice costituita dal network, che coordina gli interventi e conferisce omogeneità alle Cure Compassionevoli, abbiamo dunque collocato azioni potenzialmente trasformative a maggior valenza simbolica e psicologica, come gli atelier sulla scrittura autobiografica o come i laboratori sulla ricostruzione dei genogrammi, con fotografie o con immagini d’arte.
Si intende, in questo modo, lavorare sulla narrazione e “ri-narrazione” della storia, personale e dell’intera comunità, così da creare uno spazio di condivisione simbolico ed emotivo. Questo lavoro psichico potrà essere utile ad elaborare l’esperienza traumatica del terremoto e del successivo sisma emotivo, per dare voce ai bisogni dei cittadini e per fare del dolore un’opportunità di trasformazione anziché di blocco. La “cura della memoria” vuole anche sostenere la cura delle tradizioni, dei riti collettivi e dei valori condivisi, recuperandone lo spirito – quel senso laico del sacro e del rituale di cui abbiamo trattato sopra – per riconoscere risorse intergenerazionali, per riaccendere la speranza e la fiducia verso il futuro di ciascuno e della collettività attraverso la condivisione.
Conclusioni
Ad Amatrice si tratta di ricreare, dopo il trauma del terremoto, un contesto di relazioni cooperative e di partecipazione attiva dei soggetti alla vita del paese in grado:
- di contenere il dolore mentale personale e quello di un’intera cittadinanza,
- di condividere l’elaborazione collettiva dell’esperienza di perdita e delle conseguenti dinamiche intrapsichiche ed interpersonali disfunzionali
- e di promuovere nuove rappresentazioni ed esperienze, in grado di veicolare un rilancio della speranza soggettiva ed un senso ulteriore di appartenenza comunitaria.
Il progetto presentato all’Amministrazione Comunale – nel segno della cura della riconoscenza per l’ospitalità ricevuta, in un’esperienza breve ma intensa, successiva ad un diverso ma comunque significativo evento di perdita e di criticità che l’Istituto aveva attraversato – ha individuato due piani di intervento per perseguire queste finalità.
Abbiamo ritenuto indispensabile indicare la necessità prioritaria di una sorta di rito collettivo – un intervento di mediazione sociale comunitaria di tipo umanistico, sul modello della tragedia greca – come spazio/tempo/azione in cui affrontare:
- la narrazione condivisa dei dolori soggettivi sofferti e della memoria dei legami tra le generazioni,
- la crisi connessa al confronto tra i potenziali vissuti drammatici legati alle differenze delle diverse condizioni, esperienze e rappresentazioni,
- per cercare di approdare ad una prima catarsi, attraverso la mentalizzazione della memoria traumatica,
- e costruire così un “ponte” morale ed affettivo, in grado di sublimare le distanze individuali e riconnettersi alla comune matrice identitaria dell’appartenenza comunitaria.
Ma senza una prosecuzione nel tempo di altri interventi, più legati al piano concreto ma simbolico del “fare insieme” – seppur ad alta significatività simbolica, quali quelli che abbiamo esemplificato nell’articolo – mancherebbe quella trama costante di momenti aggreganti e di azioni comuni di cui è fatta una relazione di appartenenza.
Abbiamo individuato nel concetto sistemico del network, sulla base di un’esperienza pilota sperimentata nel Somerset – il Frome Compassionate Project – la struttura connettiva, dei diversi interventi di natura sociale, sanitaria e psicologica. Un programma articolato di coordinamento dei vari stadi e dei referenti che garantisca
- non solo e non tanto un efficiente funzionamento integrato degli interventi già presenti a disposizione della popolazione,
- quanto un sistema di collegamento strutturato che, in un modo gradualmente auto poietico, si organizzi attraverso una progressiva conoscenza dei propri bisogni e si attivi per soddisfarli, con una partecipazione attiva in grado di implementare prove concrete del senso di autoefficacia.
La psicologia sociale ha ratificato definitivamente il concetto che, per migliorare la qualità di vita della comunità, bisogna intervenire accrescendo e potenziando le competenze di empowerment dei cittadini in quanto agenti di eventi che li coinvolgano direttamente.
Riferimenti bibliografici
- Abel J., Kingston H., Scally A., Hartnoll J., Hannam G., Thomson-Moore A., and Kellehear A., Reducing emergency hospital admissions: a population health complex intervention of an enhanced model of primary care and compassionate communities, British Journal of General Practice 2018; 68. Si veda anche https://www.compassionate-communitiesuk.co.uk/projects
- Clementi C., (2 luglio 2011), http://www.transumanzaamatrice.it/PAG/Itpoesie2.htm consultato il 15.03.2020
- Ghiglione R., Beauvois J.L., Chabrol C., Trognon A., (1980), Manuel d’analyse de contenu, Armand Colin, Paris
- Morineau J., (2000) Lo spirito della mediazione, Franco Angeli, Milano
- Pappalardo L., (2020), Di che cosa parliamo con i nostri pazienti?, Storie e geografie familiari, Scione Editore, Roma
- Scabini E., Cigoli V., (2000), Il famigliare. Legami, simboli e transizioni, Raffaello Cortina Editore, Milano
- Teti V., (2011), Pietre di pane. Un’antropologia del restare, Quodlibet, Macerata
[1] In psicologia, rappresentazione è quel costrutto della mente che salda aspetti cognitivi con il vissuto emotivo-affettivo. In questo contesto il riferimento è anche all’aspetto drammaturgico, comune a molti riti.
[2] Il genogramma fotografico è una tecnica della terapia sistemico-relazionale che permette di rappresentare la storia di una famiglia attraverso le sue fotografie, ripercorrendo eventi, legami, relazioni e separazioni di almeno tre generazioni. Permette di conoscere la rete emotivo-affettiva in cui l’individuo ha sperimentato il proprio sviluppo ma anche lo svolgersi nel tempo dei suoi legami fondamentali.