Con questo libro Elkaim propone un nuovo modello per le terapie della coppia e della famiglia ed introduce i concetti di autoreferenza, secondo cui lo psicoterapeuta non può separare le proprie caratteristiche personali dalla situazione che descrive, di risonanza e di assemblaggi.
Per Elkaim, lo scopo della psicoterapia, che egli definisce “l’arte di mantenere possibili i possibili”, è quello di elaborare una visione dei problemi che consenta alle persone di ampliare il campo delle loro possibilità, quindi favorire la comparsa di rappresentazioni e vissuti più flessibili e aperti. Il modello proposto dall’autore individua dei cicli costituiti da doppi legami reciproci: una persona chiede ad un’altra qualcosa (a livello verbale “amami”) che al tempo stesso desidera e non crede possibile (a livello implicito “non amarmi” perché l’amore è sempre seguito dall’abbandono). La risposta, qualunque essa sia, non può che rivelarsi inadeguata, dato che risponde soltanto a un livello del doppio legame. È importante non dimenticarsi che il doppio legame investe anche il sistema terapeutico: la richiesta d’aiuto è frequentemente associata ad un’altra richiesta implicita, che limita fortemente la capacità d’intervento del terapeuta. Per spiegare come si instaurano i processi di omeostasi in un sistema, l’autore parla di programma ufficiale, per delineare la richiesta esplicita di ciascun membro della coppia, e di mappa del mondo, intendendo quelle credenze costruite a partire da esperienze precedenti che pongono le basi per percepire il proprio presente. Elkaim riprende i concetti propri della teoria dei sistemi e della cibernetica di secondo ordine e sottolinea l’importanza del tempo. Un sistema aperto, com’è quello umano, è in grado di evolvere in direzione di differenti modalità di funzionamento, ma la “scelta” di questa o quella modalità dipende dalla storia del sistema. Il cambiamento o al contrario lo stallo del sistema dipendono dal divenire di quelli che Elkaim chiama assemblaggi, insiemi di elementi, individuali, familiari, sociali o culturali, interrelati fra loro in una particolare situazione. L’autore spiega la necessità del terapeuta/osservatore di escludersi dalla mappa del territorio che sta “disegnando”, se non vuole cadere nel paradosso autoreferenziale. Nonostante questo, è importante essere consapevoli che la nostra percezione di ciò che accade all’interno dei sistemi ai quali apparteniamo non può essere associata ai diversi assemblaggi in cui siamo coinvolti: la nostra costruzione del reale dipende proprio dall’intersezione di tali assemblaggi. Riprendendo i concetti elaborati da Maturana e Varela, Elkaim sostiene che ciò che conta non è il territorio, ma l’intersezione tra le mappe del terapeuta e quelle del paziente, in cui si colloca il terapeuta, e che nel quadro della terapia non contano verità o realtà ma la reciproca costruzione del reale. Nel quarto e quinto capitolo l’autore riporta una simulata e due discussioni fatte durante le supervisioni da lui condotte, inserendo i concetti esposti nei capitoli precedenti. Inoltre, emergono le sue considerazioni sulle risonanze del terapeuta, viste come possibili portatrici di omeostasi ma allo stesso tempo come possibili “vie d’accesso per allargare il campo del possibile”. La risonanza non è “un fatto oggettivo” ma ha origine nella reciproca costruzione del reale e si manifesta nel momento in cui entra in azione un elemento scatenante e si avvia una sorta di accoppiamento che crea un effetto soglia per cui elementi in apparenza insignificanti si articolano e generano un campo nuovo. La risonanza è un caso particolare di assemblaggio costituito dall’intersezione di sistemi diversi intorno a uno stesso elemento. Nell’ultimo capitolo Elkaim delinea alcuni aspetti dell’intervento in psicoterapia familiare. In primo luogo, sottolinea l’importanza dell’atto creativo in psicoterapia: quel momento in cui il terapeuta è con le spalle al muro e fa la sua comparsa un elemento che, a posteriori, sembrerà aver avuto un ruolo determinante nello sbloccare il sistema terapeutico. L’autore afferma l’importanza della fase dell’elaborazione delle ipotesi, “un’invenzione comune, sorprendente e tuttavia plausibile”. L’ipotesi potrà essere condivisa da tutti i membri solo se sarà al tempo stesso abbastanza vicina da poter essere accettata e abbastanza sorprendente da autorizzare una nuova lettura. Condividere un’ipotesi non è però sufficiente. Essa, oltre a sorprendere, deve anche permettere di poter vivere in modi diversi la situazione e questo avviene attraverso la fiducia che si instaura tra paziente e terapeuta. La costruzione comune dovrà essere proposta come una possibilità in più e non come una verità che esclude ogni altra lettura del mondo. In questo senso, la terapia può essere considerata un processo che consiste nell’aiutare qualcuno a vedere che non vede e a far leva su questo limite per aprirsi nuovi possibili. Elkaim sottolinea che il primo strumento del terapeuta è lui stesso e che la ricerca di punti di risonanza può rivelarsi cruciale per il divenire del sistema terapeutico, anche se essi acquistano un significato e una funzione in rapporto al sistema in cui si manifestano. Infine, l’autore mette in evidenza alcuni strumenti di intervento che ritiene fondamentali nella sua pratica clinica: l’uso della ristrutturazione, che deve essere plausibile e avere un valore operativo perché sia accettata, dei compiti paradossali, che sono rivolti contemporaneamente ai due livelli del doppio legame, e l’importanza dell’autoreferenza, vista come possibile strumento di cambiamento del terapeuta e del sistema insieme ad esso.