Dimitri Ruggeri è un poeta, videopoeta e performer.
Con la raccolta di poesie Bambini e Zanzare il poeta esprime il tentativo di ribadire la responsabilità della poesia dove lo schieramento in ogni ambito diventa una necessità.
Con la silloge Radon l’autore configura un ponte semantico che lega in modo indissolubile l’evento tellurico del Centro Italia del 1915 e quello della città dell’Aquila del 2009.
LA SCOSSA
Il lettore di Bambini e zanzarericeve dalle poesie una lieve perturbazione elettrica, che lo ricarica e lo fa schizzare in un percorso quotidiano e al tempo stesso galattico.
Dalla fessura della persiana si apre uno scorcio, uno squarcio: binari che tagliano e mettono a fuoco (a nudo) situazioni diverse e attuali nel mondo.
Rumori metallici (cigolii, barattoli, lancette, bronzo) e nuovi suoni onomatopeici di tutti i giorni (du du du, ta ta ta, pa pa pa, tic toc) popolano le poesie di questa silloge, che di certo innovano i canoni poetici (nella forma e nel contenuto).
Sono poesie cariche di fili, di peli, di lancette, di relazioni che diventano estranee: all’improvviso non si parla più lo stesso linguaggio e non c’è comprensione. Ci si separa e si finisce in un’altra galassia.
Il lettore levita nello spazio insieme alla punteggiatura, che sembra liquefarsi e rarefarsi accanto alla luna, nella notte macchiata di rosso, che illumina ossa e carne.
La carne ricerca il metallo quasi verso una metamorfosi carnale (verme); che ricorda Charles Bukowski e soprattutto David Cronenberg.
“Ho bisogno di una protesi d’acciaio
per sorreggere una rapida felicità
che palpeggia un deglutire duro
nel gozzo di paure a tutto gas”.
Si stagliano fuori dal testo relazioni private e collettive, interpretate in modo suadente, sensuale, umoristico. Chi legge prende la scossa.
Le parole infatti sono traboccanti di energie e di scosse e danno una scossa al lettore per fargli aprire gli occhi suo mondo.
Visione
Ho messo una sella
su un mucchio di terra
m’illudo che squassi
l’ortica funesta;
pruriti porosi,
begonie bramose
le scalcio, le picchio
lo stinco mi duole.
Il cuore s’arrende
al fiore col pugno
che stanco colpisce
il sacco col ghigno.
La quercia s’offende
la nebbia si scioglie
lo sterno è impaziente
il gufo si pente.
Capisco che rompo
la vita col niente.
Intanto son morto e
mi vedo fiorire
nel campo di ossa
ammansite al gioire
Nitrisce or ora la zolla fumosa
e piove cianciosa
in volo nel cielo
imbrattato di te.
Da RADON
N.7
(da leggere come se si credesse che la Luna
non esista)
Quant’ è giocoso il trematore!
Le difficoltà sono impreviste,
sopra altri astri di disastri.
Giù, giù, giù nell’oscurità del disastro,
Delizioso va
l’inaspettato,
l’improvviso.
Le calamità sono cromatiche
salpati sui nemici
che alternano il viola col rosa.
Quando penso al tremore, vedo il trematore.
E quel vecchio
che tramava
Dieci anni fa era un uomo marziale
pronto a ripartite
sulla Luna.
Il narratore in Radonci guida smarriti sulle scale e le discese di ogni vicolo disintegrato del mondo e ci parla da piazze che non riemergono più per spiegarci di tremendi malintesi. Si sale e si scende alla ricerca delle proprie fondamenta e impalcature, della propria identità, spezzettata perché si vive incastrati in reti e ottoni, dopo un terremoto che è anche un dramma interiore.
L’antico si mescola al moderno, i giovani ai vecchi, il romantico al cemento, l’apparire all’essere, la nostalgia all’entusiasmo, il declino al rinnovamento.
Siamo catapultati in un universo maschile, fatto di gru, betoniere e barattoli scassati ma anche di romantici indizi d’amore, ogni sera…
Nascosto, sotto un grande rogo,
questo scoppiare del cuore
non finisce mai.
Lo stile inconfondibile ciù ciù ciù cià cià cià allega musicalità alle immagini evocate dal testo e rafforzate da figure retoriche (come allitterazioni e paronomasie).
Si legge e si gioca: nel testo ci sono giochi di parole e giochi col pallone, si diviene leggeri come la palla ovale che anomala vola sopra tutto.
Il lettore può evadere e ritrovare un tempo passato, al ritmo di un amato jukebox.
Gli esseri umani sono ritratti in transito tra astri e disastri, rimediabili con l’uso dell’umorismo e della questione di punti di vista.
L’umorismo e la capacità di sdrammatizzare (è lui che mi solletica i piedi) portano davvero a conquistare la Luna, e a notare mondi sconosciuti o perduti.
“Arriva Mazinga che soffia
su tutto con raggi un po’ gamma
un po’ beta e un po’ alfa”.
Le relazioni umane dunque si costituiscono su giochi e malintesi, c’è un decadimento ma anche una trasformazione: si produce una nuova composizione (e un nuovo testo) per potersi esprimere senza negare se stessi. Proprio come per gli atomi di gas.
E “quando mai al chimico è stato impedito di occuparsi delle sostanze esplosive, indispensabili per il loro effetto, a causa della loro pericolosità?” (Freud, 1914).