POESIE NORMALI OLTRE LA NORMA
“C’è questa calda tazza,
realizzo,
normale,
mi guardo intorno,
bevo,
son erbe aromatiche
figlie di ricette psicosomatiche
stregonerie ancestrali antiche
che controllavano gli eccessi
di vesciche
di umori
di clamori
di gente di fuori che deve tornare dentro”
(Filippo Balestra, Ci salveranno le tisane).
Filippo Balestra, Genova 1982, è uno scrittore, poeta e performer, che da anni porta le sue letture in giro per l’Italia. Nel 2015 pubblica la sua raccolta Poesie Normali per Miraggi Edizioni. Organizza e partecipa a diversi Poetry Slam, fa parte del collettivo Genova Slam ed è coordinatore Liguria per la LIPS – Lega Italiana Poetry Slam.
Si occupa di editoria indipendente ed è redattore di Costola, rivista di racconti illustrati. Cura la rubrica La poesia è morta per la rivista Inutile e la sua Guida indipendente alla città di Genova è stata edita da Hoppipolla Edizioni nel 2018.
Nel 2021 è vincitore del premio Franco Scataglini per la videopoesia Un Adesso Immenso, regia di Valentina Zanella e direzione artistica di Alessio Bertallot, per il Festival di poesia La Punta della Lingua di Ancona. Suoi recenti esperimenti linguistico/letterari sono la Conferenza sulla conferenza e la live writing performance Esistere Non Basta, recentemente realizzata alla GAM di Torino.
Le Poesie Normali di Filippo Balestra parlano di vita quotidiana: delle abitudini di tutti i giorni, piccole e intense, come fare una torta o mettersi un costume nuovo, e di gesti amorevoli come darsi un bacio, ma all’improvviso gli schemi della realtà vengono destrutturati o ribaltati.
COSTUME NUOVO
C’era il tramonto,
al di là del muraglione sul molo
eravamo seduti sullo scoglio
io e lei
lei bellissima come al solito
io invece
io mi prudeva il didietro
per via del costume nuovo
costume da bagno pure carino
che ci puoi andare in giro
ma pizzica quando ti siedi.
Lei bellissima sempre
e anche il tramonto
lei, le unghie dei piedi tutte rosse
per via dei cosmetici
è una malattia, dice
e io dico ah, non sono i cosmetici?
sì, dice lei, i cosmetici sono una malattia,
io dico ah, e annuisco
il bisogno di sentirsi belli, capisci?
sì dico, ed era in parte vero.
Lei bellissima comunque
anche se faceva delle cose per sentirsi bella.
Abbiamo guardato il tramonto ancora,
continuava,
era fatto in modo che io e lei dovevamo abbracciarci.
L’ho abbracciata spostandomi un poco
in quella posizione il costume pizzicava di più
quindi ancora mi sono spostato un po’
e ancora un po’
e ancora un po’
sempre davanti al tramonto
poi lei dice andiamo via,
io mi sono spostato un po’
ancora un po’
ancora un po’ e le chiedo
perché? c’è ancora un pezzo di tramonto da guardare
e lei risponde, non è quello,
è che mi pizzica il costume.
Il poeta ci indica che la poesia può nascere in qualsiasi momento, da un oggetto o un’azione qualunque (come nel testo Giocare al solitario) e serve a rompere i modelli della normalità. Oggetto di una poesia, dunque, può essere qualcosa di interno, come un sentimento, ma anche di esterno, come un’aspirapolvere o un frullatore.
Ricette e Gin tonic diventano gli ingredienti di nuove poesie, utensili usuali sono riscoperti attraverso sperimentazioni linguistiche, giochi e colpi di scena.
Si parte all’avventura, con una guida intrepida e si viaggia attraverso geometrie particolari: le categorie vengono allungate e sformate per creare un nuovo lessico relazionale.
La natura e il proprio cane, inoltre, popolano intensamente e arricchiscono i testi poetici, avvolti di solitudine e deserto, che trovano la risoluzione in un abbraccio.
Il bisogno di un abbraccio vero, caldo, inteso, come quello metaforico dell’orso, rappresenta il bisogno innato di essere protetti amorevolmente, soprattutto nei momenti di difficoltà o di fragilità, quando mi faccio corteccia, sono pronto ad abbracciarti:
a volte mi faccio corteccia
mi metto lì, fermo, tranquillo
forse incazzato nero,
forse un filino disperato,
quasi tranquillo
mi metto lì,
mi tolgo la faccia
mi faccio corteccia[1].
ORSI NELLE GROTTE
Scusate che son triste di
una tristezza infima che
non si può spiegare
e scusate che poi la tristezza diventa doppia
e si attacca
e diventa tripla
e scavalca i palazzi
va dietro a tutto
si insinua
la tristezza
giù per la gola e in altre parti del corpo e non solo.
Io adesso
vorrei non farmi vedere,
adesso,
vorrei andar lontano
nella grotta degli orsi
farmi ospitare da loro
grossi e pelosi
mi ospitano per un periodo
arrivo lì con uno zaino
poca roba
mutande
magliette
“ho portato due bottiglie di rosso buono”
gli dico
ma loro non bevono
e nonostante il regalo sbagliato
sono bravi
mi faccio abbracciare facendo attenzione alle unghie
e le bottiglie di rosso
me le bevo io
che loro non bevono
e mi addormento.
Gli orsi mi svegliano leccandomi la faccia,
vorrei spiegargli che la tristezza non si lecca via
ma loro continuano
e dico orsi, smettetela
cosa credete?
loro leccano,
orsi, dico io, voi vivete nelle grotte,
non sapete niente della vita,
la tristezza non si lecca via.
Anche se glielo dico
loro continuano
e son tutto coperto di lingue di orso
tutto bagnato di lingue di orso.
Non mi capiscono
ma ho capito
che è per questo che sono venuto da loro.
Mi faccio leccare
ed è la migliore compagnia che potrei avere
orsi in una grotta
orsi che non capiscono
che mi leccano la faccia
e io gli spiego
e loro non possono capire.
Perfetto così:
loro non possono capire
e io,
effettivamente,
non ho nulla da spiegare.
A volte è bello sentirsi accettati totalmente per ciò che si è, accolti affettivamente, senza parole e senza aver niente da spiegare. La rassicurazione alle problematiche della vita e alle insicurezze si trova nel contatto con le persone amate, che salva dalla spaccatura di se stessi e dalla perdita della faccia giù nel lavandino:
L’altro giorno dovevo andare a lavorare
ma mi sono accorto
che mi ero lavato la faccia troppo
mi ero lavato la faccia via.
Mi sono guardato meglio allo specchio e vedevo bene
che non c’era niente
neanche una ruga di espressione
neanche un ricordo di sentimento[2].
La donna amata, nella sua definizione di “moglie”, diventa colei che porta conforto e garantisce una struttura contenitiva, permette di rimanere se stessi e consente il sonno sereno. Il legame d’amore assicura di atterrare e ancorarsi a terra, dopo aver orbitato nello spazio della poesia. Senza l’altro si rischia di perdere tutto, anche la propria faccia, la propria identità:
ci salveranno te che ci dici bevi piano che scotta
e noi berremo piano,
soffiando,
cercando di capire quel che abbiamo davanti
cercando di vedere quel che ci salverà.
Ciò che salva risiede nell’aspetto di cura, semplice e costante, di sé e dell’altro:
sono le tisane
preparate piano,
le tisane,
con amore,
tisane leggere
decotte pesanti
tisane straripanti buoni sentimenti.
ARCOBALENO NASCOSTO
Ti porto in un posto
le dissi
in un posto
dove c’è questo arcobaleno nascosto
un arcobaleno
poverino
visto da nessuno
ma noi ci andiamo
e gli diciamo di stare tranquillo
che è bello
anche se è un po’ lontano
e non c’è mai nessuno a vederlo
perché nascosto
dietro questa cascata in Nicaragua
questo posto
questo arcobaleno nascosto
noi ci andiamo per davvero
ti ci porto
in bus treno e aereo
arriviamo lì
affittiamo una jeep
attraversiamo chilometri di fango e burroni pericolosi
e la foresta col machete
noi
ci facciamo largo
poi facciamo attenzione
a certi tipi di serpenti velenosi
ragni velenosi
formiche velenose
e pure un tipo di fiore
lì
è velenoso.
E ti ci porto
e non ce ne frega niente
anche se mi vengono in mente
adesso
oltre al serpente e tutto il resto
tutti quei nostri
contratti d’affitto
di queste case troppo care
serpenti velenosi
a forma di bollette della luce
di dentisti famelici
avvocati e notai indomabili
periti esperti certificati da tutte le parti
vigili curiosini
fatti di multe.
E lei mi dice senti
forse è pure giusto
che questo arcobaleno nascosto
rimanga laggiù
visto da nessuno
forse è un arcobaleno timido
l’arco gli viene storto
maldestro
sai cosa facciamo
ne facciamo uno nostro
ce lo teniamo in tasca
che c’è posto
e quando ci va
anche senza cascata
anche senza Nicaragua
lo tiriamo fuori
lo guardiamo noi
e basta.
Che ne dici?
La meraviglia si può trovare ogni giorno, in tasca, in casa, senza dover fare viaggi all’altro capo del mondo: è una co-costruzione che nasce all’interno della relazione, rappresentata nelle sue sfaccettature e complessità. Nel rapporto di coppia ci si può specchiare, vedersi e ritrovarsi attraverso la condivisione e la comprensione. E gli aspetti di tenerezza vanno di pari passo a quelli dell’ardore, che fa bruciare una torta.
“Sono io un potenziale bombarolo?” attraverso il dialogo si trova la propria definizione, si fanno le rivoluzioni con le parole e con le idee al posto delle bombe.
I colpi di scena linguistici, tipici di Filippo Balestra, sono necessari per sdrammatizzare e per creare una spaccatura nella normalità: attraverso le Poesie Normali si va oltre la norma. Il poeta sa virare lo stile, cambia genere e fa stupire attraverso l’inatteso.
IL DOLORE DEL POETA
Il dolore del poeta
è ciò che strugge la gente
e attualmente
il mio dolore
è alla schiena
in basso però
che ho sollevato uno scatolone di libri
come fosse zucchero filato
e non mi ero accorto di quanto la carta,
tutta attaccata,
tutta insieme,
potesse essere pesante.
Il dolore del poeta è questo scatolone di libri
che ho pagato usati
e non leggo perché sono troppo pesanti
e mi fa male la schiena
e quando vado alle riunioni dei poeti
gli dico che quel libro di cui parlano
ce l’ho
che mi piace
ma non dico
che intendo la copertina
bella
con un disegno di un fiore schiacciato sul marciapiede
toccante.
Il dolore del poeta io non so
attualmente
ho un appuntamento
col fisioterapista.
L’inaspettato dà valore al testo poetico rendendolo originale, come fosse un racconto. Il poeta infatti racconta con umorismo delle storie e fa sperimentare al lettore dei percorsi metaforici speciali, anche dentro al frigorifero.
MI SON MESSO DENTRO AL FRIGO
Visto che bisognava parlare di eternità
che di eternità si parla sempre
ma mai abbastanza
ho deciso di trovarmi un posto
lontano dal tempo
dove mettermi tranquillo
fermo sicuro
vicino all’eterno.
Mi son messo dentro al frigo.
C’è un limone secco del novantuno qui
del parmigiano in crosta dimenticato
che prima o poi ci faccio una minestra
ci sono lunghi pezzi di ferro filiformi
dove andrebbero riposti i cibi
ci sono
aria fredda
rumori di motorini elettrici tipici dei frigoriferi
e questa luce accesa di quando è aperto
e nient’altro.
Visto che bisognava parlare di eternità
mi son messo dentro al frigo
adesso penso a qualcosa
da farmi da mangiare
perché
c’ho fame.
L’eternità è grande e non aspetta ma
l’eternità è così grande
può anche aspettare.
Per il poeta è fondamentale muoversi nella natura con rispetto e con la speranza di fare la pace e mantenere l’equilibrio.
CANI PUNTI SUL MUSO DALLE API MENTRE ANNUSANO I FIORI NEI PRATI
Seduto sul gradino di un’aiuola,
arriva Igor di corsa,
la lingua tutta fuori.
Igor è un cane con il naso a punta
ma non quel giorno.
Igor arriva e ha la faccia tonda,
gonfia come una luna
o un’arancia.
Gli dico Igor, che hai fatto?
lui non parla,
guardo meglio il muso e vedo un’ape morente su Igor,
ancora appesa alla guancia di Igor.
Quindi posso dedurre che il mio cane,
mentre annusava i fiori,
abbia visto un’ape
e ubbidito a quegli istinti millenari
che portano i cani a mangiare le api in volo
pur di catturare qualcosa,
e le api a uccidersi
pur di rammentare ai cani
che non devono mangiare le api.
Nonostante ciò
l’ape è morta invano
adesso Igor è qua,
e non ha capito niente,
ha la lingua tutta fuori,
vorrebbe dirmi che sente qualcosa di male in faccia,
ma non parla
prova quella terribile sensazione che è
il non saper di cosa aver paura.
Il mio amico Alessandro mi ha detto che la paura bisogna
distruggerla,
con coraggio,
non lasciare che niente ci domini,
nemmeno la natura.
All’inizio, questo discorso sulla natura mi spaventava,
ero sempre stato contro ai buchi degli ozoni,
e alle deforestazioni dell’Amazzonia,
ma adesso che guardo la faccia di Igor deformato
ripenso alle parole di Alessandro.
Provo a immaginare quel che direi alla natura,
se mi si presentasse davanti,
probabilmente le tenderei la mano
in nome dell’umanità tutta
ma anche in nome di Igor
e dell’ape morta,
tenderei la mano alla natura
per chiederle di fare pace.
Dai natura, le
direi, facciamo
pace.
La poesia di Filippo Balestra ci orienta in un contesto culturale, in compagnia di tutte le parole da usare per creare un nuovo senso comune, civico e semantico, per condividere e vincere la paura.
L’UOMO CHE HA QUASI FINITO LE PAROLE
C’è un uomo,
poverino,
lo vedi lì?
Sembra tranquillo
eppure è molto preoccupato
per eccesso di lessico
ha già usato quasi tutte le parole,
ha approfondito diversi aspetti della numismatica vocabolaria
tutta la varia scienza linguistica ha sfruttato,
e adesso
è rimasto
quasi
senza.
Ha sperimentato diverse combinazioni
in contesti
anche sbagliati,
ha provato a dire ‘buongiorno’
nel bel mezzo della notte
ha provato a dire ‘fanculo’
seduto composto
in un salotto buono
e ha pure detto ‘ornitologia’
ad alcuni speleologi incontrati per sbaglio e
‘figlio di orologiaio’, ha detto,
al meccanico della sua auto rotta
che poi dopo lo ha preso a botte.
Ma ci sono parole
che non gli viene bene
metterle insieme.
Son parole che ha paura di rovinare.
Se potesse, le terrebbe in cantina,
queste parole
le conserverebbe in un barattolo di vetro,
lontano dalla luce e da fonti di calore.
Poverino,
è ‘ti – amo’
che non riesce a dire,
per paura che si possa
consumare l’amore.
[1] Balestra F., Mi faccio corteccia, da Poesie Normali.