“Da piccolo volevo un canestro
da mettere ai piedi del letto
per imparare una volta per tutte
a sbagliare da solo”.
(Max di Mario, Comparse a scopo di lucro)
Le poesie di Max di Mario costituiscono un percorso evolutivo, individuale, che approda nella comunità: questo articolo, che prosegue dal precedente del mese scorso, indaga la dimensione collettiva[1]. Prendersi cura di sé e delle relazioni è l’obiettivo primario di questo viaggio nel tempo. I testi poetici sono il punto di partenza nel presente, ma per migliorare la civiltà è necessario Inventare il futuro.
INVENTARE IL FUTURO
Buio.
A occhio e croce ho gli occhi chiusi.
Esito, dunque esisto.
Li apro, ed un dolore feroce, fisico mi squarcia
sfocio nel caos caleidoscopico di luci artificiali,
alzo lo sguardo tra petardi metallici, che tagliano il cielo.
È un uccello? È un aereo?
È Superman?
No, è un rider di Glovo,
la più grande organizzazione no-profit del globo
che porta a tutti quello che vogliono, prima ancora che lo sappiano,
glielo dice Amazon, che cataloga i nostri gusti, però con garbo
ma non per trasformarli in fastidiosi banner
bensì in buoni regalo, per libri di Kafka e di Salinger
e ogni dieci euro di spesa pianta un albero.
Barbara d’Urso ha cent’anni e parla del nuovo summit per l’ecologia a Jakarta,
nessuno dei suoi ospiti urla ma addirittura parla
interviene con calma, alzando educatamente la mano,
mentre a X-factor vince per la seconda volta un compositore dodecafonico
e l’ologramma di Mara Maionchi cita Leonard Cohen,
Massimo Boldi è un cyborg e gira Natale ad Hanoi,
una retrospettiva misticheggiante e intimista sulla politica nordvietnamita
con rievocazioni tarkovskane e un pionieristico uso della tecnologia 5D.
Ma l’amore, l’amore si fa sempre alla vecchia maniera.
Solo che nessuno lo chiama nemmeno più amore,
ognuno lo chiama semplicemente come vuole
e le persone si dicono: io ti baudelairo, o io ti dostoiesko, io ti kafko
E si possono baudelairare dostoieskare o kafkare ognuno come cazzo vuole,
ognuno come davvero si sente.
perché a nessuno gliene frega niente
di come kafki il tuo partner, chiunque sia, fa lo stesso
fosse pure, come Narciso, il tuo stesso riflesso nell’acqua.
Su Facebook, gli hater iniziano i commenti con: mi permetta, discutiamone con calma,
gli influencer postano foto dove davvero leggono Bukowski
e se postano il culo non è per vanità ma per orgoglio del proprio corpo.
I complottisti credono ancora, ciecamente, che qualche potere forte li voglia imbrogliare
e quindi si assicurano di aver studiato a fondo un argomento prima di parlare,
si occupano prevalentemente di complotti quantistici, sostengono che la lobby dei fisici
si impegni troppo poco per comprendere il potenziale gravitazionale della materia oscura,
lo affermano dalla loro enorme biblioteca sulla faccia nascosta della Luna:
Ma ecco che accecato chiudo gli occhi, di nuovo, svengo.
Tra emicrania e confusione, mi risveglio.
Hanno suonato al campanello, rispondo: è Glovo.
È sua la quattro formaggi con salsiccia di mora romagnola e peperone crusco?
No, ma ho una fame che muoio, ora che ci penso.
Dico sì, è mia. La prendo.
E bestemmio, sottovoce, mentre mi si incastra tra i denti
il maledetto peperone crusco, pagato quindici euro.
E capisco, capisco che non bisogna mai rassegnarsi,
mai rassegnarsi alla tirannia di un presente immasticabile, ineluttabile,
che ti si incastra tra i denti e ti cola sul divano, sul pigiama,
ti ustiona sfregiandoti irrevocabilmente l’internoguancia
e ti sfida, sì, ti sfida a pensare come mai potrebbe andare peggio
della tua preziosa serata disintegrata da una pizza troppo cara
ustionante, che fa pure discretamente schifo
come la metafora della pizza per parlare di futuro
ma è un allenamento,
sbagliare pizza, sbagliare metafora:
un allenamento per l’immaginazione
per imparare, un errore dopo l’altro
una storia, una poesia dopo l’altra
a inventare strade sempre diverse per avere cura
del futuro.
Per Max di Mario la coppia è calata in una cornice moderna e l’amore si fa sempre alla vecchia maniera, nonostante i cambiamenti della società:
Solo che nessuno lo chiama nemmeno più amore,
ognuno lo chiama semplicemente come vuole
e le persone si dicono: io ti baudelairo, o io ti dostoiesko, io ti kafko
La cultura del passato è adoperata in maniera ludica, per renderci liberi e complici[1]. L’aspetto del gioco con le parole, nei testi e nelle relazioni, è necessario per non rassegnarsi alla tirannia di un presente immasticabile.
Max di Mario assaggia tutti gli ingredienti per scoprire cosa mettere dentro se stessi e quale è il nutrimento migliore per mantenere attiva la fantasia. Il corpo poetico si trasforma insieme al fisico. Il poeta sceglie la metafora della pizza sbagliata per sottolineare l’importanza di sperimentare, di compiere degli errori e di rinnovarsi:
la metafora della pizza per parlare di futuro
ma è un allenamento,
sbagliare pizza, sbagliare metafora:
un allenamento per l’immaginazione
per imparare, un errore dopo l’altro
una storia, una poesia dopo l’altra
a inventare strade sempre diverse per avere cura
del futuro.
La famiglia d’origine può consentire di sbagliare da solo per stimolare a crescere in modo armonico e scoprire la propria identità.
La teoria della ghianda di Hillman spiega che ognuno di noi possiede in sé l’essenza di ciò che è destinato ad essere, come lì, nella ghianda, è presente la quercia (e non il ciliegio o un’altra pianta) che non attende altro che esprimersi.
Ciascun individuo è portatore di un’unicità che è già presente prima di essere scoperta; la “scelta” dei propri genitori, da parte dell’anima, sembra in funzione della possibilità di espressione del sé, proprio tramite quei genitori.
LA BESTIA SBAGLIATA
Le mattine non hanno tutte l’oro in bocca
ma più spesso un retrogusto di vodka
che è ferita metafisica nello specchio del fiato
mi spezzo mi piego e mi spoglio delle foglie
facilmente, come un ramo
come Remo so solamente invidiare
il destino del gemello giusto
fondatore di imperi benedetti da dei
che io sono capace soltanto di bestemmiare,
è difficile trovarmi nelle pagine che scrivo
spiare oltre gli argini di cirri e ciminiere
in una città di ghepardi da tastiera
recitare la mia parte di fragile erbivoro
da sempre la bestia giusta al momento sbagliato
è evidente,
sono un bag del sistema, un insetto sterco
sono il terrapiattismo per la filogenesi
un errore imprevisto nella classificazione di Linneo
un repellente neo peloso sotto l’occhio di Darwin
Rewind. Pianosequenza in un’anonima classe delle elementari
Suor Rosa, tenero bocciolo con bicipiti da Undertaker
avvolto nella sua custodia di nera ossidiana
ci affibbia una lettera da abbinare ad animali
scatenando una pioggia di G come gatto, di C come Cane
di L come Lupo, di R come Rana
e di Z come Zebra che la mandano in sollucchero
fino ad arrivare a Max, con la sua P
come, ovviamente, Petauro dello zucchero
e giù scrosci di risate, come aghi sottopelle
piccole bocche malvagie e licantropici dentini
di futuri questori, fashion blogger e banchieri
lo sguardo di Suor Rosa
lo stesso di Schwarzenegger
quando pronuncia il suo fatale: Hasta la vista baby
e io stringo geloso il mio Petauro, al petto
sotto gragnole di scherno e di T come Topo
prendo coraggio, dico: l’ho letto in un libro!
è un marsupiale dotato di membrane dette patagi
vive in Nuova Guinea, ve lo giuro, esiste
è uno scoiattolo che vola
una M come Mucca per poco non mi acceca
Suor Rosa mi solleva, gonfia il collo taurino
scambia di posto le mie costole come un cubo di Rubik
mi chiede: perché insisti a prenderci per il culo?
Cos’hai contro il Pollo, il Pinguino, la Pecora
se vuoi fare l’originale scegli il Pitone, il Puma
Ma non stuprare con la fantasia la perfezione della natura
mangia merendine, gioca a calcio
suona Fra Martino col flauto, come tutti
invece di insistere ad infilartelo nel naso
Spera di essere un Re Magio alla recita di Natale
invece di sperare di essere l’asino
il mondo è così, puoi essere soltanto l’animale che sei nato
puoi avere occhi di aquila, o essere talpa, cieco
ma non puoi essere uno scoiattolo alla conquista del cielo.
A casa rispondo che va tutto bene, prima di rintanarmi
nella mia giungla divano
Nuotando nella testa assieme agli ornitorinchi,
imitando gli starnazzi di emù e kookaburra,
e ammirando le feci quadrate di un vombato
mentre rimetto in ordine le spalle lussate
senza sapere che un giorno un conato di noia
per ragli uniformi, omologati muggiti
dopo un lungo curriculum fatto di sbagli
di amori dadaisti e vodke in bocca al mattino,
mi porterà a squittire in un modo solo mio
irsuto roditore che plana nell’alba
felice, chiamando i suoi versi poesia,
di essere al momento giusto la bestia sbagliata.
Il passato è rielaborato e sublimato, trasformando avvenimenti accaduti in poesie.
La bestia sbagliata parla di tutti noi e chiunque può essere al momento giusto la bestia sbagliata, oppure quella giusta?
L’animale scelto rappresenta una sorta di animale guida e di alter ego (come, ad esempio, l’armadillo di Zerocalcare o gli animali che accompagnano i personaggi di Walt Disney), fondamentale per un’evoluzione psicologica.
Hillman parla del concetto di daimon: il “compagno” che ci guida nella vita verso la propria vocazione. Il daimon è la chiave per decifrare il codice dell’anima: il linguaggio che ci svela la trama della nostra vita e che è capace di traghettare i contenuti inconsci verso la consapevolezza. Per sviluppare la personalità è necessario integrare aspetti diversi di sé, confrontarsi con gli altri e scoprire i nuovi archetipi.
Secondo la teoria di Jung l’inconscio collettivo è formato da archetipi: immagini che riuniscono le esperienze della specie umana, costituendo gli elementi simbolici delle favole, delle leggende e dei sogni. Una sorta di impronte digitali dell’umanità, tracce scolpite nell’inconscio degli individui, che configurano una sorta di eredità psichica e transculturale. Archetipo[1] deriva dal greco archè – inizio, principio originario – e typos, modello, marchio, esemplare: rappresenta un modello di comportamentooriginario, che si manifesta attraverso le risposte automatiche e ancestrali che l’uomo ripropone.
Grazie al desiderio di essere liberi si sviluppa l’identità, integrando gli archetipicon la coscienza individuale[2], che ci distingue gli uni dagli altri.
Max di Mario indaga anche gli aspetti del Maschile e Femminile[3], che sono per Jung tra gli archetipi fondanti l’inconscio: l’unione tra il nero pece e il fucsia del fiore e il conseguente arricchimento che generano.
OLI ET AMO
Oli et amo.
Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio
et excrucior.
Come tutte le opere di poesia classica
il celebre distico di Gaio Valerio Catullo
ancora oggi
nonostante il ristagno culturale nel quale viviamo, ci parla con una forza e una necessità inequivocabilmente attuali.
Pensateci
oli et amo
olio e amo
amo come l’olio che scivola
tra le pareti di carne
lubrificata dell’amante
ti amo ma ti olio, anche
quando mi fissi con quegli occhi
franchi, acuminati come lance
e io vorrei massaggiarle, quelle pupille aguzze con le proprietà emollienti del mio olio
ma tu niente
l’olio non porta da nessuna parte
lo dice anche Ghandi
meglio la resina delle ghiande
per mescolare il basmati coi fantasmi
del colonialismo britannico
ai suoi massimi fasti
basta un poco di olio e la supposta va su, suppone Mary Poppins,
mentre papavero raffinato in piccoli blocchi viaggia in prima classe
tra le chiappe scolpite di un’hostess dell’American Airlines
fino a un vicolo fatiscente
nel sud-est di Harlem
o di Montespertoli
perché tanto olio?, tu mi requiris
perché l’amore non è mai ricambiato
l’olio sempre
come nel sacrificio di un povero Cristo
crocifisso nel C4
che si fa saltare in padella
sotto una finestra, a Jakarta
per elemosinare qualche vergine extra,
al mercato di qualche blasonato paradiso islamico,
tanto più piccolo è il cuore
quanto più olio vi risiede
troppo olio rallenta al cuore i battiti
troppo cuore fa fare all’olio i salti
per superare a gambe unite gli steccati
i muri, i cancelli ricoperti di filo spinato,
anche l’olio giusto può dare alla spinacina
la doratura sbagliata
e allora gridiamolo insieme a Catullo
attraverso gli oscuri secoli barbarici
insieme ai poeti beat immersi nei barbiturici
e i paladini della street art che zittiscono
il grigio terrore dei muri urbani,
fuori dagli stadi pieni
fuori dalle chiese vuote
davanti a un piatto di tortellini di pollo
o di carbonara vegana, zucchine e carote,
non serve creare confini
tra il nero della padella e il bianco dell’uovo
serve solo metterci più cuore,
viva l’amore
e basta con l’olio…
Il poeta compone una lingua viva e possiede poesia e umorismo come rimedi al male di vivere. Fa spaziare il lettore, tra riferimenti culturali, bagliori, spiritualità e… La scienza del vento.
LA SCIENZA DEL VENTO
Ho scelto per l’ennesima volta la strada sbagliata
in quest’ennesima notte rubata
che mi cresima col suo digiuno di luce
che fugge
raduno clandestino di bucce
su cui scivolo / inconsapevole,
vorrei non sapere, che fumare fa male
vorrei prevedere ogni istinto animale
del mio cuore abbagliato da parole confusionarie e visionarie illusioni
del mio cuore destinato ad essere cestinato
per colpa del primato, del cervello –
sei un primate senza quello. strumento che perfettamente sventra
la verità – mi dicono
senza sei ridicolo,
un cavernicolo animale sociale del girone amatoriale
tutto! ciò che è reale è razionale
il popolo in lutto canta l’inno nazionale
in memoria di un memoriale distrutto
pietra dopo pietra, freddo glaciale come questa tetra, luna
dell’una di notte, sul bagnasciuga
la lingua arranca sul mio vocabolario di ossa rotte
mentre il ministro di Cristo e vicario di San Pietro
vende l’anima al metro mentre ci prende da dietro,
senza preservativo,
frustandoci con un ramoscello di ulivo
per noi indurci nella tentazione di riprodurci e liberarci dal mal di male
tra le onde radio dell’ultima diretta stadio
pazienti dell’ospedale! contro guariti all’obitorio
intrattenimento obbligatorio col supporto sonoro
di una campana di vetro che suona a morto
che suona a morto
che suona a morto
che suona a morto
rincorro l’alba con il fiato corto
mentre un bus a metano taglia a metà
la mia ansia
e la meta è lontana – e la danza,
del mattino è una gitana
che eccita la mia falsa allegria
bagnata di vino
e mi basta per sapere perché scrivo
una volta, in una calle della mia Venezia dissolta
in una nebbia screziata di lacrime e adolescenza
ho fissato l’acqua e ho capito, la consistenza, della paura – la misura
dell’esistenza è il momento
quindi limita il dissenso del tempo, e imita, la scienza del vento
svegliati lento, sogna veloce
e sii solo una voce, che tormenta il silenzio.
Con Max di Mario ci muoviamo attraverso pizze e metafore sbagliate oppure bestie e strade sbagliate… per orientarci possiamo seguire lo spirito del vento, che sussurra svegliati lento, sogna veloce e sii solo una voce: la voce della poesia.
So di essere vivo e mi basta per sapere perché scrivo: nutrire le passioni alimenta la vitalità e l’energia, puro vigore e rigenerazione, e aiuta a gestire… La teoria del caos.
LA TEORIA DEL CAOS
Può il battito d’ali di una farfalla a Frascati
provocare un tornado tra i miei coglioni avvitati
mentre mi guardo attorno, e vedo sul giornale
il gattino birichino accanto al morto del giorno
e il tronista imbianchino dissuadere mia cognata
dal fare il vaccino a suo figlio e stracciare
la carta geografica, affermando che la terra
è a forma di carpa asiatica,
mentre sopra la banca la capra campa
col reddito di cittadinanza
anche se non tornano i conti
della corte dei tonti
il ministro non molla ma barcollano i ponti
ma soprattutto, mi irrita i nervi
il rating inetto di insetti superbi
su inermi nazioni
e le assicurazioni non mi rassicurano
anche i sassi curano
le indecisioni sessuali assicurano
gli accurati manuali di medicina islamica ortodossa
mentre cattolici da manuale
con un piede nella fossa infilano spiedi
nelle ossa di agnelli pasquali
spacciati da squali rampolli di apolli multinazionali senza palle
che ballano il sirtaki sulle spalle di pelle di polli allevati in kentucky
per sfornare fried chicken
sputiamo cicche fra i banchi di chiese
ubriache fradicie di acqua santa
e carta di credito canta the financial countdown
aspettando la fumata bianca
e i cardinali insieme ne hanno fumata tanta
incartapecorendosi in allucinazioni peccaminose
e teologicamente impeccabili beatificazioni di santa Federica
imbrattando la Cappella Sistina di Viva la Metafica
e la droga è mia amica
al contrario di Marco
che con gli anfibi aspetta il negro Amadou al prossimo sbarco
dal molo, virtuale della sua bacheca
che rispecchia il vuoto abissale della sua biblioteca dove il libro cuore è morto, d’infarto
perché la madre dei pirla è ormai morta di parto in un letto di madreperla
intarsiato dai romantici dolori del giovane in-verte-brato, nostalgico
che vive inquadrato in un ricordo squadrista
ma l’unico fascista buono è il fascista sordo
così almeno non sente le stronzate con cui si professa d’accordo
vado a messa il week end, col morto
che tanto resuscita dopo tre giorni, come nei film degli zombi
e noi siamo i figli bastardi di Boldi,
nati durante un folle Natale a Scampia
tra le briciole di un cinepanettone e la follia, di fratelli che si sparano addosso
vorrei in mano un bossolo, sverrei ma non posso
mi guardo un po’ attorno
si spengono le ultime luci del porto
c’è un uomo che guarda le onde di pece del golfo
e gli piace, la sabbia sui piedi nudi, mi dice
mi chiedo se aspetta qualcuno
un fantasma salmastro evocato dal chiaro di luna
o un paio di polmoni digiuni, di aria
lasciati a tossire tra tesori sommersi, sul fondo del Mediterraneo
il suo pianto è asciutto come il deserto, in cui la memoria si rifugia
accusando oscure divinità dei flutti
mentre io, al sicuro sotto il mio tetto, fragile
sono tentato di accusare la Storia
per nascondere il fatto / che siamo, responsabili / tutti.L’Ombra rappresenta “la parte più inconscia, più sconosciuta della nostra psiche – dove teniamo quello che è il male, la parte meno nobile di noi stessi, gli istinti più egoistici,
più distruttivi, che non vogliamo ammettere – e li proiettiamo sull’altro, che è sempre il cattivo[1]”. È la metafora di ciò che non vogliamo ricordare, che evitiamo perché è indesiderabile e la coscienza non riesce ad ammetterlo[2]. Coincide, dunque, con la dimensione archetipa latente, non visibile e non riconoscibile ed è perlopiù proiettata. “Tutti noi vorremmo avere soltanto il bene e non il male, e quindi è istintivo attribuirlo all’esterno[3]”. “Ciò che noi non desideriamo e non riconosciamo in noi probabilmente lo vediamo negli altri e lo detestiamo[4]”.
Oltrepassando una nebbia screziata di lacrime viene contattata la parte più oscura di noi e della civiltà. Si affrontano le paure, le resistenze e lo sconforto: le illusioni abbandonate per crescere e per esprimere la propria ghianda.
La ghianda è come un antidoto dell’Ombra, rappresenta il seme di sviluppo[5]: uno stimolo ad esplorare le proprie potenzialità e vivere bene.
Max di Mario concepisce una filosofia di vita attiva, che mantiene una continuità culturale classica con il passato e trasforma il presente. L’attualità diventa poesia ma non basta, bisogna anche avere una progettualità e inventare il futuro.
Creare se stessi è un progetto individuale e collettivo allo stesso tempo: è una “missione” da realizzare per vivere con gli altri. Quando ognuno troverà un posto più comodo e libero di esprimere il proprio talento, miglioreranno la coppia, le relazioni e la società e non dovremo più nascondere il fatto / che siamo, responsabili / tutti.
[1] Zoja L., Paranoia in tempi di virus, a cura di Lombardo A., Home Sweet Home.
[2] Raggi A., Jung e la psicoterapia junghiana, a cura di Lombardo A., Home Sweet Home.
[3] Zoja L., Paranoia in tempi di virus, a cura di Lombardo A., Home Sweet Home.
[4] Raggi A., Jung e la psicoterapia junghiana, a cura di Lombardo A., Home Sweet Home
[5] Zoja L., Paranoia in tempi di virus, a cura di Lombardo A., Home Sweet Home.
[1] A partire dall’analisi dei simboli e dei miti di diverse culture, Jung elencò 12 archetipi della personalità (Innocente, Orfano, Guerriero, Angelo custode, Amante, Cercatore, Distruttore, Creatore, Sovrano, Mago, Saggio, Folle).
[2] https://www.crescita-personale.it/ di Fattiroso M.
[3] Il Maschile con gli archetipi del Padre, dell’Animus, dell’Ombra, ed il Femminile con quello della Grande Madre, dell’Anima, della Luce.
[1] Vedi anche la poesia Oli et amo.
[1] https://www.psicoterapiafamiliarefirenze.it/2022/04/27/per-la-rubrica-leggermente-di-aprile-la-recensione-di-francesca-papp-delle-poesie-di-max-di-mario-il-succo-della-poesia-tra-spiritualita-e-corporeita/