Cos’è la vita?
Che cos’è il tempo?
Se solo ci penso mi annullo
E afferro la loro inconsistenza:
Il pavimento diventa briciole
Le ginocchia si staccano dal corpo
E la cassa toracica implode,
Diventa un origami
Con le pieghe disallineate,
Accartocciato nel cestino.
(Passoni D., Senza repliche)
Davide Passoni – Classe 1985 – è un grafico e un poeta, laureato in Fashion Design e Animatore Sociale esperto in Musicoterapia.
Frequenta i palchi del Poetry Slam dal 2005. Vince il Premio Dubito nel 2014 e il campionato di Poetry Slam a Squadre nel 2018.
Nel 2019 diventa autore e co-conduttore del programma Poetry Slam! su Zelig Prime Video, insieme a Paolo Agrati e Ciccio Rigoli.
Insieme a Ivano Cattaneo forma il duo di poesia con musica Poesia Potente e Chitarra Tonante: uno spettacolo che suona come un concerto, parla come un reading e agisce come il globo terrestre, in costante rivoluzione. Con questo progetto vince il premio per la miglior canzone della residenza artistica Sound BoCS Cosenza 2020, organizzata da Musica Contro le Mafie.
Maestro di Cerimonia brianzolo e stakanovista, ottime capacità di lavoro in équipe.
Film preferito: Ritorno al futuro.
Libro preferito: Il Dizionario dei Proverbi.
Frutto preferito: limone.
Animale preferito: prosciutto. “Ci hanno sempre insegnato che esistono tre dimensioni per descrivere lo spazio, ovvero la realtà in cui viviamo. Una quarta dimensione definisce invece il tempo che scorre. Esiste però una dimensione aggiuntiva, poco esplorata, in grado di farci viaggiare attraverso le altre quattro. La quinta dimensione, quella della memoria, è una vera e propria macchina del tempo, la cui chiave di avviamento sono i ricordi: odori,
sapori, suoni, musiche, immagini, fotografie”: così ci addentriamo sulle note di Davide Passoni e suo libro di poesia a fumetti Isometria della memoria (Miraggi Edizioni 2022). Un libro curato nei dettagli, che associa suono e testo, per scoprire gli esseri umani e Le vibrazioni della poesia.
Il termine Isometria indica letteralmente un’uguaglianza di misura e già introduce il lettore agli argomenti, su cui riflettere, delle dimensioni e della memoria.
Attraverso un poema unico, che si svela a fumetti, l’autore ci trasporta su più estensioni, in cui grandezza e piccolezza non seguono le regole della prospettiva ma risentono della percezione psicologica interna e dell’alienazione “tra lavoro e post lavoro”:
COME GINSBERG
Ho visto il sapore del disagio diventare aroma amaro
E farsi alito stantio tra le rughe e tra gli stracci
E l’arrivismo quotidiano alla ricerca di moneta
Diserbare calma e dare vita a rampicanti tumorali
Spirali irreprensibili che strozzano polmoni affaticati
Assorti nei respiri dell’ansia consumista
Ho visto le speranze al silicone esibirsi nel menù
A prezzo fisso di uno Svunch panino e salamella
Costellare di lampioni su viale delle industrie
E celare dietro maschere e mascara lacrime deserto
Prosciugate nell’aridità del vivere a un passo dalla fossa
E uno stivaletto tacco dieci immerso fino al collo nel degrado
Ho visto farsi pelle l’andropausa post lavoro fisso
E abitare volti timonieri alla conquista della terra
E galleggiare su fiumi di tangenziali fradice di pioggia
Delle diciassette in punto e naufragare verso casa
A occhi spenti e fari accesi illuminare il gelo
Di una cena pronta ad aspettare
Ho visto la mia vita serpeggiare per inerzia
E rimbalzare tra lavoro e post lavoro
Tra lavoro
E post lavoro
Tra lavoro e post lavoro
Come stare tra due specchi e osservare l’infinito:
Un corridoio che
Riflette la mia immagine
Che si fa piccola, sempre più
Piccola, sempre più
Piccola, sempre più
Piccola, sempre più
Piccola.
Il poeta affronta il problema del degrado umano e della qualità avvilente della vita quotidiana, quando diventiamo come un automa o pezzi di una catena di assemblaggio:
Siamo tutti immersi
In una linea del tempo
Che scorre
Come una catena di montaggio[1].
Il contesto appare minimalista e si arricchisce sempre di più, di contenuti emotivi, forti e impressionanti, garantiti dalla Quinta dimensione, ovvero dalla memoria.
“Parlare della memoria richiede un ingresso nella complessità, per i molteplici riferimenti neurobiologici e psicologici che essa comporta” (Pratelli M[2]).
Le regole della Realtà prospettica non sono le stesse del ricordo, in quanto ciò che è lontano non diviene più piccolo, ma grande, perché tenuto emotivamente in vita e tramandato affettivamente nelle generazioni. La memoria è intesa dunque come “ricostruzione della storia personale” (Pratelli M).
Da un punto di vista psicologico, il tema della memoria e delle sue declinazioni è fondante rispetto alla comunicazione, alla capacità di stabilire legami e ridurre le distanze emotive tramite la condivisione delle esperienze memorizzate.
Il tema della narrazione dei ricordi, in psicoterapia, parte dai tempi di Freud, viene approfondita con Donald Spence, nel testo Verità narrativa e verità storica (1987), e oggi va verso l’ottica di una co-costruzione all’interno della relazione.
“La narrazione e il racconto di sé creano percorsi di senso, che offrono un importante contributo alla costruzione dell’identità individuale e sociale” (Pratelli M). Il disagio della vita attuale, centrata sull’efficienza lavorativa o sulla produzione, scorre di pari passo con il passato della guerra, che ancora permane e viene rievocato nei testi. Lo scrittore ha effettuato delle ricerche storiche familiari e espone varie tematiche esistenziali e relazionali: si viaggia nel tempo e nello spazio, portandosi
dietro i bagagli culturali, che definiscono la propria identità. Passato e presente si intrecciano con i propri drammi e si integrano sull’importanza di vivere l’istante, che non va sacrificato:
Penso al lavoro,
A chi si consuma le mani,
Sbudella i polmoni
Incurva la spina dorsale,
Massacra gomiti e ginocchia
Per un futuro migliore
…
La nostra unica vita
È questo esatto istante,
E non voglio credere
Che si possa sacrificare
Per l’istante che segue,
A sua volta sacrificato
Per l’ennesimo istante che segue,
Fino a che non ci sarà più
Un altro istante che segue[1].
Il recupero della dimensione del tempo e della memoria salvano dall’inaridimento emotivo, permettono di riscoprire i propri antenati e di dare valore alla storia familiare e individuale, per sapere chi siamo:
Sono nato il 23 aprile del 1985. Quasi Quarant’anni prima, il 24 aprile 1945, il mio bisnonno incontrò la morte per denutrizione e sfinimento, nel campo di concentramento di Gusen.
Il suo volto mi è familiare per via della foto sulla lapide del cimitero.
Una serie di circostanze del tutto casuali e fortuite hanno fatto sì che io fossi il risultato delle storie di questi uomini e donne. Un attimo prima, o un attimo dopo, una minima variazione tra la successione di eventi avrebbe potuto togliere la mia voce in capitolo lungo la linea temporale in cui esisto. Queste persone hanno affrontato tragedie e drammi familiari, avventure e piccole incredibili storie quotidiane: oggi io vivo con la consapevolezza di essere il loro vettore-memoria.
Il concetto del vettore-memoria è distintivo del poeta e fondamentale per muoversi nel mondo, consapevoli di se stessi e delle proprie origini:
Mia nónna Rica l’era de Mónscia
La mé diseva sèmper möngia!
In tavola trovavo il menù fisso
Inalterato da quando ne ho memoria
Risotto giallo funghi e zafferano
Patate fritte fatte a fette circolari
E due belle cotolette milanesi
Da digerire tutto a rate in pochi mesi.
Quando morì vidi mio padre
Piangere la prima volta
Con il cuore in gola, otturato
Proprio lì, dove mia nonna
Fu operata alla carotide. L’Enrica
Chiuse gli occhi una volta per tutte
La notte di Capodanno
Tra i botti e le luci dei fuochi d’artificio[1].
“Lo sguardo rivolto al passato permette una rielaborazione delle esperienze pregresse; narrarsi è come prendere in carico se stessi” (Pratelli M).
La guerra continua nel presente mentre la quotidianità di tutti, fatta di merende e televisione, va avanti e non si riesce ancora a impedirle…
Il poeta utilizza i versi come denuncia e testimonianza, indispensabili per ricordare le atrocità del passato e dell’attualità:
1991-1945
È una parete completamente nera
Costellata da foto luminescenti
Nel Museo della Guerra di Karlovac
Il memoriale dedicato ai giovani soldati
Morti tra il 1991 e il 1995
Durante la guerra di indipendenza croata.
I volti nelle foto
Hanno la speranza nello sguardo,
Riesco a sentire i loro cuori
Che gridano battaglia
Con i muscoli avvolti dal freddo
In attesa dell’abbraccio caldo
Delle coperte di casa.
Sono volti di ventenni,
Troppi su questo muro:
Non riesco a pensare a null’altro,
Solo a questo.
Morire in guerra, a vent’anni.
Vent’anni.
Nel ‘91 guardavo la tv
Ero innamorato di April O’Neil
Facevo merenda tutti i pomeriggi
Mangiavo pane e Nutella
Avevo sei anni.
Nel ‘95 mia sorella sulla torta
Soffiava la sua prima candelina
Io nuotavo, ero bravo e veloce
Vincevo le prime gare agonistiche.
Sognavo di viaggiare nel tempo
Per vedere dei veri dinosauri.
Simultaneamente
Morivano quindicimila ragazzi
A cinque ore di auto da me.
Non ho memoria di alcuna notizia
Nessun telegiornale,
I ricordi di quel tempo sono vaghi,
Sapevo della guerra
Perché “la guerra è una cosa brutta”
E in classe ci dicevano
Che era proprio lì,
Dietro casa.
Quanto può resistere la memoria,
Prima di svanire? Cinquant’anni?
Cento? Forse un intero millennio?
Le grandi guerre del passato
Ci sembrano lontane ormai,
Piccoli paragrafi nei libri di storia.
E così, anche le guerre più vicine,
Diventeranno minuscole parentesi
Nello scorrere del tempo,
Ma quanto dura la memoria?
Mio padre me lo racconta sempre:
Suo nonno morì nel 1945
Il giorno prima della resa tedesca.
Fu avvelenato e cremato,
Ancora moribondo. Tutti furono uccisi.
L’ultimo gesto di follia,
Prima di accettare la sconfitta.
Si procede nella lettura seguendo un filo rosso, che connette le dimensioni temporali, con la possibilità di costruire un futuro, o meglio “la memoria del futuro”, trasformando le tragedie in poesia, vibrazione e silenzio.
SANGUE SECCO
La lama scorre liscia sulla testa
E questa è l’abitudine, la norma,
Ma oggi l’abitudine è stravolta:
Così la lama morsica la cute,
Il gelido metallo la divora
E mastica la polpa fino all’osso
Inizia con un suono impercettibile
Nessun dolore, solo puro intuito
Un sibilo ovattato quasi muto,
Che lentamente pizzica più forte:
Divampa la fiamma e grida la fitta
Del sale che mi brucia nella carne
La pelle in un istante si fa rossa
E come una pupilla nera languida
Comincia a lacrimare inarrestabile
Torrente di montagna travolgente,
Rubino cruore niagaraforme
Che dalla testa scorre sulla fronte.
Bastano pochi minuti,
Il sangue si secca:
Una passata d’acqua
Lo scioglie nel lavandino,
E la ferita aperta
Smette il suo lamento.
Anche le ferite più profonde
Sanno stare zitte:
Fra qualche settimana non sarà
Nemmeno più un ricordo
Svanirà, e sarà solo silenzio.
Il silenzio è inteso come una pausa nel ritmo, una tregua, un superamento delle difficoltà e mai come occultamento delle violenze, che vengono dichiarate attraverso la scrittura e l’informazione:
UNA PICCOLA CREPA SUL MURO
Ieri un amico che no
Non vedevo da molto
Ha deciso di netto
Di tagliare la corda
E legarsela al collo
Nel silenzio di chi
Lo aveva
Colpito e picchiato
E ancora
Colpito e picchiato
La ragione dormiva quel giorno
E ha dormito nei giorni a seguire
Tra la fredda indifferenza
Di una candela ormai consumata
E le pagine vuote dei giornali locali
Fino a lasciare dietro di sé
Un piccolo spazio di vuoto
Una piccola crepa sul muro
Forse per molti non percettibile
Come una goccia di olio
Un grumo di muffa
Una macchia di vino
Esigua
Irrisoria
Insignificante
Microscopica crepa sul muro
Chissà se domani
Questa crepa
Si mangerà tutta la casa
Senza coltelli
E senza forchette
In un solo boccone
Sarà una voragine
Sarà quel vuoto che
Di tanto in tanto
Si percepisce
Nei giorni di pioggia
Sarà lo spazio di nulla
Che avrebbe dovuto occupare
La vita di chi
Ci può
Solamente
Mancare
Lasciando dietro di sé
Solo una goccia di olio
Un grumo di muffa
Una macchia di vino
Una piccola crepa sul muro
Un amico che no
Non vedevo da molto
E mai rivedrò.
Il potere della parola è forte, si fa denuncia, cura le ferite transgenerazionali e risana i dolori giunti in eredità, senza perdere il proprio suono.
Il testo conclusivo Il suono del corpo riassume e completa le tematiche precedenti, rispetto alle problematiche della metropoli, ma aggiunge i suoni che si possono contattare, interni ed esterni. Attraverso metafore e sinestesie, ci permette di sentire e soprattutto di ascoltare. Poesia e suono sono associati e legati indissolubilmente attraverso la musicalità del testo e dell’ambiente.
La chiave di una lettura relazionale originale risiede qui, nel suono: sono le vibrazioni dei corpi che ci fanno avvicinare, incontrare e intendere, non il caso o il destino.
Le vibrazioni della poesia, dunque, accompagnano le relazioni umane, con un sottofondo musicale. È essenziale per l’uomo sintonizzarsi con se stesso, con l’altro e con i suoni intorno, partendo da:
IL SUONO DEL CORPO
Immagina il tuo corpo come
Una rete biologica urbana:
Una città ben organizzata
Con i suoi centri di produzione
E le conseguenti periferie
Il traffico quotidiano di informazioni,
Materie prime e raccolta rifiuti.
Una metropoli viva e pulsante.
Immagina il cuore che batte
Incessante, tra sistole e diastole,
Motore della grande industria;
L’aria che soffia nei polmoni
Come enormi condotti d’areazione;
Il sangue che scorre nelle tubature:
Un rubinetto d’acqua aperto,
Giorno e notte, senza sosta;
Le articolazioni che come cingolati,
Dopo anni di duro lavoro incessante
Sentono il peso della ruggine
E cigolano a ogni movimento.
Immagina di vivere in quella città,
Come se non fossi tu la tua città,
Ma, dentro il tuo stesso corpo,
Un cittadino miniaturizzato:
A questo punto sentiresti tutto,
Ogni singolo rumore meccanico,
Probabilmente simile al frastuono
Di una risonanza magnetica.
Il caos necessario alla vita,
Dentro: fuori, oltre la pelle,
Il silenzio totale,
Ma solo in apparenza.
Il suono è la sensazione data dalla vibrazione
Di un corpo qualunque in oscillazione.
Ogni suono ha la sua ampiezza,
La sua intensità e la sua forma.
Ognuno di noi ha la sua vibrazione,
Unica, come le impronte digitali:
La somma sonora prodotta
Dal brusio di tutti i meccanismi
Necessari alla vita.
A volte capita di pensare
A qualcuno che si conosce,
Vederlo apparire per caso,
Dietro l’angolo.
Come se fosse destino,
Come se fosse in atto un grande
Piano cosmico.
Non è il destino
Non sono coincidenze,
Ma suoni.
Dieci anni fa
Non conoscevo ancora
L’intensità della tua frequenza,
O l’ampiezza e la forma
Della tua onda sonora,
Non sapevo quale fosse
La vibrazione del tuo corpo.
Non è il caso
Non è il destino
Non sono coincidenze,
Ma dieci anni fa eravamo lì,
Dietro l’angolo,
Ad ascoltarci.
[1] Passoni D., Möngia.
[1] Passoni D., Senza senso.
[1] Passoni D., Senza senso.
[2] Pratelli M., Il genogramma con immagini d’arte. Uno strumento per l’esplorazione della
memoria e per la ricostruzione della storia personale