Emanuele Ramundo è cantautore, poeta, performer e conduttore.
È stato capo animazione in villaggi turistici e resort in Italia e all’estero.
Originario di Viterbo, si trasferisce a Padova dove si laurea in Scienze dello Spettacolo e Produzioni Multimediali, frequentando in seguito il Master in Sceneggiatura Carlo Mazzacurati. Presente da diversi anni sulla scena del cantautorato indipendente, della poesia scritta e orale e del Poetry Slam, nel 2019 rilascia i due singoli Una volta nella vita e Cantastorie.
Fra il 2019 e il 2020 si esibisce con un concerto/spettacolo di canzoni e poesie.
Dal settembre 2020 è in tour con lo spettacolo di teatro, musica e poesia Cadere e cambiare, di cui è co-autore e interprete insieme all’attore e autore teatrale Filippo Rizzo. Nel 2020 è semifinalista per la regione Veneto del campionato di Poetry Slam della LIPS (Lega Italiana Poetry Slam) ed è secondo classificato nel campionato nazionale di Poetry Slam del circuito Slam Italia. Nel 2021 è uno dei due campioni veneti di Slam Italia.
Da marzo 2020 ha creato il progetto di diffusione e condivisione poetica Poesia Virale, insieme a Benedetto Sacco, che viene riproposto col nome di Poesia Virale, la seconda ondata e Poesia Virale Poetry Slam, ospitando numerosi poeti, attori e cantautori.
Nel 2021 fonda Senza Piume, insieme a Filippo Rizzo e allo “stand up comedian” Gianluca Merlino: progetto collettivo di diffusione delle arti performative, che nasce a Padova e unisce diverse esperienze consolidate sulla scena. Senza piume è teatro, poesia performativa, Stand-Up Comedy, musica dal vivo e condivisione.
Con Emanuele Ramundo la poesia salpa a vele aperte in mezzo ai continenti: congiunge le popolazioni e celebra le differenze, oltre oceano.
L’autore ha il coraggio di esprimere tematiche scomode, che spesso si tende a negare o a evitare. Racconta storie clandestine di clochard, di sirene, di fate particolari, sogni infranti, violenze e accanimenti.
È un Cantastorie: verbalizza eventi che provengono da lontano, ad esempio dalla Siria, dove: “oltre il mare profondo, c’è ancora una guerra quasi invisibile agli occhi del mondo[1]”. I testi diventano ballate, canzoni che narrano le vicende degli Invisibili e veleggiano per farli diventare Visibili agli occhi del mondo.
E si trasformano in ninnenanne nel cuore di tutti, al di là di ogni nazionalità.
Raggio di sole
Mustafà significa scelto
anche se non ha potuto scegliere dove nascere e quando
Mustafà si è svegliato un mattino da piccolino in una terra calda e lontana
La sua mamma lo cullava, gli cantava ogni sera una ninna nanna siriana
Gli sembrava una sirena
Quel bambino cresceva e non appena diventava adulto
In Siria scoppiava una guerra quasi invisibile agli occhi del mondo
Salpavano al tramonto
Arrivò la sera che erano già a largo, lungo il mare così profondo che la brezza marina si fece bufera in un secondo
Mustafà e la sua mamma erano profughi alla rinfusa, su una barca, fra le onde
Lui, anche se era grande, piangeva perché aveva paura
Allora la mamma sirena lo cullava, gli cantava una ninna nanna siriana
Quel canto era più forte delle onde del mare, del vento
E lo spavento si trasformava in un sogno
Mustafà apriva gli occhi al mattino illuminato dal primo raggio di sole
Con uno starnuto ha svegliato sua madre
Vicino a loro trovarono anche Fareeda, una ragazza sola, disperata, ferita
Erano bagnati, raffreddati, stretti, appiccicati, abbracciati, approdati a Lampedusa dopo la tempesta
Mi chiamo Kiran, che significa raggio di sole
Papà Mustafa fa kafta e kebab vicino a una fermata della metropolitana
Da cinque anni è sbarcato in Italia
Vivo con lui, con mamma Fareeda e con nonna sirena
Che mi canta ogni sera una ninna nanna siriana
Abitiamo in un monolocale per quattro persone e, anche se non ho scelto di nascere qui, sto bene
perché così stretti stiamo tutti insieme
Vado all’asilo
E se a volte i compagni mi prendono in giro io continuo a giocare con loro e sorrido perché so di essere un raggio di sole
Come so che oltre il mare profondo c’è ancora una guerra quasi invisibile agli occhi del mondo
Quando anch’io diventerò grande, se la guerra sarà finita, andremo tutti insieme in Siria
Forse piangerò salutando l’Italia
Ma ogni sera, quando sarò nella mia terra calda e lontana, canterò a una piccola sirena una ninnananna siriana.
Emanuele Ramundo fa una poesia che fa rumore, che tiene il volume al massimo e spacca le frontiere. Approda sui tasti neri e bianchi al ritmo melodico del sentimento, scegliendo le note che inneggiano agli aspetti psicologici di guerra e pace, presenti nell’uomo. Con i suoi raggi di sole, fa luce su fatti rimasti in ombra.
Trasforma la misera in poesia, così che venga conosciuta, condivisa e soprattutto tramandata alle generazioni dei giovani con un valore educativo, per sapere di che cosa è capace l’essere umano.
Venti grammi
Sono Stefano, di anni trentuno
quando mi presero avevo in tasca venti grammi di fumo, un futuro da costruire e un passato da riabilitare
Spacciatore sì, ma con una passione:
volevo essere un pugile perché al centro di un ring mi sentivo meno fragile
Ne ho vissuta di vita dannata al margine della strada sulla quale distratto correvo quando mi allenavo e non pensavo più a niente
Volevo scappare agile lungo l’argine del Tevere
dal carabiniere che mi schiaffeggiava, mi spingeva e dall’altro che dall’alto mi colpiva con un calcio dritto al volto
Diretto sinistro, diretto destro!
Gancio sinistro, gancio destro!
Se solo avessi avuto i guantoni quei due coglioni li avrei sfidati in palestra
uno alla volta e vediamo chi resta
chi finisce KO
Ma non c’era un arbitro, non era un incontro di boxe e come al Bronx mi pestano, mi stanno addosso
Un Cristo con le vertebre rotte distrutto dalle botte, costretto a soffrire in questo girone infernale
a faticare per poter respirare
Inspirare, espirare
Inspirare, espirare
Inspirare, espirare
Espiare prima di spirare
prima di sparire mi sarei dovuto spiegare
Avrei voluto gridare: “Non sono caduto dalle scale!
Fino a farmi sentire là fuori dai miei genitori.
I dottori, all’ospedale, non mi hanno curato a dovere.
Abbandonato, mi hanno lasciato da solo a tremare fino a uscire da una cella con la vescica piena di piscio per entrare liscio all’obitorio
senza passare di casa per salutare la mia famiglia. Senza nemmeno una scusa come fossi una canaglia.
Con l’accusa di essere anoressico e sieropositivo. Tossico e recidivo
Tossivo finché ero ancora vivo
avevo gli zigomi lividi e gli ematomi
sangue nei bronchi
sangue nei polmoni
Sangue ovunque dentro e sangue fuori
Sangue su una sindone
Martire a prescindere, sacrificato
Senza lacrime per piangere, disidratato
Massacrato, dissacrato da chi mi ha arrestato perché sono un drogato, pregiudicato
Ma il reato questa volta è dello Stato del “non sono Stato io”
Se io fossi stato strafatto non avrei sentito il dolore
Sul mio corpo tumefatto che ha cambiato colore
E lentamente muore.
“Magari morisse, li mortacci sua!”
Infieriva infervorato l’appuntato intercettato
Mi avevano già ucciso, lasciavano in sospeso il mio passato da riabilitare
Si trattava di omicidio preterintenzionale, finalmente l’hanno detto in tribunale
Sono Stefano, di anni trentuno
Il mio feretro è uno scheletro di trentasette chili e non ho più un futuro
Quando mi presero avevo in tasca venti grammi di fumo
Dicono che l’anima ne pesi ventuno.
Il poeta inoltre denuncia la guerra: “che ha nell’anima è una lacrima violenta che diventa una rima da scrivere a mente”. Si può trovare consolazione nella poesia e nella musica, andando… in cerca di stelle “Fino ad essere una di quelle”.
Cerca Stelle
Richard, clochard, poeta di strada
Dall’Inghilterra all’Italia in bicicletta senza fretta a cercare le stelle
A cantare le cose più belle
Anche se gli manca sua moglie sulla soglia di casa che lo aspettava
La pensa in un sorso di birra, mentre fuma una sigaretta che ha trovato per terra
La guerra che ha nell’anima è una lacrima violenta che diventa una rima da scrivere a mente
Ma non fa niente, le stelle ci sono sempre
C’erano nell’istante prima di partire
Quando ha scelto di portare le sue parole sul ciglio dei marciapiedi
Lo vedi? È quello con la piuma sul cappello
Ha un cane al guinzaglio, si chiama Merlino
È come fosse il suo bambino
Lo senti? Ha l’accento inglese
Viene da un altro paese, scrive poesie e le traduce
Racconta le imprese della sua giovinezza
Se dice qualche schifezza è che spesso è in stato di ebrezza
Il vento gli accarezza i capelli bianchi, sciolti, un po’ biondi e un po’ sporchi
Ha gli occhi stanchi, stravolti, ma vividi e sinceri
Ieri ha dormito in una grotta abbandonata, fuori portata
Fuori dalla porta di una città addormentata e medievale
Dalla quale a volte te ne devi andare per studiare o lavorare
Richard, che invece a Viterbo ha deciso di stare, è gentile come un cavaliere
Si sente in dovere di salutare le signorine
Di parlare con le persone per condividere le storie
Per chiedere qualcosa da mangiare, da bere, ma per brindare insieme
Per continuare a cercare le stelle, quelle che ci sono sempre
Che lo proteggono ogni giorno, che vegliano sui suoi pochi averi
Sui troppi pensieri mentre prende sonno e l’affanno si fa sentire
Come si fanno sentire le intemperie se non sei coperto, all’aperto in pieno inverno, è un eterno tossire
Ha il batticuore, paura di morire
Indietro non si può tornare, non puoi di nuovo attraversare il canale della manica
Ma puoi suonare l’armonica
Puoi continuare a vivere per scrivere poesie
A camminare per le vie della vita improvvisata che ti appartiene
Senza avere mai le tasche piene, per questo essere senza catene
Resistere a cercare le stelle, le tue sentinelle, le tue uniche anime gemelle
Che ci sono sempre
E tu sarai per sempre nel cuore della gente che ti ha voluto bene veramente
E adesso che ti ho visto e che ti ho conosciuto ho capito che non avrebbe senso vivere il presente senza cercare le stelle.
Emanuele Ramundo rompe ogni tabù e racconta anche storie di:
“fate volanti migranti immigrate in Italia
Ma fatela finita
Una fata è una vita smarrita”.
…
“Piccola fata ti tratto coi guanti
Ti bacio davanti a uno specchio fra il collo e l’orecchio
Sei stata parecchio bene a parlare per ore
A raccontarmi le pene
Senza essere nudi
Senza strappare per forza i vestiti
Così mi saluti e sorridi
Facciamo quaranta col resto di dieci lacrime di fata e siamo stati amici
Mi piaci mi dici
Ma sono una fata
Non posso essere innamorata[2]”.
Temi d’attualità diventano lo spunto per fare poesia o canzoni, e per spezzare gli schemi comuni. I testi si impennano portando una rivoluzione, quella del vero anticonformismo che permette di rendere valore e giustizia ai più umili e fragili, indicando la possibilità di imboccare sempre una strada alternativa.
L’epidemia virale che ha influenzato pesantemente, da un punto di vista psicologico, il tono dell’umore e la creatività, diventa Poesia virale: un contagio artistico, a più livelli, che debella il virus della mediocrità e della convenzionalità.
Nel mio cellulare
C’è una malattia nel mio cellulare
C’è una pandemia
Un’epidemia virale
C’è un’infezione inflazionata
C’è una curva ondulata
Sempre diversa
Sempre aggiornata
Sembra perversa
È colorata
C’è un balcone nel mio cellulare
Dal quale puoi cantare una canzone commerciale
Può causare commozione a causa di un video amatoriale
Puoi usare una reazione come abuso emozionale
Puoi ridere, puoi piangere, puoi esprimere stupore
Ti puoi arrabbiare oppure puoi toccare un cuore
C’è la condivisione nel mio cellulare
Si può navigare
C’è un barcone di migranti
Sono in tanti
Sconfinati
Sono stati maltrattati
Sono entrati massacrati
Commentati come ingrati
Ci sono incompetenti nel mio cellulare
C’è un parlamentare
Non la smette di parlare
Non permette di ignorare il suo discorso
È la sponsorizzazione in corso di un prodotto contraffatto
È il frutto riprodotto di un corrotto del partito
Di un patito del niente
È un invito al voto per un pubblico ignorante
Forze armate nel mio cellulare
Vedo bare deportate
Con i carri e le sfilate
Non ci credo! C’è la guerra! C’è perfino un militare
Controllore a controllare se possiedi l’edizione più attuale di un’autocertificazione
Serve per andare a comprare da mangiare
A non indurre in tentazione
E menomale, per produrre il minimale c’è qualcuno che va ancora a lavorare
La cassiera che ogni sera non fa altro che pregare
C’è un altare nel mio cellulare
C’è una messa in scena
La scommessa che qualcuno ci potrà salvare
C’è un’emergenza nel mio cellulare
Un’ambulanza
C’è un dottore da curare e un infermiere che sta male
C’è la morte a porte chiuse in ospedale
Non c’è neanche un funerale nel mio cellulare
Ma c’è una diretta
C’è la fretta di tornare alla vita normale
Quella precostituita
Quella che ci andava stretta
Quella che sembrava certa e ci faceva sospirare
C’è l’Ansa nel mio cellulare
C’è l’ansia nazionale
C’è che me ne voglio andare
C’è che ho voglia di cambiare tutto e che devo rimandare ogni progetto nel quale potrei riuscire
Per il quale dovrei poter uscire di casa e della mia testa invasa dalla pratica sintomatica
della psicosomatica protesta
C’è una festa nel mio cellulare se lo lascio a caricare
Se mi vado a coricare
Se non digito più nulla
Che non faccio che posare il dito tutto il giorno
sulla superficie dello schermo
Poi mi fermo
Sono felice ora che dormo
Fa sognare
Domattina ci sarà una malattia nel mio cellulare
Ci sarà questa poesia virale.
Il poeta inneggia a una ripresa spirituale, sperona gli animi per un nuovo galoppo, preannunciando che:
“Ci sarà una pandemia
Ci sarà questa Poesia Virale”.
Il periodo della quarantena ha condizionato anche le relazioni affettive[3].
“Si conobbero. Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s’era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa, perché pur essendosi saputa sempre, mai s’era potuta riconoscere così” (Calvino I., 1965). Attraverso questo meccanismo, ognuno conosce meglio il compagno e se stesso nelle immagini che l’altro rimanda.
L’innamoramento dunque “è riconoscersi, scegliersi, volersi, prendersi, affrontare le ore[4]”.
“È trascorrere le sere, se vicini, a penetrarsi l’anima. È scambio d’organi”.
La poesia di Emanuele Ramundo romanticamente attraversa le sofferenze umane e i fallimenti relazionali, che sono gli stessi nel mondo:
“per arrivare all’amore c’è il male di vivere che a volte ti porti addosso
e il bene di scrivere che non ha mai smesso di consolarti[5]”.
È una poesia intercontinentale: che attraversa i disastri orientandosi nella direzione delle stelle e inseguendo un sogno, allo stesso tempo fatato e fatale.
L’autore descrive storie senza un lieto fine, intonando il canto di un tizzone ardente. Svela gli aspetti psicologici più oscuri, quelli dannati, che portano alla sventura e che sanno d’inferno, ma anche quelli più luminosi e puri, che rendono l’uomo capace di trovare qualcosa di piacevole e confortante, anche durante le intemperie: un verso, un sogno, un raggio di sole, una stella lontana, che brilla d’Estate quasi.
ESTATE QUASI
Scegliere un titolo
Per scrivere un capitolo poetico
Sciogliere le rime e le parole sotto il sole la domenica mattina
Piove da una settimana
Come croce emana luce il cielo fuori la cucina
Dai fori della serranda chiusa male
Sui fiori e sulle piante dopo il temporale
E sono tante le memorie al mio risveglio
Dentro un sogno che non riesco a ricordare
Di visioni poco chiare
Divisioni in serie di collisioni e lampi
Ci sono i guanti obbligatori nei supermercati
Le strade da percorrere bagnati
I rimpianti
Gli avanzi della cena
La catena degli eventi e le inflazioni
Le infezioni scongiurate in quarantena
Ogni problema
Le pressioni della vita
Le passioni di un poeta
Le ferite
Una partita al limite della ragione
Al limine delle regole della stagione
Ed è successo veramente
Che il successo a volte mente
Mentre le case erano chiuse per due mesi
Noi sospesi davanti agli schermi
Appesi agli schemi che sembravano eterni
A tempi alterni in tempi alternativi
La danza della pazienza senza aperitivi
Coreografia dei vivi e dei sopravvissuti
Fotografia dei vissuti recenti
Dai colori accesi o spenti dei tessuti e degli ambienti
Sempre avanti e intanto canti e tenti
Speri nei momenti
Anche quando hai le spine nei fianchi
E aumentano i capelli bianchi
Cresci
Esci una sera
Molecole di ozono nella stratosfera
Pellicole di favole e speranze rimandate
Cadenze ritmate
Circostanze dense di significati
Nei discorsi articolati con le stelle
Fare i conti con le luci intermittenti dei lampioni
Le emozioni a fior di pelle
Di storie di intemperie in ferie anticipate
Oasi e stasi
Estate quasi
Fase fra le fasi.
[1] Ramundo E., Raggio di sole.
[2] Ramundo E., Le Fate.
[3] Ramundo E., Estate quasi.
[4] Ramundo E., Per arrivare all’amore.
[5] Ramundo E., Per arrivare all’amore.