di Vittoria Giubbolini, psicologa, allieva di specializzazione al secondo anno IAF.F
I Cantone sono una famiglia benestante e rinomata della città di Lecce, grazie principalmente al pastificio di cui sono proprietari da ormai più generazioni. Fatti, racconti, segreti si intrecciano e si snodano tra le mura di questa casa, mura salde e impenetrabili che lottano strenuamente per mantenersi tali: non importa quanto accade al suo interno perché fondamentale è preservarne l’immagine.
L’apparenza rappresenta un tema centrale in questa storia perché è per essa che si è disposti a rinunciare ad essere – o a farlo nel segreto. Scegliere di mantenere e preservare la “maschera” della famiglia significa potervi appartenere ma l’unica possibilità è rinunciare a modificarla: ogni cambiamento che rischi di intaccare l’immagine deve essere negato e taciuto, nascosto sotto il tappeto sebbene davanti agli occhi di tutti. In questa rigida strutturazione uno spazio di possibilità si apre con la nonna, la “mina vagante”, che mette le cose “in posti dove nessuno voleva farle stare”. Anche in lei essere ed apparire lottano inesorabilmente, tanto da portarla a pensare di togliersi la vita per non rinunciare ad un amore che non le era consentito: Nicola è l’amore impossibile, il cognato che tanto desiderava, l’uomo che le insegna a sorridere quando dentro sta male. Non è un ridere per mantenere un’immagine, reprimendo e sottacendo ogni fatto che possa intaccarla; quello della Mina Vagante è un ridere consapevole che decide di apparire non rinunciando ad essere. È proprio con Nicola infatti che la nonna aprirà il pastificio che diventa il deposito della propria individualità, del piacere, dell’essenza profonda dei protagonisti, senza perdere però quel vincolo di appartenenza familiare che è l’apparenza. Quello che è in gioco nella vita di questa famiglia è la possibilità di trovare uno spazio nuovo per la soggettività che non si ponga come scelta o-o ma come via verso l’e-e.
A favorire e accompagnare questo cambiamento è il mondo esterno: Alba, Nicola, gli amici di Roma di Tommaso, un esterno che entra e che tira fuori il piacere, la libertà di poter decidere per se stessi, di esprimersi per quel che si è. C’è un esterno che giudica ed uno che accoglie e accompagna, che permette di scoprirsi, ma soprattutto di integrare. Con gli amici di Tommaso il nemico è alle porte: quel che più si temeva è entrato nelle rigide mura della famiglia, pronto a scardinare le ultime resistenze. Di nuovo si cerca di negare e di non guardare ma la realtà è chiara a tutti e si percepisce negli sguardi e nei racconti della zia Stefania: si sta aprendo la strada verso una reale evoluzione della famiglia in cui l’apparenza possa legarsi intimamente all’essere – e all’essere diverso – di ciascun membro dei Cantone.
La Mina Vagante rompe infine quel bisogno fittizio di apparire trasformandolo in opportunità di scegliere la propria maschera, quella che necessariamente il nostro mondo interno deve indossare ma che può decidere di modellare. La famiglia Cantone ha di nuovo ripreso a darle una forma propria, non più imposta da un passato che permea ma che chiede di essere trasformato.