“Perfino tu
che mi covasti
come un’indigestione di granate,
mi hai lasciato a forme inspiegate”
(Francesca Tiresia Mazzoni, Quando viene la sera– A Giò).
Francesca Tiresia Mazzoni è nata a Benevento, si è laureata in Psicopatologia dinamica dello sviluppo alla Sapienza e attualmente è specializzanda in analisi bioenergetica, presso la SIAB di Roma.
Porta nella sua città natale una gara di poesia slam del circuito LIPS (Lega italiana di Poetry Slam), per la prima volta in Campania, nel 2013.
Fonda il collettivo Caspar (Campania Slam Poetry associazione regionale) insieme a Vittorio Zollo e Andrea Maio ed è molto attiva nell’organizzazione e nella diffusione del Poetry Slam in Campania. Si qualifica alle finali nazionali di Genova (2018), rappresentando la Campania insieme alla poetessa Dopa Mina.
Nel 2019 dà vita al progetto Catash, duo di spoken music insieme a Carlo Corso, in cui convoglia il suo lavoro poetico di questi ultimi 4 anni e col quale è arrivata finalista alla IX edizione del premio Dubito (poesia performativa e musica).
È stata finalista anche al festival di letteratura contemporanea Bologna in Lettere (ed.2020), nella sezione di poesia performativa, con il testo Out of blue.
Nel 2021 presenta sulla piattaforma digitale Howphelia “Opus”, una mini-serie in 4 episodi, di cui è ideatrice e co-sceneggiatrice.
Con Francesca Tiresia Mazzoni la forma classica e il contenuto sono destrutturati dall’urlo vibrato nell’urto dei corpi[1]: da una poesia che spacca e combatte con coraggio le durezze della vita. Narrazione e musica diventano inscindibili in una innovativa espressione artistica, che rompe gli schemi precedenti ed è prodotta per essere performata sul palco.
Per sapere cosa sia la spoken music[1] non si può ricorrere all’enciclopedia né al vocabolario. Nell’edizione italiana di Wikipedia si trova la voce spoken word[2] ma non spoken music. La spoken word è un genere poetico incentrato sulla parola parlata, non necessariamente accompagnato da musica, mentre il centro della spoken music[3] è “la narrazione di storie attraverso la voce come strumento espressivo, politico, di ricerca”. La poetessa rappresenta contesti di forte impatto relazionale e sociale e riproduce nei testi la complessità della psiche. Possiamo iniziare a conoscere l’autrice tramite un QUESTIONARIO:
Esercizio di recupero geometrie profonde:
lasciate che gli occhi si chiudano
e si rivolgano all’interno.
Slegate il nodo di attracco
che li tiene ancorati
al proiettore percussivo
di desideri-sequenza interminabili
in cui sappiamo esattamente
quando e come ci baceranno,
come ci gireremo
o come ci chiameranno
con quale intonazione.
Sospingete adesso gli occhi
verso il trampolino osseo
scavato pazientemente nelle orbite
dalla risacca
di fumi,
molecole di pranzi,
buchi,
sequenze di numeri,
spicchi
voli
curvature
retrogusti di gel economici,
corrispondenze,
scondimenti,
mani armate,
pudori,
tagli sottilissimi,
ore,
piedi freddi,
perline luccicanti,
biglietti,
stormi in volo,
minuscoli insetti,
consistenze.
Dove sei adesso?
La tua esistenza si flette al passato? O si radica nel presente?
Nel qui ed ora?
Ma qui dove? Nel mio essere barricato dietro questi confini di carne
da cui vorrei traboccare nel firmamento?
Ma ora quando?
Ma ora in questo singulto contratto
in cui guardandoti guardo,
a mia volta,
te e me stessa?
Ti proclami libero?
Libero di che cosa?
O meglio…libero per che cosa?
Sei tu capace di distribuire a te stesso il bene e il male, di porre la tua volontà
su di te?
Cosa nasconde il tuo nome? Sei frutto di un atto d’amore?
Di una volontà? Di una distrazione? Sei la prova del potenziale fertile dei tuoi
genitori? L’innesco della loro immortalità cellulare?
Tua madre ha avuto un orgasmo il giorno del tuo concepimento?
O si è accontentata di non disperdere il seme?
Ha avuto la possibilità e la forza di scegliere di essere chi desiderava?
E tuo padre?
È stato un figlio amato, nutrito?
Si è sentito figlio? E si è mai sentito padre?
I tuoi genitori ti hanno autorizzato ad esistere come individuo?
Riesci a vederti come altro da loro?
Desideri mai l’umidità del suolo, la sconfinata pace dell’inorganico?
Perché cantate la rosa, poeti? Fatela fiorire nel poema!
Cosa c’è dopo la morte? Io non lo so, non sono ancora morta.
Con questo Questionario ipnotico ci avviciniamo alla poetessa: alla sua visione emotiva sul mondo, alle riflessioni sulla libertà e all’umorismo, necessarie per scoprire la propria identità. Ci ritroviamo, impreparati, a vivere nella società, a volte storditi da impulsi e terrori e attratti dal richiamo di pace dell’inorganico. Un tono scuro avvolge la vita senza via d’uscita, nella quale ci ritroviamo senza invitoe con lampi OUT OF BLUE[1]
Testa densa,
immensa
di grumi collosi,
tuoni tristi nel petto.
Rivedere non voglio questi volti,
risentire non voglio questi echi.
Perché rivedere, risentire
significa capire chi ero
e chi non sono stata,
il tempo mi ha pestata
con le chiavi di casa ancora strette in mano,
mi ha gettata nella nuda vita,
che per quante scorciatoie prendi resta senza via d’uscita.
Ho viaggiato senza sensi,
immersa in un sacco di paglia,
pochi odori tenui
di trucioli, di stalla
a tenermi compagnia nei lunghi mesi in cui ero sparita.
Via da me
via da me
via da me
dal mio corpo incarnato,
via da me.
Non ero, non sono
cesso la mia esistenza
mi smembra il vento
mi ingessa una densa pioggia
giro affamata a cercarmi le ossa.
Cosa manca al mio cuor, di così feroce?
Soddisfatta mai
e primitivo desiderio di decadere,
nemmeno bene in questo riesco.
Di colpo!
Accolto l’umano desiderio di perire indisturbata,
la spinta dell’inorganico sento, racchiusa come un uovo di cemento.
Un serpente mi cinge la vita,
mi guida in questa desolata vita.
Mi vesto da beata sposa,
senza fame, intatta, incarnata
spalancheremo le dita in controluce
e ci vedremo scomparire in un’unica tunica di nervi e ossa.
Ossa contro ossa
mi lascio alle spalle ogni abortita sommossa
che scalcia e fracassa, che il volto incrina
se per sbaglio oso prestare ascolto
al terrore furioso come peste,
che umana natura ci ha fornito
senza ringraziarci
e soprattutto senza invito.
Con la poetessa si intraprende un viaggio nella psiche, indietro nel tempo ma verso il futuro: rivedere, risentire significa capire chi ero e chi non sono stata ma è proprio questo ritorno il punto di partenza. Accettare quello che non abbiamo avuto significa separarsi dal passato. Venire a patti con ciò che non si è ricevuto permette di valorizzare i tuoni tristi nel petto, la personalità di adesso e la possibilità di crescere in maniera evolutiva e mettere dentro di noi tutti gli ingredienti desiderati e scelti.
La metafora della trasformazione interiore, del cambiamento dei gusci, viene sviluppata dall’autrice attraverso la ricetta della…
FRITTATA
Umore rotante mi muove
di moto perpetuo,
a strati sfogliati, lenti.
Sollevata di perimetri
da fiati scollati e gravidi pianti,
stravolta di gente umore perenne
talvolta mi prende umore dolente,
spaccata la notte
albumi di stelle
di tuorli fiammanti
di spugna
di spiaggia
di gusci che cambio
ad ogni scansata marea
che squama la pietra
e lava via due granelli di pena.
I versi sono pervasi da immagini di incastri, innesti, graffi, solchi… diventano una marcia, un tumulto emotivo e ritmico, un tuono, che ha lo scopo di risvegliare l’essere umano, tramite un INNO ALLA GIOIA
Se ci pensi
non puoi fare meglio di così
anzi ti dico,
non fare meglio di così.
È un tuo diritto
inalienabile e glorioso.
Sai che l’inno alla gioia
ascoltato sia da Adolf che da Mao
mi ricorda quanto l’uomo
sia composto all’ottanta per cento
da pezzetti di tutte le bestie del mondo
incastrate fra i denti
e il restante venti
da trionfali
detersi
strofinati
getti di
orgoglio nazionale.
Vi benedico
spolverando unghie limate
da lupi redenti
e non per vocazione
ma per fallimento
di aziende
coppie eterosessuali
e qualche bicchiere di troppo.
L’agnello come simbolo di redenzione
è obsoleto, sapete?
Adesso
la moda dice
che il futuro è del coniglio
in quanto più piccolo e impilabile.
Ora che ci siamo fumati tutto il confine culturale
restano in bella mostra
un’accozzaglia di manufatti
già macchiati di salsa barbecue
e sandali intrecciati a mano
da un pescatore dell’isola di Kos.
Non ti perdono mio Prossimo
(e chi sarei mai per farlo)
chi rivendichi il diritto
di essere accudito.
Non perseguitarmi
con i tuoi bisogni quotabili in borsa
o l’elettrizzante parto solistico
del “farsi da soli”.
Qui ci facciamo da soli
a botte di martellate sui denti,
capisci?
A suon di scalpelli
a sgretolarci un pezzo alla volta
a pulirci la faccia
dagli sputi dei salari minimi,
amico sono anni che ci facciamo da soli
agitando in aria i pugni
con le nocche spaccate sui muri in affitto
che ci infiliamo collane di dita in gola
chiedendoci mentre s’arrampica il vomito
se finalmente, questa volta,
assisteremo al prodigio delle nostre viscere.
Amico sono anni e anni che ci facciamo da soli
e con la stessa ostinata violenza
ci facciamo saltare in aria
e planiamo in perfette parabole
sulle pagine dei giornali.
Amico sono anni e anni che ci facciamo da soli.
Amico è una vita che ci facciamo da soli.
Il tema della solitudine è declamato nella attualità e nella collettività, come una denuncia feroce contro il disagio sociale e la qualità alienante della quotidianità, che porta allo sgretolarsi dell’identità. Il lettore riflette sul degrado dell’uomo composto all’ottanta per cento da pezzetti di tutte le bestie del mondo, incastrate fra i denti.
L’autrice, che possiamo definire una Poetaterapeuta, indaga le conflittualità dell’essere umano e dialoga anche con la propria Bestia interiore.
Ci mostra aspetti psicologici in contrapposizione, ad esempio tra l’abortita sommossa e l’esortazione a non accontentarsi e a non soccombere, che rivolge ALLA BESTIA
E alla bestia che io sono, ho detto:
“Bestia,
scomposta violenta rilucente e mesta
soffia, spremi, innesta
gratta alla finestra, con le zampe tese
i tendini digrignati,
con la pancia livida d’asfalto”.La poetessa parla con il proprio daimon, con la controparte che ciascuno possiede e tiene in Ombra[1]. La parola dáimōn ha origine dal greco antico e significa messaggero divino, spirito guida, compagno di viaggio: rappresenta una parte di noi inconsapevole e fondamentale per sviluppare se stessi. Per Kreinheder non dobbiamo contrastare le cose che più temiamo perché, se vengono accolte, portano alla formazione dell’identità: “la tensione, le nevrosi, le malattie si sviluppano proprio perché ci si oppone alla propria sorte. Smetti di contrastare la sua trama ma piuttosto prendine parte, abbelliscila, rendila manifesta nel comportamento quotidiano: diventa attore del dramma, aggiungici qualche nuovo ingrediente e tutto comincia a cambiare”[1].
Francesca Tiresia Mazzoni esorta alla attivazione emotiva: sfida, denuncia e trasforma la sofferenza in arte. La ferita combacia con la poesia…
MATCH THE WOUND[2]
Nitidi i denti
stampati incisi
in solchi precisi
di precisi incastri
di ricordi ormai guasti
e quando il morso cosciente
ancora combacia la ferita
perfettamente, dente a dente
ricorda che famelici e disgiunti
a conti fatti carnefici esatti
l’uno dei deboli punti dell’altrui ricamo
sorseggiamo amore liquido
vanificato dalla fiamma,
e mi riaffiora vivido
l’affondo vitreo nella mente
che percepisce e sente
ma non trasforma l’idea
che nel buio suadente,
giace un piccolo vortice misurabile
da dente a dente.
Il tema dell’amore liquido si riferisce alle relazioni di oggi, che sono spesso instabili, inaffidabili e vulnerabili. Nel contesto dell’attualità “liquida” i cambiamenti sono veloci e i punti fermi vacillano, in quanto tutto muta forma rapidamente. I liquidi, infatti, non hanno una sembianza propria ma aderiscono al contenitore (schema) in cui si trovano. Il sociologo Bauman, nel libro omonimo, evidenzia la fragilità dei legami affettivi e afferma che “la solitudine genera insicurezza, ma altrettanto fa la relazione sentimentale”. Le ambivalenze e le conflittualità sono tipiche
della nostra società e si riflettono su di essa, in una contaminazione dall’interno all’esterno e viceversa.
La poetessa individua la contrapposizione tra corpo incarnato e scheletro, inteso come ciò che resta di ognuno di noi: in vita, stiamo dente a dente per finire ossa contro ossa. La tematica della trasformazione del corpo, dei confini e della morte è presente in vari aspetti, anche come NDE[1]
Con un dito intuisco i venti
ma scalpito al suono della sveglia
che mi disturba un sogno
dove spiego le ali oscurando il sole
e sorvolo i ponti e le strade.
Sono sicura che distesa
e inavvertitamente morta
mi prenderei per i capelli
al margine della Felicità eterna
per il puro gusto di sentire
le parole che ruggiscono dal fondo della gola
che balzano fuori come tigri
mentre racconto al malcapitato di turno
di quella volta in cui
inavvertitamente morta,
non so ancora se per mano
di ignoti rapinatori
o farmaci scaduti
o meglio ancora
di un misterioso male
che poi prenderà il mio cognome,
ecco come in una di queste ipotesi
per quasi un minuto
ho sentito tutte le frequenze del mondo pulsante
attraversarmi da parte a parte
come un braccio fatto di uccelli
senza emettere alcun suono
e fosse che anche avessi le orecchie spiegate
a non perdermi nemmeno un frammento,
non percepivo se non con tutta la pelle
acquisendo per concessione divina
le qualità di tutti i miei sensi
e potevo odorare e gustare
con i capelli
e i polmoni sgusciavano fuori come mandorle
a guardare gli intricati mosaici
delle foglie che in un attimo
sbiadivano dal tenero verde
al rosso vino.Le considerazioni sulla morte spaziano da quelle più umoristiche a quelle più ideologiche. Viene richiamata la considerazione pasoliniana che essere morti o essere vivi è la stessa cosa. Riflettiamo sulla metafora dell’essere morti durante la vita, ovvero
di vivere in condizioni di degrado e miseria invivibili e inumane e dunque paragonabili alla morte[1]:
qui ci facciamo da soli a botte di martellate sui denti, capisci?
A suon di scalpelli, a sgretolarci un pezzo alla volta, a pulirci la faccia dagli sputi dei salari minimi, amico sono anni che ci facciamo da soli agitando in aria i pugni con le nocche spaccate sui muri in affitto.
Leggendo i testi ho sentito tutte le frequenze del mondo pulsante attraversarmi da parte a parte, come un braccio fatto di uccelli: l’autrice fa sperimentare al lettore ciò che scrive. Ci guida nella lettura: suggerisce, evoca e consente una personale interpretazione ed evoluzione interiore. Ci immaginiamo di assistere a uno spettacolo sinestetico su più dimensioni, che coinvolge più sensi e stati d’animo diversi.
Un sottofondo di blu pervade i testi e il nostro animo: camminiamo nella notte deserta e intraprendiamo un TRIP IN BLUE
Leggerissimi
appiattiti sotto la nebbia
resteranno incastrati
nel moto perpetuo
gli ultimi lembi del vestito di scena.
Ci scioglierà un vento elettrico.
Minuscoli origami di corpi
sfrecceranno nel cielo,
nudi.
Ci esaleremo nell’aria
fra le mani
come gelo spezzato dal fumo di un’auto.
Fra di loro i margini delle buche nella strada
posano slabbrati
a smorfia degli scatti col flash
che bramano come vedove in pelliccia
il calco di una città poeticamente a pezzi.
Si sveglia una saracinesca e
solleva l’occhio pigro della merce,
noi
fluttuiamo insensibili ai colori tradizionali
ci agganciamo come rettili,
qualche volta,
solo al blu.
Non assomiglierà a nessun blu,
mai visto su nessuna brochure
o etichetta
o lattina
o vetrina
o bomboniera di nozze
mai visto,
ci diremo intrecciando le dita sotto il mento.
Vorremmo ricordarci così,
all’ombra di chiome al propano
scambiarci sguardi assenti,
appollaiati sui bordi dei segnali stradali
che ci indicano cosa comporta la scelta.
Per scelta o per bisogno
vorremmo perderci,
vorremmo perderci,
ci siamo persi già.
Nella cornice di una metropoli notturna, decadente e vuota, siamo avvolti da una nebbia di tristezza, dolente e densa, per la fine ineluttabile delle relazioni e della vita. Attraversiamo la città e i viali fluorescenti alla ricerca del blu (e dei suoi misteri) e della carne, in questa esistenza dura, di cui rimarranno solo ossa.
La poesia di Francesca Tiresia Mazzoni possiede la potenza animatrice del tuono e non abbiamo più paura.
Sembra di essere a teatro, visualizziamo… il vestito di scena, che ci scioglierà un vento elettrico. Il sipario è calato e la rappresentazione è conclusa:
ITE, MISSA EST.
Pelle tesa antartica,
rifrange il piacere in orbite quantiche.
Uno strazio tenero fluisce
in volute di alito caldo.
Lamina sottile di sale fende le lingue, fonde.
Ostia rovente spezzata, in elevazione, sul marmo dei seni.
Ossa e peli percossi,
peli e ossa rimasugli di fossa,
ossa contro ossa scheggiate
dall’urlo vibrato nell’urto dei corpi,
privi di gravità,
privi di vanità.
Saliva di fumo come lava erutta
nel cavo del collo, precipita il piacere
e distrugge il pallore dei denti.
La Messa è finita.
[1] Pasolini, La Terra vista dalla Luna; tematica presente anche nella Ricotta.
[1] NDE: Near Death Experience-Esperienze ai confini della morte.
[1] Kreinheder A., Il corpo e l’anima, Moretti & Vitali,Bergamo (2001).
[2] Combacia la ferita.
[1] “L’Ombra è la parte più inconscia, più sconosciuta della nostra psiche – dove teniamo quello che è il male, la parte meno nobile di noi stessi, gli istinti più egoistici, più distruttivi, che non vogliamo ammettere – e li proiettiamo sull’altro, che è sempre il cattivo” da Zoja L., Paranoia in tempi di virus, a cura di Lombardo A., Home Sweet Home.
.
[1] Così dal nulla.
[1] https://www.argonline.it/spoken-music-italia-zoopalco-poetry-label-2022/
[2] Della spoken word fornisce da decenni una sua versione performativa Lello Voce che, all’inizio del Duemila, ha importato in Italia il Poetry Slam, genere poetico creato negli Stati Uniti da Mark Kelly Smith e strettamente imparentato alla spoken word.
[3] Definizione del collettivo Zoopalco, da https://www.argonline.it/spoken-music-italia-zoopalco-poetry-label-2022/
[1] Francesca Tiresia Mazzoni, Ite, Missa est.