La prima parte del libro illustra i risultati di un’analisi su di un campione di 143 ragazze anoressiche e bulimiche curate con psicoterapia familiare nel Centro originario e il Nuovo centro per lo studio della famiglia di Milano tra il 1971 e il 1987 allo scopo di valutare gli esiti a lungo termine della terapia. Lo studio, oltre che valutare l’efficacia della psicoterapia familiare, si proponeva di validare la definizione del “disturbo anoressico come espressione di sofferenza psicologica in una ragazza che fatica a crescere e a sentirsi adeguata all’interno di determinate relazioni familiari” invece che come malattia organica. Gli autori eseguono una comparazione dei tre metodi che utilizzavano in quegli anni, ovvero il metodo paradossale, la serie invariabile di prescrizioni e il metodo del disvelamento del gioco familiare, evidenziando gli elementi comuni ai tre metodi e quelli invece specifici di ognuno, ed esaminano anche i limiti comuni a questi tre metodi. Gli elementi condivisi sono: a. il coinvolgimento della famiglia; b. la restituzione interpretativa/diagnostica di tipo relazionale; c. la brevità del trattamento e l’intervallo di un mese tra le sedute. I limiti che gli autori rilevano nei tre metodi terapeutici sono in primo luogo l’assenza di uno spazio individuale per la paziente, che aveva come conseguenza la sensazione di lei di essere trascurata o quantomeno non ascoltata, in secondo luogo la scarsa empatia verso i genitori e le madri in particolare. Questa mancanza di empatia, da parte della équipe, portava spesso i genitori ad incolpare le figlie di obbligare la famiglia ad andare in terapia oltre a ostacolare la possibilità che i genitori compissero un’autocritica costruttiva che poteva motivarli al cambiamento. Dei tre metodi sopracitati, il metodo paradossale è quello che ha dato i risultati migliori. Alcune caratteristiche di base del metodo paradossale sono: 1) una forte alleanza con la paziente; 2) il fatto che si tratti di un’alleanza non esplicita; 3) il metodo paradossale fa leva esclusivamente sulle sedute familiari nelle quali la paziente ha un ruolo centrale. La terapia paradossale ricolloca la paziente al centro di una trama di relazioni familiari, delle quali è sì vittima, ma vittima volontaria, che si sacrifica per salvare gli altri. Una strada per uscire dall’anoressia è quella basata sulla crescita della consapevolezza di se stessi e del proprio mondo relazionale. La prescrizione invariabile è il metodo che in questa ricerca ha mostrato i risultati meno soddisfacenti benché ragguardevoli. Questo metodo punta alla cooperazione con i genitori ed è caratterizzato dalla strategia di deresponsabilizzare la paziente rispetto ai problemi intervenuti nella famiglia. Gli elementi che inducono i cambiamenti sono: a. spezzare l’escalation di iperprotettività e sfiducia verso la paziente; b. operare un movimento strutturale di separazione tra le generazioni che favorisce la solidarietà della fratria; c. unire molto fortemente i genitori in una reale solidarietà per aiutare la figlia a guarire. Nel metodo del disvelamento del gioco, l’effetto terapeutico è affidato a due fattori: da un lato la ricostruzione del gioco familiare, dall’altro una serie di indicazioni, non paradossali ma esplicitamente nella direzione del cambiamento. Il limite di questo metodo, nei casi andati male, consiste nel fatto che le pazienti rimproverano l’équipe di aver inutilmente colpevolizzato i genitori e di averle trattate con eccessiva durezza. Nella revisione e creazione del nuovo modello, gli autori dedicano spazio agli aspetti dell’intrapsichico e alla personalità di ciascun membro della famiglia, così come alle connessioni tra le scelte soggettive e la storia familiare. Si delinea uno schema a tre vertici, definiti dai sintomi, dalla persona e dalla famiglia. Si indagano le connessioni tra famiglia e personalità individuale e quelle tra persona e sintomo. Inoltre, gli autori rintracciano due funzioni principali dell’anoressia, la principale è l’espressione del sentimento di disvalore che la paziente sperimenta, e la seconda è di difesa che essa adotta contro la sua sofferenza. L’approfondimento delle storie personali dei genitori permette da un lato di comprendere le ragioni del loro comportamento relazionale disfunzionale e dannoso con i figli, dall’altro lato consente alla paziente di mitigare la sua rabbia verso i genitori, grazie alla compassione che prova per loro quando scopre che anche loro hanno vissuto esperienze dolorose nella loro infanzia e nella vita in generale. Gli obiettivi terapeutici con la paziente mirano a sostenerla nell’identificare i propri bisogni e ad esprimerli con i genitori, aiutandola a riscoprire il senso di valore di se stessa. Con i genitori, i terapeuti lavorano per accompagnarli ad avere una consapevolezza autocritica e costruttiva che orienti i loro comportamenti verso la riparazione della relazione con la figlia. In generale, il rapporto con la madre è quello maggiormente investito dall’intervento terapeutico in quanto rappresenta la relazione principale della formazione del Sé della ragazza e, di conseguenza, è il legame che bisogna primariamente riparare. Per aiutare la ragazza a ricostruire un senso del proprio valore, occorrono delle sedute individuali che riparino il mancato rispecchiamento materno. Spesso gli autori intraprendono anche un percorso individuale con la madre, che ha necessità di percepire i propri stati interni e, invece che reagire ad essi, iniziare a curare la sua depressione. Inoltre, la terapia con la madre si propone di aiutarla a difendere se stessa e la propria dignità, per riuscire poi a prendersi cura della figlia e riparare nella ragazza i vissuti di abbandono e di disvalore. Gli autori ricordano che la madre è il modello con la quale la figlia si identifica, ed è quindi fondamentale che sia un modello accettabile e non sofferente, come invece si dimostra attraverso la sua tendenza sacrificale o la sua modalità di controllo invadente. In sintesi, gli obiettivi della terapia individuale con la paziente anoressica sono quelli di permetterle di fare esperienza di una relazione con un adulto empatico che comprende il danno che lei ha subito dallo stile di accudimento che hanno messo in atto i genitori. La relazione con il terapeuta, con il quale può stabilire un rapporto di fiducia e condivisione senza strumentalizzazioni né controllo, aiuta la ragazza a recuperare la stima verso i genitori, in particolare verso la madre. I terapeuti riportano che lavorare solo con il padre è un evento raro in quanto, di solito, questi uomini sono restii a impegnarsi, rimangono in disparte e disinteressati, incapaci di mettersi in discussione. L’obiettivo del lavoro con la fratria è quello di far passare fratelli e sorelle da un atteggiamento prevalentemente competitivo a uno solidale. Si possono aiutare i fratelli e le sorelle a riconoscere che tutti loro hanno condiviso l’esperienza e le difficoltà di crescere nella loro famiglia. Nei colloqui preliminari, un terapeuta raccoglie una descrizione del problema e soprattutto conduce verso una definizione del problema in senso psicologico, ovvero porta la famiglia a interpretare la sofferenza della ragazza come una difficoltà nella fase della crescita che si è sviluppata all’interno delle relazioni familiari. Quando la famiglia accetta di seguire un percorso di terapia familiare, l’équipe collabora e, di solito, effettua alternativamente degli incontri con la famiglia completa, altri incontri con i sottosistemi dei genitori o della fratria. In ogni caso, il genogramma è uno strumento sempre utilizzato, allo scopo di raccogliere una descrizione delle relazioni con le famiglie di origine e individuare i pattern di attaccamento con le figure genitoriali e il clima affettivo che hanno respirato. La scelta del formato con il quale lavorare dipende da diversi fattori, come ad esempio la disponibilità o meno dei singoli membri, oppure si decide in base al momento temporale rispetto all’esordio dell’anoressia o ancora nei casi in cui la paziente sia figlia unica. Il lavoro con la coppia genitoriale è prezioso per fare in modo che i due divengano maggiormente consapevoli delle ragioni per le quali si feriscono a vicenda e per aiutarli a modificare i propri comportamenti. Infine, il lavoro terapeutico con la sola paziente si verifica nei casi in cui la ragazza rifiuta di convocare i familiari, oppure questi ultimi siano contrari, indisposti o inadatti al lavoro terapeutico. Nel caso di sola terapia individuale con la paziente, i terapeuti lavoreranno per alimentare e sfruttare le sue risorse per crescere e diventare più autonoma rispetto alla famiglia. La ragazza sarà guidata a riconoscere la storia della sofferenza che ha investito i suoi genitori prima di lei, e ancora l’eredità delle generazioni precedenti, in modo da renderla consapevole e responsabile di ciò che vuole trattenere e ciò che vuole trasformare o di cui vuole liberarsi, per vivere più liberamente le sue relazioni future. Le ragazze avranno il compito di elaborare i desideri infantili insoddisfatti per attenuare le pretese di ottenere dagli altri ciò di cui hanno bisogno ma, allo stesso modo, dovranno rendersi conto di non poter fare tutto da sole, abbandonando l’illusione di essere onnipotenti. Nel precedente libro, I giochi psicotici della famiglia (1988) gli autori avevano delineato due gruppi di ragazze, il gruppo A nel quale le pazienti erano a livello affettivo centrate soprattutto sulla madre, e un gruppo B dove le ragazze, frustrate dalle inadempienze materne, si orientavano verso il padre come genitore affettivo di riferimento. Successivamente, gli autori hanno definito un terzo gruppo di ragazze, denominato gruppo C, che presentavano l’assenza di legami affettivi sia con la madre che con il padre. Queste pazienti spesso erano state affidate durante l’infanzia a dei parenti, e la loro vita affettiva era caratterizzata principalmente dalla solitudine. Lo spazio dedicato alla terapia individuale, che si integra con la terapia familiare, ha consentito agli autori di conoscere gli aspetti personali di queste ragazze e di utilizzare le caratteristiche della loro personalità per delineare trattamenti maggiormente su misura. Per valutare questi tipi di personalità, l’équipe presta molta attenzione anche alla storia dello sviluppo infantile e preadolescenziale. I quattro tipi di personalità che vengono riscontrati principalmente nelle ragazze con anoressia, sono quello dipendente, quello borderline, quello ossessivo-compulsivo e quello narcisista, con le caratteristiche descritte dai criteri del DSM-5. La ragazza con personalità di tipo dipendente ha difficoltà a prendere le decisioni autonomamente, delega le sue responsabilità agli altri, si sente indifesa quando è sola. In generale fatica a riconoscere i propri bisogni ai quali antepone quelli altrui, è stata spesso una bambina molto accondiscendente con una relazione simbiotica con la mamma. Le ragazze con personalità borderline temono di essere abbandonate, hanno relazioni instabili e intense, sono impulsive e mettono in atto comportamenti potenzialmente dannosi, anche quelli autolesionistici e perfino suicidari. Queste pazienti sono accompagnate da sentimenti cronici di vuoto. Appartengono al gruppo B, in quanto hanno investito maggiormente sulla figura paterna. Le giovani con personalità di tipo ossessivo-compulsivo mostrano perfezionismo, prediligono l’ordine e le regole, sono eccessivamente dedite allo studio o al lavoro. Sono ragazze intransigenti in tema di moralità e di etica, manifestano rigidità e testardaggine, preferiscono stare isolate ed essere autosufficienti. Il pattern di attaccamento è quello evitante e rientrano nel gruppo C in cui manca un legame preferenziale con uno dei genitori. Le pazienti con personalità di tipo narcisista sono le più difficili al trattamento perché si dimostrano ostili, ambivalenti o passive a causa della loro difficoltà a entrare in relazioni affettive intime. Hanno un senso grandioso di importanza e l’aspettativa di essere trattate in modo speciale. Mancano di empatia, sfruttano i rapporti interpersonali e si mostrano arroganti e presuntuose. Di solito il loro tipo di attaccamento è evitante e appartengono ai gruppi B o C. Mara Selvini Palazzoli ha analizzato i fattori socioculturali implicati nell’insorgenza del disturbo anoressico e ne ha rintracciato quattro principali, ovvero: 1. il cibo è abbondante e offerto a profusione; 2. la magrezza è di moda; 3. Lo spostamento dei figli a una posizione di assoluta centralità; 4. La dipendenza dei figli dai genitori viene dilazionata rispetto al ciclo vitale. Secondo diversi autori citati nel testo [Gordon (1990), Lasch (1975), Bly (1996), Doherty (1995), Pipher (1995) e Garfinkel e Dorian (1997)] le cause che concorrono allo sviluppo dell’anoressia e della bulimia sono differenti. Ci sono fattori legati alla trasformazione del ruolo femminile che tende a evolversi verso una maggiore indipendenza, autorealizzazione e parità rispetto al ruolo maschile, ma è un ruolo che risente ancora di influenze e pregiudizi tipici del passato, legati alla cultura agricolo-patriarcale. Queste ambivalenze rendono complicato per le donne conciliare la maternità con la carriera. Un altro aspetto è la tendenza attuale degli individui a dare la priorità alla realizzazione del sé senza integrarla con un interesse e un coinvolgimento autentico e importante verso le nuove generazioni. Infine, Pipher denuncia negli Stati Uniti un dilagante conformismo sociale e la sostituzione dei Mass Media come agenti di socializzazione per i bambini, al posto dei genitori distratti e impreparati.
Per la rubrica Grandi Autori: “Ragazze anoressiche e bulimiche. La terapia familiare. ” di M. Selvini Palazzoli, S. Cirillo, M. Selvini, A.M. Sorrentino, raccontato da Raffaella Gervasoni allieva 3 anno IAF.F
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