«Il ghiacciaio è la memoria degli inverni passati che la montagna custodisce per noi».
Sarà che la montagna è il mio luogo dell’anima. Sarà che la montagna racconta delle mie radici familiari – e quindi, di me. Sarà che torno a trovarla ogni anno ed ogni anno mi riporta a casa, a quel versante di “casa” che parla di libertà, che apre orizzonti, pur radicandoti.
Le Otto Montagne racconta di me, di te, di chiunque abbia un luogo a cui tornare per riprendere a tessere i fili della propria esistenza. Può essere il tramonto su quella scogliera o la prima vetta che hai toccato quando ancora non sapevi come allacciarti gli scarponi; può essere l’odore salmastro del mattino o quel sapore di bosco che rinfresca i polmoni. C’è un luogo, immaginato o reale, che racconta chi sei, da dove vieni e – talvolta – ti aiuta a riprendere la rotta quando non sai più dove stai andando.
È così che Pietro si ri-conosce. Trentuno anni, tanti e diversi lavori, un pessimo rapporto con il padre con il quale non parla da tempo. Andato via di casa ancora giovane, è in cerca della propria strada, ma in realtà è un vagabondo che aspetta risposte a domande che non si pone. Rimane per anni in un tempo sospeso, passando da un lavoro all’altro, da un amico all’altro, in una frenesia che permette di non sentire. In una serata che doveva essere come tante altre, però, una telefonata improvvisa lo costringe a fermarsi. E Pietro sa che deve tornare, Pietro sa dove deve tornare.
Mio padre mi ha insegnato che quando in montagna non sai più dove stai andando, devi provare a tornare indietro, a quel bivio in cui senza accorgerti hai imboccato un finto sentiero: solo così puoi ritrovare la direzione, ripartendo proprio da quel punto dove qualcosa è andato storto. Pietro torna alle origini, torna in quella stessa montagna che aveva rifiutato insieme al rifiuto di suo padre; torna da Bruno, il suo più caro amico, nato e cresciuto proprio in quegli angoli sperduti della Valle d’Aosta. Bruno è la sua memoria, è la memoria di suo padre, è l’appartenenza mancata che Pietro aveva mascherato di effimera indipendenza. Giorno dopo giorno, anno dopo anno, tra sentieri già battuti e sentieri lasciati in eredità, Pietro comincia a ricucire ferite rimaste aperte. Riscopre suo padre, quel lato di suo padre che mai era riuscito realmente a vedere e che, di conseguenza, aveva rinnegato anche dentro di sé. Riscopre Bruno, il suo migliore amico, che aveva rappresentato la parte più intima e profonda di sé.
Così, con gli scarponi ai piedi e lo zaino in spalla, Pietro riprende a camminare. E non si fermerà più. Vagherà per le Otto Montagne e troverà sé stesso proprio in quell’andare che per suo padre era “il tempo della leggerezza” e di cui lui ne ha fatto la sua vita. Esplorerà nuove terre, si lascerà attraversare dal desiderio di scoprire, respirando quella libertà che soltanto chi trova il coraggio di tornare indietro riesce a sperimentare.
Per Pietro quella telefonata ha tracciato una linea di confine, ha segnato un passato a cui tornare per poter ripartire. Ma, più di tutto, ha rappresentato l’opportunità per tenere insieme, per essere nel presente e – contemporaneamente – nel suo prima e il suo dopo. Ricordo quando mio padre, in una delle tante gite in montagna, mi portò al punto di confine tra l’Italia e l’Austria. Probabilmente avevo imparato da poco ad allacciarmi gli scarponcini, ma tuttora ho l’immagine nitida di quel momento: su una pietra era scritto che da lì in poi entravamo in Austria. Così, con un piede prima ed uno oltre, potevo essere in due luoghi diversi contemporaneamente. Oggi, con vent’anni di più, guardo a quel gesto con occhi adulti, che sanno coglierne il significato nascosto: ci sono istanti nella vita in cui quella linea segna un taglio, ti dice che o sei in Austria, o sei in Italia; ma ci sono istanti in cui invece capisci che sei di fronte all’opportunità di tenere insieme, di ricucire. Pietro è tornato a quella linea, ha fatto un passo indietro e poi uno avanti e solo così ha potuto essere contemporaneamente in Austria e in Italia, nel suo passato, nel suo presente e nel suo futuro.
Riflettendoci, forse è proprio come dice mio padre: se perdi il sentiero non devi far altro che tornare indietro, tornare in quel luogo in cui il tuo cuore ha perso la rotta. Per Pietro quel luogo era suo padre, era scappato da lui come dalla montagna a cui apparteneva e solo tornandoci ha trovato la forza per ripartire. E forse a volte per tornare indietro serve più coraggio che per andare avanti, proprio come la montagna ogni anno mi insegna. C’è un filo sottile tra libertà e ostinazione, tra senso del limite e prigioni con sbarre invisibili.