Mare dai blu brillanti, scogliere a picco, villette animate da colori sgargianti e palme holliwoodiane: Ischia fa silenziosamente e meravigliosamente da ospite a un sipario familiare che ben presto assume i contorni del dramma. Eh sì, perché “A casa tutti bene”, ma, dopo un po’, l’ospite puzza. Incontriamo al porto, in modo frenetico e confuso, una decina di persone, che si salutano chiamandosi zia, cugina, fratello, sorella, mamma, papà. Solo due cose sono chiare: una, è che si stanno imbarcando per raggiungere la grande villa di famiglia a Ischia, dove Pietro e Alba festeggeranno il loro cinquantesimo anniversario di matrimonio, l’altra è che tutti hanno davvero una gran fretta. Ed è frettolosamente che il regista insegue con inquadrature fugaci, nervose, inquiete, gli intrecci di questa famiglia, così esteticamente bella, e così profondamente poco autentica. Il tempo diviene un nemico senza pietà in questo siparietto familiare, costringendo i frettolosi a fermarsi dalla fuga e a guardare in faccia il passato, il presente e il futuro: alleandosi con il mare, il tempo sembra sfidarli e metterli alla prova, costringendoli a permanere per due giorni sull’isola che li porterà pian piano ad allinearsi con la violenza del mare. Chissà cosa avrà pensato Luana, l’ultima arrivata, fidanzata di Riccardo che altro non è che il miserabile nipote di Pietro e Alba, una macchietta che a nessuno interessa veramente ri-conoscere, di fronte a Sara, cugina di Riccardo, figlia dei festeggiati, e a Ginevra, la cognata di Sara, e davanti ad Alba stessa, la Madre, tre donne che hanno deciso di pagare a caro prezzo quella che considerano l’unica felicità possibile: una famiglia apparentemente unita, inguaribilmente ed esteticamente nostalgica, barattata con la loro soggettività di donne, e abbracciando visceralmente la loro unica esistenza possibile in quanto “mogli di” e “madri”. Chissà cos’avrà pensato quando le ha viste strette in una presa soffocante coi loro mariti, Diego, Carlo e Pietro, uomini fantasma, inafferrabili e volubili, ai quali non viene chiesto quasi nulla, se non di amarle disperatamente. E disperatamente tutti quanti, mariti e mogli, evadono da quella che è la causa reale della loro sofferenza: l’incapacità di guardarsi e non riconoscersi, di potersi toccare con timidezza, come si fa con gli sconosciuti, di poter frantumare la gabbia di cristallo che si sono costruiti per ripararsi, ma che ha finito per imprigionarli senz’aria in una costellazione di riflessi patinati. Da che parte stare? Prosperità o penuria? Amore o odio? Lealtà o adulterio? Stasi o movimento? Chissà cosa avranno pensato i bambini, che in tutta questa recita sembrano gli unici ad aver già capito tutto. Hanno poca voce, si sentono a malapena, sono sballottati dalle onde di conflitti in cui vengono usati come remi, ma hanno già visto tutto, veramente. Anche Sara lo aveva fatto da piccola, ma poi, purtroppo, in qualche modo lo ha rimosso.
A casa tutto bene?