Fino a quando non avrai reso conscio l’inconscio,
quest’ultimo dirigerà la tua vita
e tu lo chiamerai “destino”.
(C. G. Jung)
Luca Bernardini (https://lucabernardini.jimdofree.com/) è campione italiano di poetry slam 2018 e vicecampione mondiale 2019. È un poeta performativo, attore, regista, improvvisatore e insegnante di teatro, psicologo e psicoterapeuta.
Conduce workshop di teatro e improvvisazione teatrale appositamente concepiti per psicologi e psicoterapeuti, come strumento di formazione clinica.
I suoi progetti artistici ed educativi prendono forma sotto il nome di WITBERRY (https://www.facebook.com/witberry/). Porta i suoi spettacoli a giro per tutta Italia: Proxima parada (poesia su chitarra elettrica, con Daniele Ramisti), Nonostante i dubbi e le paure (assolo di monologhi poetici), Tekken Poetry (battaglia di poesia improvvisata, con Max di Mario e Marco dell’Omo), 3MENO1 (improvvisazione teatrale su musica improvvisata, con Andrea Mitri e Niccolò dell’Aiuto) e moltissimi altri.
TRA
Il mio terrore è vecchio
questo è un terrore usato
quello di cui mi macchio
prima di me ha macchiato
mio nonno poi mio padre
di cuore in cuore passa
strategie strazianti ladre
si scavan nelle ossa
costringono la vita
rinchiudon nella testa
e non è mai finita
esercito che pesta
testuggine che avanza
cavalleria che pressa
terrificante danza
fracasso che non cessa
soldati son pensieri
schierati stretti e fitti
file di precisi arcieri
fieri pronti fermi dritti
caricare… poi lasciare
il volo delle frecce
nel silenzio c’è un frusciare
attesa di sottili brecce
ho la mente trafitta
costantemente sotto assedio
ogni mia vittoria è mia sconfitta
un problema… ogni rimedio
mi è stato dato un nome
ossessivo compulsivo disturbo
ha senso se ci penso siccome
obsidere è assediare e furbo
mi assedio per arroccarmi qui
per non sentire la fitta immensa
in pancia del terrore che mi assalì
quando mi colpì troppo intensa
la consapevolezza che
i miei sarebbero morti
io non avrei potuto farci niente e
non ci furono conforti
capaci di calmarmi
nel mio letto di 8 anni
nessuno ad abbracciarmi
abbastanza stretto e a lungo
da limitare i danni.
Mio padre vide investire
un cane da bambino
mio nonno senza capire
perse suo padre, era piccino
sensibilità è un cazzotto
quando non hai processore
ti prende in pancia un botto
ti strizza stretto il cuore.
Mio nonno adesso è vecchio
presto dovrà morire
mi guardo nello specchio
mi sembra di sentire
un filo rosso di dolore
che non è stato tagliato
poco importa l’amore
il male è Tra, è passato.
La stessa forza lo avvita
– ormai novantenne –
a una giornata scandita
da una parassita
coreografia inaridita, nonno
la stessa forza svegliava
– tredicenne –
mio padre di notte
controllava che il gas fosse spento, ricontrollava
e contro-controllava
finché non crollava
dal sonno
quella stessa forza ha mosso
– in me adolescente –
mille rituali, la sentivo
addosso
tranquillante effetto
paradosso
ti mangia intero: prova a
darle un osso.
Penso un pensiero e lo ripenso
non penso di essermelo pensato bene… compenso
pensando se è completo il senso del pensiero
poi penso bene se quello che ho pensato ha senso.
Ho la sensazione manchi sempre un pezzo
per completare il puzzle dei pensieri
sarà fatto solo quando li avrò tutti
me ne manca sempre uno ma non mollo:
controllo, ri-controllo, contro-controllo,
ri-contro-controllo, contro-ri-contro-controllo,
ri-contro-ri-contro-controllo.
Finché non crollo anch’io dal sonno:
come babbo e nonno.
La sofferenza è un regalo
che ci hanno fatto i nostri
genitori
se non lo apriamo
lo regaliamo ai nostri figli
quasi uguale, ai nostri amori
è difficile imparare a dare
ciò che non ci è stato dato
ma ogni volta che succede
un filo rosso lì è tagliato
una ferita
che respira e sanguina Tra noi
non continua a ferire impaurita
impazzita
rimargina piano, e poi
… è guarita.
In questi testi poetici appare una perfetta “corrispondenza di amorosi sensi” tra psicologia e poesia, in un’ottica in cui le generazioni sono attraversate, tagliate, da una stessa ferita che viene tramandata.
Le parole ben scelte, scandite, associate alla musica, sono note di una marcia piena di energia verso la vita, che spacca il legame con il passato.
Sono saette scoccate che arrivano dirette al segno, al centro dell’emozione.
L’autore (poeta e terapeuta) porta nel petto le memorie e il dolore trigenerazionale, che ferisce ma risarcisce. Ricuce e trasforma. È un portatore di pace e si pone a salvavita “in questa nostra rete sovraccaricata”.
Conduce il lettore in una storia che parla di battaglie interiori: di frastuoni che danno la sensazione di impazzire, di fitte, di terrori rimasti inspiegati, insoluti, agiti, che creano un grande senso di solitudine, adesso di silenzio, di morte.
Rituali stenuanti, inconsolabili, placati solo dal sonno.
Si segue un filo rosso di dolore, che lacera fino all’osso, per giungere a un rinnovamento, a una risoluzione evolutiva, dolente ma catartica.
I mandati e le paure ataviche non sono più destino: non sono più celle invisibili che imprigionano e costringono a recitare per tutta la vita lo stesso copione, da generazioni. Le sbarre diventano frecce che fioriscono.
L’autore, in questo caso si può proprio parlare di “Poetaterapeuta”, racconta che il copione si può modificare. Il poeta e il terapeuta si fondono in un’unica persona, una sorta di vate del nostro secolo, che accende animi tumultuosi e svela la possibilità di un cambiamento. L’umiltà, l’empatia e l’umorismo sono gli ingredienti principali, perché permettono di percepire e di connettersi con gli altri e, soprattutto, di prendersi cura della relazione:
“Prendere le stanchezze, le solitudini
amarezze inquietudini
riempirle di carezze di sollecitudini
fargli casa tepore
riposo
luogo dove potersi lasciare
andare.
Lo scrittore ci dimostra che, “nonostante i dubbi e le paure”, tutto questo si può fare.
SALVAVITA
Piangere lacrime non mie
sentendole non piante altrove
in occhi altrui.
Lasciare risuonare la tensione
accumulata in scorci orrendamente bui
di così tanti sopravvivere.
Potessi offrirmi
a mo’ di parafulmini
fare cascata di dolore dare voce
scrosciare forte forte
gridare d’acqua rovinosa
e disperare
e tenerezza
e disperare
e tenerezza.
Prendere le stanchezze, le solitudini
amarezze inquietudini
riempirle di carezze di sollecitudini
fargli casa tepore
riposo
luogo dove potersi lasciare
andare.
Prestarmi a salvavita
in questa nostra rete sovraccaricata
e cupa
che pesa a senza via d’uscita
che dirupa
sbreccia sdrucciola
smotta straripa.
Staccare il lancinare, farne accogliente scatto esatto
e poi tregua vivibile
non dimentica
non dissociata
addosso la nostra scritta:
fragile.
Potessi
essere nelle distanze tra i corpi
sulle censure dei volti
occupare d’affetto
gli spazi
dove manca qualcuno
e fa male
dove manca qualcosa
e come fare.
Di queste distanze che non possiamo colmare
per custodirci il respirare
farne carezza e non vuoto.
Le mie lacrime piango
quando provo e non so
se tutto questo io lo posso fare.
L’autore in Villette a schiera ci racconta un’altra storia di vita e di morte, di “guerra e pace”, con disincanto. Una storia sulle piccole cose di ogni giorno, conquistate e perse, di limiti ed eccessi.
Leggere il testo fa riflettere sulla complessità del ruolo genitoriale e su quanto è disfunzionale spostarsi da una posizione educativa a quella esattamente opposta, da una generazione all’altra. Quanto è difficile riuscire a costruire una famiglia felice? Diviene indispensabile una comunicazione affettiva, che permetta di costruire all’interno della famiglia un nuovo alfabeto emotivo, che contempli tutte le emozioni, e renda consci e liberi dal passato.
VILLETTE A SCHIERA
La guerra era finita finalmente
da resistere c’era e si resistette vai
dopo i’ tempo della morte giunse quello della vita, dolcemente
era i’ turno della pace, la si fece, e si fece anche all’amore sai.
La sposai… s’ebbe tre figli
s’avea ogni bene, pane fresco sulla tavola
si costruì delle villette a schiera in mezzo ai tigli
e una la divenne casa, la vita la si fece favola.
Una famiglia stabile, dignitosa
un domani per le nostre creature
la speranza, bella, contagiosa
che ’un ricapitassero mai più certe brutture.
C’era un ordine, un rispetto sacrosanto
finalmente, era un sorriso, sopra i’ pianto.
I’ mi’ babbo credeva che siccome era stato ferito
in quella guerra che ’un la piantava più di raccontare
gli era come tutto consentito
sapeva solo lui quello ch’era giusto fare.
In casa d’emozioni ’un s’è mai parlato tanto
solo la rabbia ci sputava addosso
ci si stava vicino sì, ma non accanto
si viveva in quelle villette grigie in via di’ fosso.
La mi’ mamma era repressa e triste e stanca
i miei ’un s’amavano da anni.
Scappai di casa, ’e misi incinta Bianca
era: amore, e lotta dura contro i tiranni!
Si viveva in un piccolo bilocale
con le nostre due creature
poi ci si separò, ma mica stetti male.
Gli insegnammo a sentire senza censure
con libertà, gli si dava tutto
ogni cosa di cui avean’ bisogno
cellulare, motorino, nessun limite o costrutto
liberi di realizzare i’ loro sogno.
’Un ne posso più di voler bene
ai miei, vorrei odiarli un pochino
sono così comprensivi poi, gli viene
e mi stanno sempre vicino.
Ci vanno giù peso co’gli interrogatori emotivi
solo la rabbia, meglio se ’un c’è:
“Consideriamo tutti i punti di vista alternativi
poi te tu fai come tu ti senti te”.
La mi’ mamma c’ha un altro, ma da prima
i’ mi’ babbo va dallo strizzacervelli
che mi pare lo deprima
la mi’ sorella cerca di combinare a tutti i costi de’ macelli
ma la droga ’un basta, anche i’ babbo le provava.
È tornata da una specie di orgia strafatta stanotte
gli fo’: “Secondo me anche la mamma la strasdava”.
L’ho vista triste, nell’impossibilità, qualunque cosa inghiotte
di farsi un rimorso uno che sia novo
che quei figli dei fiori dei nostri genitori ’un c’abbiano già.
E sdraiato su i’ letto a guardare i’ soffitto mi trovo…
a sognare, la mia libertà:
una moglie che m’aspetta nella nostra villetta, a schiera
qualche creatura a cui proibire ogni cosa
tutti quanti incazzati, non capirci per una vita intera
massacrarci, in una coreografia meravigliosa!
Finché ’un scapperanno i nostri figli finalmente, verso un’altra terra
e poi magari… scoppiasse anche una guerra.