Iniziando a leggere il testo di Bowen e incontrando i vari termini quali: differenziazione, massa indifferenziata dell’io, fusione, resistenza del sistema, ed andando a leggere la scala di differenziazione, una delle prime cose che di pancia mi è saltata alla mente è stato un passo tratto dal ‘Profeta’, una raccolta di pensieri di K. Gibran e nello specifico una riflessione intitolata ‘Dei figli’ che recita così:
“I vostri figli non sono i vostri figli. Sono i figli e le figlie della forza stessa della vita. Nascono per mezzo di voi, ma non da voi. Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono. Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee, perché loro hanno le proprie. Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima …perché abita la casa dell’avvenire. [..]”
Se dovessimo prendere spunto da Bowen e decidere di mandare una lettera ai nostri genitori, da giovani adulti che stanno cercando di differenziarsi, di definirsi dentro e fuori dalla propria famiglia, potremmo invitarli a leggere e ragionare su questo passo; ma sono cosciente che non sarebbe sufficiente, perché il vero lavoro dovremmo prima farlo con e su noi stessi altrimenti, anche un invito alla lettura così, potrebbe essere interpretato dall’altro come un attacco o solo come una richiesta di libertà, senza capirne il senso più profondo.
Come infatti dice Bowen ‘ il primo utente della terapia familiare è proprio colui che la sta apprendendo’, e ancora ‘ non bisogna aspettarsi che gli altri cambino per noi, siamo noi che dobbiamo cambiare senza farci illusioni’.
La lettura di questo testo può diventare perciò uno spunto a leggere la propria famiglia e il lungo processo che intraprendiamo nel tentativo di differenziarci da essa.
Una delle cose che ho capito essere di impedimento per molti in questo tentativo, e del perché questo risulti fallimentare, è dovuto al poco controllo che riusciamo ad avere sulla nostra REATTIVITÀ EMOTIVA. Per ridurre questa si dovrebbe diventare dapprima dei migliori osservatori, ‘mettersi al di fuori’ per riuscire a capire meglio la parte che giochiamo nelle dinamiche e nelle interazioni con la nostra famiglia, il venir TRIANGOLATI dai nostri genitori, e tra questi ed eventuali fratelli o sorelle.
Se lo scopo è la differenziazione, il nostro obiettivo diventa riuscire a DETRIANGOLARCI, e cioè, come definisce Bowen sia per il singolo che nella terapia con la coppia, stando in contatto con il sistema emotivo della famiglia che coinvolge noi e altre due persone dovremmo: riuscire a NON schierarci da una parte o dall’altra, cosa che i figli sono costantemente chiamati a fare quando c’è una discussione tra i genitori, e NON contrattaccare o difenderci ma mantenere una linea di risposta neutrale, cosa che spesso quando si è coinvolti nelle discussioni diventa difficile da fare.
Quando un individuo tenta di portare avanti i propri pensieri, le proprie visioni, o di staccarsi dai modi e dai tempi condivisi di fare le cose, veniamo attaccati e risucchiati da quel sistema famiglia, dalla MASSA INDIFFERENZIATA DELL’IO, quell’identità emotiva conglomerata, che si oppone al cambiamento e tende alla FUSIONE e veniamo accusati di egoismo e ostilità. Il noi che funziona come ‘questo è sbagliato’, ‘questo è quello che va fatto’ agisce su di noi e così risponde ai tentativi di differenziazione.
Altro punto fondamentale nella teoria di Bowen è quello di avere delle relazioni DA PERSONA A PERSONA, ossia: quando due persone sono in grado di comunicare liberamente su una gamma di argomenti personali, senza parlare di terze persone, dunque senza triangolare, o senza che la comunicazione diventi impersonale.
La comunicazione può diventare un grande problema in alcune famiglie disfunzionali. È la parte che possiamo sentire maggiormente difficile se ogni volta si trasforma in scontro, prevaricazione, triangolazione.
Ciascuno di noi può collocarsi ad un certo livello di questo processo; la maggior parte di noi che è ancora coinvolta nelle dinamiche della famiglia potrebbe identificarsi in un ‘ATTACCAMENTO EMOTIVO NON RISOLTO’, dove vi sono meccanismi destinati a controllare l’indifferenziazione.
Il modo di rispondere di questo attaccamento è agendo un TAGLIO EMOTIVO, che indica la distanza emotiva raggiunta tramite meccanismi interni o la distanza fisica. Trovandoci in presenza dei nostri genitori isoliamo il sé, ossia, per dominare l’ansia dovuta a questo contatto mettiamo in atto il silenzio o il rifiuto di parlare…ecco perché può diventare un problema la comunicazione!
Oppure, quando la comunicazione si fa insostenibile, per non continuare a reagire a parole usciamo dalla stanza (distanza fisica).
Una delle soluzioni che ci troviamo ad agire in queste situazioni di difficoltà, potrebbe essere quella di differenziarci sul piano fisico, ricorrendo ad una distanza, allontanandoci da casa per poi successivamente potervi fare ritorno, come chiede Bowen ai suoi allievi ‘rientrare per poterne star fuori’.
Bowen stesso ha potuto escogitare il suo piano stando fuori dalla sua famiglia di origine, per poter avere un miglior ruolo di osservatore e maggiore obiettività emotiva…che poi dovrà mantenersi anche stando dentro al sistema emotivo della famiglia.
Oppure, bisognerebbe portare la coppia genitoriale ad affrontare i loro di attaccamenti irrisolti con le loro famiglie di origine e lavorare sulle loro di relazioni. O, prendendo spunto dal piano di Bowen mandare delle lettere ai nostri genitori e agli altri membri della famiglia, magari facendo riferimento alla poesia di prima, ma sarebbe difficile scrivere senza muovere nessun attacco, o come ha fatto lui evitare che gli altri si alleino o tentino di triangolare.
Bisognerebbe lavorare prima con la coppia perciò? O con il più sano? Ma chi è il più sano? Siamo noi che vogliamo differenziarci? O veniamo visti dagli altri come elemento disturbante e problematico?
Uno spunto di riflessione interessante è nato poi sulle relazioni a due, soprattutto riguardo alle relazioni amicali, e a come questo potrebbe essere un buon metro per valutare le amicizie e con quante si riesca realmente ad avere uno scambio così profondo.
Interessante anche l’uso del pettegolezzo, e di come viene usato nel gruppo delle amicizie. Importante potrebbe essere capire come una persona possa utilizzarlo come modo per avvicinarsi ad un’altra, per avere un noi, o per gestire l’ansia, magari per scappare quando uno scambio si fa troppo personale e non si riesce a sostenerlo.