“Oggi, sento di volerti addosso
e tremo per le tue mani
come l’orogenesi che richiama
le vette ai loro primordi”
(Cristian Zinfolino).
Cristian Zinfolino nasce nel 1986 alla Spezia, fa parte della Lega Italiana Poetry Slam, dove è conosciuto con lo pseudonimo di Kosmonavt.
Ha vinto svariati premi di poesia[1] e ha fondato il gruppo di spoken music Cosmic Queers (2019), con cui ha pubblicato l’album di poesia e musica Memorie dal Sottosoviet (2021). La linea che guida l’album, poi tradotto in perfomance live, è l’esperienza vissuta dal duo durante il periodo universitario a San Pietroburgo. Le tematiche sviluppate sono la ricerca di sé, della propria identità e del proprio orientamento sessuale, tutto inserito in una Unione Sovietica immaginata e onirica, attraversata come in un viaggio in treno.
Nello stesso anno è anche tra i semifinalisti del Premio Roberto Sanesi di Poesia & Musica, con il progetto Compendio di Groenlandia. Il progetto si articola attraverso un’indagine politica sul ruolo dell’individuo nella società, con l’intendo di salvaguardare il mondo in cui vive rispettando l’ambiente.
Cristian Zinfolino ha pubblicato una serie di videopoesie (con libro), dal titolo Il Genere Umano, sulla piattaforma Howphelia, del collettivo Ophelia Borgesan.
Il progetto video nasce ragionando sul ruolo del Genere Umano all’interno del proprio contesto naturale: su come potersi riavvicinare ad una natura deturpata e resa qualcosa di esterno al nostro modo di vivere, nonostante il bisogno di riprende quel contatto primitivo di animali che agiscono in favore dell’ambiente e non in supremazia.
La sua prima raccolta di poesie Made in URSS (Edizioni del Faro) è una trasposizione scritta e ampliata della performance Memorie dal Sottosoviet (2022).
“Il tempo insegna che il corpo
assomiglia ad un ascolto arcano”
(Cristian Zinfolino).
Le poesie di Cristian Zinfolino sono scritte per essere interpretate sul palco, musicate, recitate: sono poesie vive, che si muovono, si toccano, assumono una forma.
Alcuni testi hanno una struttura teatrale, si immaginano messi in scena e garantiscono un viaggio sensoriale attraverso il corpo, che emerge come protagonista nello spazio.
“Parola, dunque, in accordo all’immaginario scientifico, quale evento dotato di senso ma, ancora prima, sonoro, spaziale, espressivo, che fiorisce dal corpo, che assume i suoi connotati come conseguenza dell’organizzazione delle tensioni corporee, e che si dà come evento radicato nell’identità, nella dinamica circolare centro-periferia, fra immaginario e postura” (S. Della Giovampaola, G. Marciano[2]).
IL CORPO HA UNA MEMORIA INDIPENDENTE
Il corpo ha una memoria indipendente.
Se analizzassimo la parola indipendenza
avremmo la soluzione antropofisica
di non subordinazione.
Il corpo che danza vive in quel confine sottile
tra movimento voluto e insorto,
in un futuro tanto prossimo da essere indicativo
di un presente avveniristico.
La mente imbastisce e le membra definiscono
la carenza di un spazio limitante
in cui muoversi diventa atto di ribellione.
Il mutamento è una condizione che si espande
l’estensione muta il piano assiale
e vorrei che ti innamorassi di quella superficie
in cui ognunə possa sentirsi liberə di muovere,
senza sembrare estremista sovversivə.
La capienza del tempo è qualcosa di incomprensibile,
un flusso innaturale di cui non avremo padronanza.
è un compito differente quello del movimento impercettibile:
uno spostamento di peso schietto,
il corpo in manovre
che assecondano la gravità,
le braccia si piegano, contorcono,
si inarca la schiena e l’equilibrio
diventa un desiderio da aiutare
ad assumere direzioni e popolare la capienza
di ogni estrema linea difensiva.
– Rompere le righe è il mio atto civile,
sopravvivere come corpo naturale la mia necessità –
Vólto il vòlto e spazio s’apre spalancandosi
in questa dissolvenza che muta
in ferita di atto rituale: scavare, riesumare, ricalcare
per perdersi, prendersi, perdonarsi.
Volteggiare per restare vivi
non è distorsione ma sovversione alla tensione,
eversione dell’egomatismo intrusivo.
Vólto il vòlto per comprendere quanto lo spazio s’apra
eliminando le differenze tra di noi.
L’autore ci propone una riflessione sul corpo, che vive in quel confine sottile tra movimento voluto e insorto: gli arti conquistano l’ambiente, si estendono e lo accolgono come fosse un atto di ribellione, un’azione sovversiva verso la libertà.
Rompere le righe è il mio atto civile: il poeta ci indica una posizione da considerare come atto politico. Il corpo asseconda la gravità, alla ricerca dell’equilibrio, della direzione da seguire e della propria identità, ma non solo. La poesia è relazionale, indaga i poli vicinanza/distanza e somiglianza/differenza e implica un avanzamento personale, dalla propria linea difensiva verso l’altro.
Il lettore immagina, volteggiando, di avvicinarsi allo spazio altrui, di avere una frontiera da oltrepassare per scoprirsi simili: vólto il vòlto per comprendere quanto lo spazio s’apra eliminando le differenze tra di noi.
Scopriamo il codice espressivo del corpo, che metaforicamente si ribella e conquista spazio e legami: è un elemento essenziale, che consolida la collettività e rende eroica, la resistenza alla risacca.
“Significato e articolazione del suono avrebbero una matrice comune nel corpo e nella sua rappresentazione mentale. In quest’ottica la poesia diventa strumento di esperienza psicofisica sia in ricezione, da parte dei lettori/ascoltatori, sia in produzione nel senso operativo e creativo” (S. Della Giovampaola, G. Marciano).
La gola ricorre spesso nelle poesie di Cristian Zinfolino, ci permette di comunicare le nostre emozioni e riflessioni: rappresenta la parte dalla quale nascono le parole, necessarie per condividere e riconoscersi (ti ho riconosciuto in quella voce di gola[3]).
Da un punto di vista psicologico possiamo riflettere sulle memorie traumatiche del corpo, che comportano dei cambiamenti a livello cerebrale, ad esempio, rispetto al ruolo dell’amigdala. In soggetti che hanno subito dei traumi la soglia della percezione del pericolo si abbassa, comportando il rischio di esporsi a situazioni pericolose senza percepirne la minaccia. Questo aumenta il rischio di andare incontro ad un ulteriore evento traumatico, che rafforzerebbe lo stato di estrema sofferenza in un circolo che si autoalimenta, attraverso il rapporto tra mente e corpo[1].
“L’esperienza psicoterapeutica rappresenta un’importante opportunità di ri-organizzazione della mente e del cervello”… “Il premio Nobel Kandel [2]considera la psicoterapia un vero e proprio trattamento biologico. La mente umana si forma grazie all’interazione tra processi neurofisiologici ed esperienze vissute” (A. Scoppettone[3]).
Ma dove abbiamo nascosto i nostri credo? Quanto abbiamo sgranato i rosari dell’occasione?
PINOCCHIO
Gli oggetti smarriti
I tovaglioli caduti
Le parole vaghe
Le scuse dei distributori automatici
Le mani perdute
La cortesia per gli ospiti
L’invasione delle cavallette
Gli occhi altrove
L’emigrazione delle intenzioni
I grazie improvvisati
L’irraggiungibilità sistematica
Il narcisismo emotivo
…
Dove abbiamo nascosto i nostri credo?
Quanto abbiamo sgranato i rosari dell’occasione?
Isseranno la pelle per estremo gesto d’esistere
Che fenomeno soprannaturale, l’abbraccio all’asta
raggomitolarsi come bandiera senza vento
L’inutile difesa dal mondo e
il senso di straniamento
dalla natura terrestre sono inveri
È più intrusiva la salvezza
il levigato senso politico di un corpo
in ogni dove tu possa vedere e sentire
la vita
La nascita è nostro baluardo
in braccio a questo universo:
sfreccia, lasciando solo un soffio,
i battiti dei cuori precipitanti,
i soli svelati che ci hanno indicato l’amore
– Adesso la rugiada si posa a spegnere le case infuocate –
Ritrovati, siamo, in secoli e secoli di confini,
ora abbandonati in libertà istintive,
che ci vede appartenere tutti indistintamente
al mondo animale
Dove abbiamo nascosto i nostri credo?
Quanto abbiamo sgranato i rosari dell’occasione?
Passerà, la notte, senza ferite
Anchilosate le gambe del corpo
sicuro, degli spazi così stretti,
pensandoci feti, in quel divano
fattosi grembo. Pinocchio non fu qui
in questo ventre pescecane, non qui
Vagabondo di sogno, ha migrato
per capire il sentirsi umani
Sai, si è fatto uomo meglio di dio!
Contiamo insieme queste sillabe,
inesauribile sarà l’accento
dei passi in questo nostro cammino
In che città vivi, ha importanza?
Immagina queste nuove stagioni
non è mai errore di distrazione,
poter riemergere come uomini
Il testo fa riflettere sulla crisi di un’umanità mossa da qualunquismo e opportunismo e sulla distanza dalla natura, derubata. La perdita di valori, che vengono massificati, avvolge l’essere umano, concentrato sempre di più su se stesso. Come fare a immaginare nuove stagioni e riemergere come uomini?
Pinocchio ha migrato per capire il sentirsi umani, ha trovato l’umanità altrove, frutto di una metamorfosi: sarebbe magico, ogni giorno, restare in contatto con l’ambiente che non ha confini, annulla le distanze perché è lo stesso per tutte le città.
La nascita è nostro baluardo in braccio a questo universo che ci genera tutti, ci unisce e per il quale combattiamo.
LITURGIA ITALIANA
Abbiamo rincorso l’identità come una medaglia
rammendando con ago e filo la Patria
che ci ha fatti crescere forti e ammalati:
– Cosa è per te salute se tutti abbiamo
negli occhi un burrone? –
Abbiamo idealizzato i maestri cercando,
in loro, conforto di padri assenti
e ci rimane un ronzio nella testa a ricordarci
del nostro passato da sopiti rivoluzionari
un singhiozzo costante, mimica di cuore vivo.
Dimentichiamo, dimentichiamo sempre
distanziando i term base, ampliando l’afonia.
Deframmentati i sogni senza aggiornamenti,
anni e anni di mondo sono svaniti in mesi feroci.
Il privilegio ci ha tenuti a bada senza tendere mani
– Abbandonati al consenso, che fine ha fatto la felicità? –
Siamo binarismo sciocco, zeri e uno che si confondono
II
– Hanno falciato i campi, i piromani sono già pronti,
ho preparato dei secchi d’acqua,
secchi d’acqua chiarissima–
Tutto ciò che vogliamo è il calore
E tutto ciò che vogliamo è la luce,
affinché i nostri corpi, dal buio,
crescano nell’estate come atto creativo.
Ti ho riconosciuto in quella voce di gola
che dà forma all’urgenza:
–la preparazione manifesta il culto del riguardo –
Mentre le valli sfondavano i confini,
ridisegnavano i sentieri,
un ritmo tettonico vibrava
in tutte le membra animali e vegetali:
il canto dei continenti
non era mai stato così punk
Patria mia, il cuore tuo è così grande,
da oltre le barricate lo vedo raggiante
– Guardami negli occhi e amami ancora più forte
ché la prima volta non mi è bastata –
Ti porterò a riva con onda contro onda.
Eroica, la resistenza alla risacca.
III
Teniamoci le mani: là, dove il sole canta
una madre dolcemente richiama a sé.
Ed è luminosa, è innocenza
– gli innamorati non saranno dannati
per la loro età benedetta –
Le spighe oscillano al vento
la mietitura scandisce il tempo.
Quando il campo muterà in maggese
qualcuno penserà alla fine dei nuovi semi.
La sopravvivenza è in seno
la natura è in noi come un germe di grano:
– chi si divorerà per primo in questa carestia? –
è proprio nella gola, vicino all’aorta
pronto a strozzare i sospiri.
L’autore fa emergere la differenza tra salute e felicità: gli spostamenti che facciamo alla ricerca del benessere, senza affrontare il malessere sottostante, creano movimenti, spaccature nella crosta terrestre dalle quali riemerge nella nostra Patria. Basterebbe un po’ di calore per uscire dal buio, progredire e conquistare una profonda serenità, composta di creatività e luce:
“L’amore mio mi fa stare al sicuro,
mi protegge dall’incontrovertibile
atteggiamento estintivo della
storia”[1] ;
luce e buio, dunque, sono elementi di un’evoluzione personale e collettiva, che si aggrappa all’amore per modificare la società.
“Desidero che gli anni grigi incontrino
la giovinezza, rincasando avvolti
in striscioni come bozzoli pronti
alla schiusa.
Tesseranno il Paese della gente,
come fece la nonna col suo fuso”.
Il poeta esorta a una ritrovata giovinezza, che non dipende dall’età ma dalla natura del proprio animo. Possiamo (e dobbiamo) tessere un paese migliore, che rinnovi ciò che c’è stato in precedenza: un sogno che muta i passi.
MONTAGNE
Una donna lascia cader l’anello,
si sfila dal dito, dal corpo l’anima.
Lo stomaco si torce, è una vertigine:
– franare – parola da non ammettere,
non sa pronunciarla e il corpo non biasima.
La gente impudente la ingoia abile
– noi non eravamo così diversi? –
ammira quel dolore da un trono fatto
di stracci, una montagna nera
di sudici stracci.
C’è un rumore preciso, si manifesta
solamente quando a scatenarsi è
la nostomania: un cric. Ricorda
le foglie secche dell’autunno sordo.
E non c’è adattamento, niente impronte
che testimonino la vita sui tasti
di una lingua atrofica – Pronti! Attenti!
E morte sia! –
…
II
Non c’è salvezza per lo spiffero che,
da sotto la porta, taglia caviglie
e ci costringe a tirare su gambe
come remi in barca. Siamo gomitoli
pronti ad essere sbrogliati in matasse,
filati in arazzi e tappeti arabeschi.
– I pesciolini d’argento sanno stare in branco –
Le hanno scritto una lettera con una
manciata di parole sgranate,
una montagna nera e una manciata
di parole: – Un abbraccio dall’Etna –
III
…
IV
Le mie miserie,
le acque inquinate,
le nubi di smog,
le campagne silenziose,
i grattacieli muti,
i parchi annebbiati,
e la tua luce ancora accesa,
– spegnila, per favore e torna a dormire –
…
V
La lingua d’orogenesi porta ad una casa,
l’eterna parabola che conduce a scalare
e poi scavare, e poi scalare
in una perpetua deriva dei continenti
– la montagna nera è la mia chiesa
un sogno che muta i passi –
Una donna lascia cadere il suo anello
le si sfila dal dito, un cappio dal collo
e davanti a sé, l’immutabile integrità
una montagna nera e la sua integrità.
L’orogenesi indica il processo di formazione di un rilievo montuoso, in conseguenza dei movimenti della crosta terrestre e della deriva dei continenti.
Per il poeta rappresenta una metafora della ricerca di un equilibrio, di una casa – intesa come luogo sicuro, nonostante i conflitti interiori: i reperti da cercare scavando e gli ostacoli da superare scalando, e così via, in un ciclo infinito. I mutamenti della crosta terrestre corrispondono a quelli che accompagnano l’essere umano (interni ed esterni): l’orogenesi del poeta e le montagne della poesia smuovono i continenti.
Attraverso la cosmogonia il poeta suggerisce una lettura della nostra epoca, che parla di vita e morte e di cambiamento. Il dolore fa parte della nostra attualità e il dramma è in agguato. L’essere umano è simile ad un pezzo di legno, vive senza il conforto della natura, che non rispetta ma danneggia. L’autore auspica a una rinascita e invita alla lotta, a reagire allo sconforto: eppur non siamo qui a dirci vinti, non ora, davanti alla primavera in stracci.
MINA
Arriveremo tardi, lo so,
– Abbiate pazienza! –
La storia è qualcosa di ricorsivo,
un’entità fasciante che corregge i buzzi,
che sguinzaglia la resa dei mondi possibili
lasciandoci al nostro azzardo,
prima che Circe ci condanni a mostri.
– brilla, mina, brilla lontanissima
in campi dove fiori non cogli,
dove l’animale non scava tane
e il pensiero risiede, muto –
Affrettiamoci a vedere il tempo che resta,
– la divinazione è a portata di Sibilla –
Il nostro dogma è riservato da un riflesso
che non sazia, non rammarica.
Guarderemo insieme gli tsunami,
il compendio vegetale di Groenlandia,
e ci commuoveremo per i boschi che abbiamo visto bruciare,
per le terre che abbiamo visto allagare,
per le stanze degli sciami che ci fanno tremare.
– baciami tu, Mina, scuotimi fortissimo
come un bouquet lanciato tra mani nubili,
dove il cogliere è benedetto
e la stretta issa solo bandiere di lotta –
Lo scioglimento delle guance di permafrost;
il nugolo d’api estinto negli occhi chiari;
lo pneumatico bruciato nel petto;
le faglie slittate della pelle secca,
sono in attesa di scongiuro,
a mani nude, a mani tese sui volti.
Suolo fecondo di erbe dappoco
restami addosso a riposo.
L’estinzione lusinga le gole malate
eppur non siamo qui a dirci vinti,
non ora, davanti alla primavera in stracci.
I testi evocano degli orizzonti sconfinati e possenti: tramite la scrittura si ritrova la dignità e la natura dell’essere umano:
“Le dita sono macchiate di inchiostro
e non c’è più di un pezzo di cartone
per ricordare di essere animali
giudiziosi[2]”.
La poesia di Cristian Zinfolino è colta, densa di significati e metafore consistenti: anima il lettore e lo esorta a un cambiamento: a una lotta individuale e civile, a un risveglio e a un nuovo contatto con il corpo, con l’altro e con l’ambiente.
Il poeta propone un linguaggio esistenziale e un modo alternativo di abitare il mondo:
“Contiamo insieme queste sillabe,
inesauribile sarà l’accento
dei passi in questo nostro cammino”.
[1] Cristian Zinfolino, Incontrovertibile atteggiamento estintivo della storia.
[2] Cristian Zinfolino, Incontrovertibile atteggiamento estintivo della storia.
[1] Roth G., The Neurobiology of Psychotherapy, V European Congress for Family Therapy and Systemic Practice.
[2] Psichiatra statunitense premio Nobel per la medicina e la fisiologia.
[3] Scoppettone A., Psicoterapia e Neuroscienze: cosa accade a livello cerebrale.
[1] Secondo premio Sinestetica per la sezione videopoesia, con il testo Pugno di Mosche (2019); finalista del Premio Gozzano/Monti per la sezione di poesia inedita, con la poesia Liturgia Italiana (2021); secondo premio Bologna in Lettere per la sezione poesia orale, con la poesia Pinocchio (2021), e si è selezionato tra i finalisti con la poesia Liturgia Italiana (2022).
[2] Della Giovampaola S., Marciano G. La scuola di Vezio Ruggieri. La Poesiaterapia ad orientamento Psicofisiologico, in “Poetry Therapy Italia”Numero 7 Novembre 2022.
[3] Cristian Zinfolino, Liturgia italiana.