“Se quel giorno riuscissi a diventare
un altro me stesso, come sogno spesso
quel giorno avrei ammazzato una persona
che conosco da quando era bambina
e che da grande, voleva fare proprio me”.
(F. Capobianco, Ghementali)
Filippo Capobianco, pavese classe 1998, è performer, attore e studente di fisica teorica all’Università di Pavia. Alla formazione accademica, affianca un percorso artistico vario, artigianale e 100% biologico, che spazia dal teatro di prosa all’improvvisazione teatrale, dal teatro-canzone alla poesia performativa.
Nel 2019 si avvicina di soppiatto alla Slam Poetry, facendole prendere un bello spavento. Partecipa a numerosi eventi in tutta Italia vincendo, tra gli altri, il torneo del Bacaro 2021 di Pavia e il LaClaque Poetry Slam 2022 di Genova.
Nel 2022 arriva primo ai campionati regionali del Trentino del circuito LIPS, dopo aver vinto i campionati nazionali 2021 del circuito Slam Italia. Sempre nel 2021, debutta con il suo primo spettacolo Mia mamma fa il notaio, ma anche il risotto.
Con Filippo Capobianco si fluttua veloci tra particelle e onde e, dal teatro della vita, ogni divergenza diventa poesia:
ESTRATTO DA “DIVERGENZE – STORIA DI UN COSMOLOGO INNAMORATO”
Esco dal congresso e lei è lì
Dall’altra parte della strada, una visione
Ti pare non mi cada la penna dall’emozione
neanche il tempo di raccoglierla e l’ho persa: dannazione.
La cerco tra la folla, a Milano, alle diciotto
tutto per una sconosciuta penso a come son ridotto
Quando ho perso le speranze
In una danza di comparse
La folla si apre e lei è lì al centro
Non ho il tempo di pensarci e
sono a un passo dal suo mento
Lei mi guarda. Che le dico?
Se non parlo di lavoro sono un mezzo caverni – co – lo…
Ciao. Io di formazione son cosmologo e conosco
Fenomeni del cielo che so descrivere da artista
Un fulmine, per esempio, non può mica dare un colpo
Ma mi sono innamorato al primo istante che ti ho vista.
E lei: “cosmologo? Ma pensa. Io terrapiattista” […]
La poesia si fa narrazione, viene declamata con passione e umorismo e tramandata da persona a persona. L’antica tradizione del racconto orale si integra con l’attualità, con la velocità delle particelle: spazia nell’universo e ci fa ondeggiare su e giù.
Siamo mossi dalle onde del ritmo e perturbati dal colpo del contenuto poetico.
L’autore fa emergere degli spaccati relazionali, attraverso le sue descrizioni e racconti: ci propone scorci di coppia e famiglia, in cui l’altro è necessario per rispecchiarsi a vicenda e conoscersi meglio.
L’idea di coscienza si fa nello stare con gli altri, si fa nel mondo e con il corpo, non isolati ma dentro le relazioni[1]. Il contesto familiare può essere un sistema più o meno funzionante, ma offre sempre la possibilità di una trasformazione:
“Se guardando negli occhi mia madre
Non avessi paura di restare
Intrappolato come dentro a uno specchio
Guarderei più spesso mia madre negli occhi
E lei avrebbe meno paura di invecchiare”.
Il filo che lega i testi è quello dell’intimità: il poeta crea atmosfere dense di confidenze e confessioni…
ESTRATTO DA “CONFESSIONI DA MARINAI”
La salsedine dentro la brezza
Rende il vento un ruvido affare
Quando passa e i capelli carezza
Non può esimersi dal lasciare
Un pochino di sale,
Di forma, di odore,
Aria di porto che è sostanza
Che dalla finestra di questa locanda
Pare trasporti i lamenti del mare
Dentro la stanza
Di legno scuro,
Umido e pregno di pensieri
Di forme e di odori e di ricordi
Che questa stanza abitarono ieri:
Le sue mani, i suoi denti, i suoi piedi…
Ho baciato un uomo, papà
E la sua barba mi ha fatto il solletico
Come facevi tu, papà
Quando era ancora molto più pratico
Toccarci, tra i nostri corpi
Prima che fosse un disonore
Prima del giorno in cui mi insegnasti
che l’uomo che bacia è il traditore
Ma questo era amore, papà […]
Come su un palcoscenico, Filippo Capobianco mette in luce attimi di intimità con gli altri e con se stesso, come se la vita e la poesia fossero delle rappresentazioni teatrali, proprio per evidenziare l’importanza delle parole e dei valori da sperimentare, che non sono solo teoria ma esperienze quotidiane:
“Cammino qualche passo nell’androne buio di questo buco dimenticato
E realizzo che qualcuno o qualcosa
mi ha portato in un teatro
deserto.
Il pavimento ancora coperto
Qua e là da programmi di sala
Ancora vibra l’aria dall’ultimo applauso rubato
…
“Teatro è la mia festa, la mia messa, la mia casta
Salgo e nel silenzio comincio a declamare
che il palco è il paese d’elezione del giullare e va difeso
Sempre
Da ogni infiltrazione terrorista
Della gente
Che sale solo per mettersi in vista
E dire niente[1]”.
È proprio questo il messaggio e la magia: il quotidiano diventa arte e viceversa.
Il teatro è calato nella realtà e diventa una terapia.
La Teatroterapia, nell’approccio gestaltico esistenzialista e fenomenologico[1], avviene attraverso la messa in scena teatrale, che offre l’opportunità di fare esperienza di nuovi modi di stare al mondo (P. Quattrini).
Questo tipo di terapia permette allo sperimentatore di articolare un linguaggio, in questo caso comportamentale, con cui costruire la sua quotidianità̀ relazionale.
Le storie sono fatte di comportamenti: la scelta di gesti, di parole e di toni di voce compone vere e proprie architetture (P. Quattrini).
Lo psicoterapeuta aiuta le persone a trovare una vita di qualità e la drammatizzazione è una maniera di sperimentare: la persona mette in scena ciò che non gli è piaciuto nella vita e sperimenta come avrebbe potuto fare altrimenti, all’interno di un gruppo (P. Quattrini). Il teatro, dunque, è la terapia necessaria per conoscere e salvare se stesso e gli altri, dalle chiusure e brutture del contesto circostante e della civiltà.
ESTRATTO DA “MOSCERINO”
“Grazie, Lucia: è il turno di… Riccardo”.
La maestra guarda dritta un banco in fondo a destra
da cui spunta all’istante un bimbo picciolo
come un germoglio di lenticchia o uno scoiattolo volante.
Il Germoglio trotterella tra le fila di banchi
sale sulla sedia dopo un’epica scalata
la maestra chiede “e tu, cosa vuoi fare da grande?”
Ed ecco la risposta, provata e riprovata:
“MaestVa, mica voglio, non è una decisione
quando saVò gVande, io faVò l’attoVe”
Le risate esplodono come un colpo di cannone:
“Moscerino, proprio tu, l’attore vuoi fare?”
“Moscerino, forse il mimo, che non devi parlare”
“Ragazzi, per favore, abbassate la voce”
“Moscerino, di’ “teatrrrrro”, prova a dire “rrrrrrrrecitare”.
Sul suo palco, Moscerino, con la faccia che gli cuoce
Tocca terra, torna al posto: più veloce, più veloce.
A casa, Moscerino non ne parla con nessuno
ha come cento zanzare che gli ronzano in testa
si siede in camera per terra con la schiena contro il muro
e fissa la finestra:
“Moscia, Moscerino, Moscigattola, Moscetta
Moscignore, Moscipione, Moschumacher, Moscimmietta”
Non capisce che di moscio
ci troviate in questa eVVe
eVVe.
EVVE!!! […]
Filippo Capobianco illumina… un angolo qualsiasi di mondo e lo trasforma in uno scambio relazionale fecondo, che interagisce con l’ambiente fisico.
Il risultato è sorprendente: fotoni spaziano e abbagliano, rilasciando poesia: la poesia dell’intimità.
ESTRATTO DA “FOTONE”
Sarà un fotone
Il primo
Raccolto dalle mie iridi
Un fotone
Solitario
Un’innocua vibrazione
Dello spazio nella stanza
Che è divario, in risonanza
coi miei brividi, sarà
Un fotone
A dirmi
Che nella stanza ci sei anche tu
Insinuatosi nella cornea
S’affaccia dalla pupilla
Trova in buone condizioni
L’occhio, allora brilla
Di gioia, può tuffarsi sulla lente
Che lo mette a fuoco
E fiamme, quando arriva nella mente
Come immagine, impressa nella retina
Ma capovolta, un impulso che s’inerpica
Sul nervo ottico, dopo una giravolta
Elaboro un sorriso, nell’arco di un istante,
sepolto nel passato e che pensavo ormai distante […]
L’autore presenta i propri valori più profondi e persistenti: la cura dei rapporti, il rispetto per l’ambiente e la sofferenza per il decadimento e il degrado umano.
La fugacità della bellezza dei legami o di un tramonto, attraverso la poesia si può trasformare e si può superare anche la morte. Possiamo connetterci in un istante con tutte le generazioni perché ciò che si prova è lo stesso. La condivisione emotiva altera la dimensione e la scansione classica del
tempo, costituisce una nuova collettività transgenerazionale e fa ringiovanire: si ritorna dallo spazio rinnovati e rinvigoriti.
ESTRATTO DA “DOVREMMO DISPERARCI PIÙ SPESSO”
“Dovremmo disperarci più spesso”
Le dico mentre beve il suo Spritz
E l’arancio in cannuccia è lo stesso
Del tramonto che si lancia in un blitz
– lampo – tra le ombre del suo viso.
“Filippo, tu mi mandi di traverso
l’oliva” mi risponde col sorriso
incerto delle cose che le dico
se sto inverso “No, no: ascoltami un
secondo, Primavera (la chiamo così
grazie a Pavese, “And the cats will
know” letta una sera) io son
sicuro che in teoria dovremmo
disperarci più spesso per le rose
– tipo – i glicini e le viole
che muoiono solo quando il Sole
è più alto che può, in piena estate.
No? […]
Il tema fondamentale e risolutivo rispetto ai quesiti esistenziali risiede nella trasformazione essenziale e continua del presente: comporta il godimento e la valorizzazione delle piccole cose, ma allo stesso tempo anche una presa di posizione definita rispetto alle ideologie, di cui il poeta si fa portatore. La formazione e la cultura personale sono necessarie per vivere meglio e anche nel lavoro dello psicologo: “una sana e realistica saggezza psicologica si costituisce e cresce – a differenza del buon senso di chiunque – sulla base di quella capacità di vagliare proposte e teorie che nasce da studi seriamente condotti. Ma perché questo possa accadere sono necessarie qualità intellettuali, cultura generale, maturità personale” (Jervis G., 1993).
L’integrazione tra discipline diverse, inoltre, in questo caso tra fisica e poesia, favorisce il contatto con la natura e con la società, e la conseguente metamorfosi:
“Immerso
Respiro
Minuscolo nella
maestà naturale
Mi lascio,
Abbandono,
Abbracciato,
E m’inonda dal vaso
Scoperto
Il vento brado
Che mi dice:
Scrivi.[1]”
[1] Capobianco F., Onde.
[1] Quattrini P., https://www.azionicontaminazioni.it/corso-di-counselling-a-mediazione-artistica/teatro-terapia/
[1] Capobianco F., La nascita di Cecco Palchi.
[1] Alva Noe, (2010) Perché non siamo il nostro cervello. Una teoria radicale della coscienza.