“È un miracolo se non bruciamo nell’incendio
di un tacco o di un almanacco.
È un puro miracolo se non si scompare
tra le foglie delle tue mani”.
(Aldo Galeazzi, Iperteso).
Aldo Galeazzi, nasce a Pisa nel 1973, resuscita a Livorno dopo una settimanetta circa.
Attore, scrittore e poeta rivendica l’attività di lettore professionista nella categoria artigiani al pari di calzolai e soffiatori del vetro.
Dopo alcune pubblicazioni politico-poetiche clandestine, tra cui spicca Quando tornammo due di troppo con le tue scarpette rosse (raccolta di poesie con i poeti A. Granata e L. Papini), inizia la collaborazione con Erasmo edizioni con cui pubblica la raccolta di racconti RE SOLO (2009) e Piovono Gabbiani Alti (2016), silloge di poesie e altri scritti.
Fondatore, con Mirko Sarti, del gruppo teatral-musical-poetico IL MANICOMIO ROSSO col quale si diverte a girare per lo mondo cercando di fare più risate possibili e soprattutto soddisfare l’appetito sempre crescente…
Si occupa di cultura a 365° gradi, ovvero tutti i giorni; ha una proficua interazione col Caffè Letterario LE CICALE OPEROSE (Corso Amedeo 101, Livorno), collaborando a decine di iniziative, che Maristella Diotaiuti e Federico Tortora organizzano.
Ultimi lavori:
2019: RECITAL PASOLINI – CORSARO VERO liberamente tratto da Scritti Corsari, di e con Aldo Galeazzi (voce recitante) e Mirko Sarti (sound design e chitarra).
Una rilettura impegnata e impegnativa dell’opera giornalistica dello scrittore, poeta e regista Pier Paolo Pasolini. Si affrontano l’editoriale del 7 gennaio 1973, Il discorso dei capelli e quello del 14 novembre 1974, ovvero il ben più famoso editoriale apparso sul Corriere della Sera Il romanzo delle stragi. Editoriale che, insieme al romanzo (pubblicato postumo) Petrolio, gli valse la condanna a morte da parte di quell’establishment che ancora manovra nell’ombra i fili di questa nostra povera Italia.
2021: In collaborazione col Teatro Goldoni di Livorno: “Pier Paolo Pasolini – MANIFESTO PER UN NUOVO TEATRO”, di e con Aldo Galeazzi e Mirko Sarti, regia e scene di Emanuele Gamba, montaggio A. Galeazzi. Docu-fiction liberamente tratta dall’articolo apparso nel 1968 sulla rivista Nuovi argomenti, sulla riforma del teatro in Italia. https://www.youtube.com/watch?v=q44GEkHerf4&t=28s
Collabora alla creazione e alla conduzione di numerosi programmi televisivi, dallo sport alla politica all’economia, sulla rete locale livornese Telecentro2.
LE POESIE
“Sarà un miracolo non rimanere paralizzati
tra le ombre dei corridoi del tuo cappotto.
Sono esiliato dalla meraviglia
tanto sono consapevole che tutto è un miracolo”.
(Aldo Galeazzi, Iperteso).
Il poeta fa scorrere la vita quotidiana insieme al caffè: giornate di minestrone e tabacco. Ci porta dentro al suo cuore e descrive i legami affettivi avvolgendoci con un ritmo lento e costante, scandito dal battito della relazione tra padre e figlio.
Ci mostra un rapporto eterno, che simboleggia la capacità di prendersi cura dell’altro nel passare del tempo, tramite vicinanza, presenza e gratitudine.
E diventa un modello universale, da raggiungere per tutti.
AI PADRI E AI FIGLI
Sono con te babbo
nei giorni lunghi
e nelle notti opache
sono con te babbo e
ti vedo
sempre più smarrito
nel tuo ostinato vivere
ti vedo
meravigliarti delle tue stesse mani
che non prendono,
rigate e macchiate.
Babbo sono con te
quando mi sei grato
solo d’un caffè riscaldato
a spezzare l’ora eterna
del pomeriggio
che assedia il vetro della finestra.
Sono con te babbo
nella tirannia del tabacco
nella propaggine di cenere
d’un ricordo
coniugato al futuro anteriore
dove affondi il bastone, incerto.
Sono con te babbo
sono le cinque
sono le sette
non sono neanche le due stai tranquillo
c’è il minestrone
ha chiamato Roberto
domani se piove c’è il sole
domani c’è il sole.
La poesia di Aldo Galeazzi celebra anche le amicizie e la socialità, inneggiando alla vita e alla poesia: Mi raccomando le braccia sempre, sempre, sempre spalancate! Accogliete, accogliamo!
AMICI
Amici non siate timidi, anzi!
Siate timidi!
E cingete ugualmente la vita, i fianchi
di quel cuore biondo che pulsa
dentro lo sfrigolio d’un petto così giovane
da farci arrossire di vergogna!
Le braccia! Mi raccomando le braccia
sempre, sempre, sempre spalancate!
Accogliete, accogliamo!
Amici regalatemi dieci minuti di riflesso,
un prestito della vostra festa,
ch’io possa adornarmi la testa
d’un po’ d’alloro,
inebriarmi del vino che bevete al mio posto
– d’onore –
e i fumi fate abbondanti ché si insinuino
nei respiri delle amanti,
perché siano la nebbia
dove poter rubare tutto di noi
– non visti ma riconosciuti –
gli uni nel tocco delle altre.
Amici, regalate un dente per uno
a formare un sorriso gigante
per questo mio pensiero biondo,
bisognoso di fortuna.
(In gloria a Carlo Monni e Andrea Cambi).
Il contesto è quello della sua Livorno, rievocata di giorno e di notte, della quale focalizza dei dettagli (le strisce pedonali, un cappotto, una saponetta, un manifesto strappato) e qualcosa di struggente rimane nella gola e nelle lacrime di tutto il mondo da asciugare perché domani c’è il sole.
PIOVONO GABBIANI ALTI
I gabbiani volano alti a Livorno
ma poi piove lo stesso.
La luna ha due ganci di stelle e si tira su
a forza di sospiri e occhiolini.
Il cielo fa finta d’essere di notte
più spesso di quel che crediamo e
nessuno fa la guardia al mare.
Le strisce pedonali
fanno un gran parlare di psicologia
allora mi tocca cantare a squarciagola
quando passo in motorino
per non farmi distrarre.
Lunghe cosce camminano da sole
in via S. Andrea e ai tre ponti.
Gli amici sono in settimana bianca
già da un anno
e lanciano cartoline dalle funicolari.
Si soffre di moltitudine e
al limite
speleologi vanno alla ricerca dei pianti
rimasti in gola.
Lo scenario del tramonto incornicia la città portandoci il salmastro del mare con pennellate dai colori forti. Ci fa percepire gli odori, i profumi e i sapori delle parole scelte, sillabe impregnate di sale e di vino:
“vedo come potrebbe essere,
il giallo e il rosso del tramonto salato
come il conto da pagare
che mi presenta un cameriere improvvisato
più ubriaco di me[1]”.
Il poeta in concomitanza con l’entusiasmo e l’umorismo, che diffonde nella collettività, percorre anche un interregno dolente, sotterraneo e intimo:
“Sarei troppo bianco nel viso e con quelle borse
sotto gli occhi dovessi andare alla riunione di condominio
la mattina del sabato alle 10.
Con la testa che gira e gli attacchi di terrore[2]”
e giunge all’inaccessibile nazione dei morti.
L’INACESSIBILE NAZIONE DEI MORTI
Io di solito non ricordo
non mi ricordo
poi non sto lì a crogiolarmi nella memoria
che non ho.
(bugiardo, sto lì a crogiolarmi per notti)
Possiedo delle rovine di ricordi
antiche vestigia che posso visitare a piacimento
polverose strade della mente
attraverso
(bugiardo, è netto quel gesto e quell’ombra è seduta ancora dove noi ).
Ricordo circospetto travolto dal crollo d’un volto
una mano senza corpo
rimane
un profumo rende un intero paese.
È predominante il rosso
e una mano di rosso passo nuovo
sullo strappato manifesto
del muro diroccato in faccia alla tua finestra
Non è che un ricordo che falso passo dopo passo
dopo passo
solo l’indelebile è cancellato
solo il per sempre finisce, adesso.
Un odore e si arrende l’inaccessibile nazione dei morti.
L’elemento delle mani è centrale nella poetica di Aldo Galeazzi: troneggiano visivamente come una scultura, che commuove.
Il poeta descrive delle mani staccate dal corpo, mani rosse, mani che diventano foglie, mani che tremano mentre le braccia si spalancano:
“È predominante il rosso
e una mano di rosso passo nuovo
sullo strappato manifesto
del muro diroccato in faccia alla tua finestra”.
Ci immaginiamo Livorno vista dalla finestra di fronte: un muro diroccato, un manifesto strappatoche sa di rivolta e di libertà che guida il popolo. Libertà che invita a cantare a squarciagola in motorino e a nuotare nel mare di notte senza guardie.
La voce e le mani del poeta, dunque, diventano metaforicamente la voce e le mani dell’universo, nel quale lo scrittore porta poesia e fratellanza.
Si fa portavoce delle sofferenze umane, della solitudine e della cura dei legami.
Percepisce la voce del mondo e traduce un messaggio di solidarietà, per fare pulsare il cuore del mondo.
“Ma la notte, chiuso nella stanza,
più solo dell’uomo più solo del mondo,
a chi parlerebbe quella voce,
a chi sussurrerebbe la voce che generosa regala l’incanto,
a chi donerebbe la visione delle donne e gli uomini di valore
che prima di noi hanno tracciato i sentieri del senso.
Potrei far tornare i conti della spesa
ma smarrendo la strada!
Rinunciando alla voce che parla agli occhi”.
Con struggente romanticismo tocca le vette del puro pensiero originale, con le sue Voci:
“Appoggia l’orecchio al mio petto,
con dolcezza – oh se ti amo, come sempre –
senti con me il cuore del mondo
mi ha scelto per piangere tutti i suoi sorrisi.
Mi ha scelto, la voce lo dice e non c’è modo di poter dormire
prima che tutte le lacrime siano asciutte[3]”.
VOCI
Non sono mica un imbecille,
quando il sole va giù e io ci guardo attraverso,
vedo come potrebbe essere,
il giallo e il rosso del tramonto salato
come il conto da pagare
che mi presenta un cameriere improvvisato
più ubriaco di me.
Lo sai son vent’anni a ottobre che non bevo più
quindi non è questo il punto.
Se dovessi incontrare l’idraulico prima di mezzogiorno
non riuscirei a sentire neanche una parola
sarei troppo impegnato a non fargli notare il tremore delle gambe
e delle mani.
Sarei troppo bianco nel viso e con quelle borse
sotto gli occhi dovessi andare alla riunione di condominio
la mattina del sabato alle 10.
Con la testa che gira e gli attacchi di terrore.
Saresti contenta se alle 9 portassi fuori il cane e prendessi il giornale,
e magari comprassi i dolci dal pasticciere per il compleanno
di tua madre.
Non dico che non mi piacerebbe,
mi piacerebbe eccome,
è solo una questione di abitudine e guarda, tutti lo possono fare.
Ma la notte, chiuso nella stanza,
più solo dell’uomo più solo del mondo,
a chi parlerebbe quella voce,
a chi sussurrerebbe la voce che generosa regala l’incanto,
a chi donerebbe la visione delle donne e gli uomini di valore
che prima di noi hanno tracciato i sentieri del senso.
Potrei far tornare i conti della spesa
ma smarrendo la strada!
Rinunciando alla voce che parla agli occhi.
Appoggia l’orecchio al mio petto,
con dolcezza – oh se ti amo, come sempre –
senti con me il cuore del mondo
mi ha scelto per piangere tutti i suoi sorrisi.
Mi ha scelto, la voce lo dice e non c’è modo di poter dormire
prima che tutte le lacrime siano asciutte.
L’entusiasmo si amalgama con il terrore, l’acclamare con il tremare, la meraviglia con la paura, elementi da impastare per non rimanerne scossi, sapendo che la vita è un miracolo da santificare, fatto di ricordi:
“Possiedo delle rovine di ricordi
antiche vestigia che posso visitare a piacimento
polverose strade della mente”.
Il poeta integra le dualità della mente e si sacrifica per la collettività, attraverso l’espressione di un dolore che sprigiona sorrisi.
IPERTESO
“È un miracolo se non ci sciogliamo nella vasca come una saponetta”,
così disse il vecchio, scampato all’eroina, al mio attore inglese preferito in quella commedia sofisticata.
È un miracolo se non evaporiamo nel gelido vento degli sguardi.
Approfitto per gettarmi subito in un elenco, così tanto mi divertivano.
È un miracolo se non bruciamo nell’incendio di un tacco o di un almanacco.
È un puro miracolo se non si scompare tra le foglie delle tue mani.
Sarà un miracolo non rimanere paralizzati tra le ombre dei corridoi del tuo cappotto.
Sono esiliato dalla meraviglia tanto sono consapevole che tutto è un miracolo.
È un miracolo se non mi trovano avvolto nello scotch alla stanghetta degli occhiali.
Mi divertivano perché non mi divertono più.
Legami familiari.
I più fortunati, i più sfortunati.
Gli orfani, le madri.
L’amore.
Caro amico mio, ti vedo spesso.
Con la coda dell’occhio ti vedo e guardando meglio svanisci, non sei tu è un altro.
È il tuo scherzo.
Oggi ho visto una fotografia che ti ritraeva,
eri già magro e reggevi un ombrello colorato e
avevi quell’espressione tua irresistibile.
E la radio, la radio! Intervistano una e sai che lavoro dice di fare?
Macchinista – ferroviere! La tua battuta.
Classica.
Passo sempre sotto casa di tua madre e oggi mi chiedevo se parlarle, avere una scusa per parlare un po’ di te ma non potrei essere sboccato e neanche tuo fratello capirebbe.
Gli orfani, le madri, i miracoli.
E Paolo, il mio amico.
Le riflessioni sulla morte guidano ed esorcizzano la paura del dicembre del giorno, perché inevitabilmente il pensiero di ciascuno va a immaginare come sarà la propria morte: la soglia finale, l’universo parallelo che scorre sotto di noi.
La problematica del morire influenza la vita quotidiana come l’ombra che ci accompagna. Attraverso citazioni dantesche e leopardiane, il poeta produce su questo tema gran parte dei suoi testi, perché la morte riguarda tutti, senza distrazioni.
DISTRAZIONI
Ci saranno allora, ancora pensieri di cose da fare
in punto di morte
che ad elencarle nella mente tutte, sarai perfino distratto
tanto che le voci smetteranno d’esserti rivolte
poiché già morto e assunto al sonno etterno.
Lo sgomento del tuo trapasso, nei cuori degli amici
è per se stessi
che si vedono giacere un dì dappresso;
il capezzale dei loro incisi rimpianti vagheggiano
storditi e in pianti, mormorando Ave Marie.
Poi, precipiteranno in un ricordo per immodestia
al sapore d’incenso
roteando gli occhi come si conviene coi compari
convinti del tocco dello Spirito Santo e nel volo
allora adolescenti all’oratorio.
Tuoi non saranno che muti pensieri, d’altrove nascosti
non più i volti
saranno i gigli Bianchi Fiori del giardino ulteriore
come il volto di Madre che sempre hai invocato
alla soglia finale, al dicembre del giorno.
[2] Galeazzi A., Voci.
[3] Galeazzi A., Voci.