Howard Spence, un eroe dei tempi moderni.
Howard Spence, protagonista indiscusso del film, è un attore famoso di film western, alle prese con le prove di un set cinematografico, ambientato nelle praterie americane. Howard lascia circa 30 anni prima la propria famiglia d’origine, senza mantenere con essa più alcun contatto e preso dal jet set cinematografico, conduce una vita dissoluta, tra alcool, droga e donne.
Nel bel mezzo delle riprese del suo nuovo film, decide di scappare dal set: cambia i propri vestiti con quelli di un cowboy che incontra nel suo cammino e dopo avergli lasciato anche i propri stivali, continua scalzo la propria fuga.
Cosa spinge Howard Spence a scappare? Dove è diretto?
Howard non sembra essere consapevole di cosa lo spinga a fuggire, né tantomeno di cosa sia alla ricerca; apparentemente senza una destinazione, si dirige verso la casa d’origine, dove trova ad aspettarlo la propria madre. Il padre è deceduto 10 anni prima. C’ è una camera preparata per lui e un album pieno di ritagli di giornale, rotocalchi di ogni genere, che raccontano la sua vita, conservati dalla madre. È proprio quest’ultima che lo spinge a continuare il viaggio, rivelandogli di aver ricevuto una telefonata, 20 anni prima, da una donna che lo cercava, perché incinta di suo figlio. Così Howard si dirige verso il Montana, nel quale in quegli anni, aveva girato un film e dove aveva avuto una relazione sentimentale con una donna del luogo, Doreen, interpretata da Jessica Lange. Howard si trova a fare i conti con la propria solitudine e l’immagine che il cinema gli rimanda, non lo aiuta di certo. Il film segue senza troppe illusioni l’odissea esistenziale di Howard, al quale comunque alla fine viene negato il riparo di una famiglia, quello della madre e quello dell’ex amante. Spetta ai giovani, il figlio ritrovato, Earl, con la sua pittoresca compagna e una ragazza misteriosa di nome Sky, il compito di aprire la possibilità di uno scambio generazionale.
Cosa fa di questo campione di egoismo, un eroe, un Ulisse dei tempi moderni?
Howard torna a casa, proprio come Ulisse, dopo tanto tempo, affrontando un lungo e tortuoso viaggio. Doreen ed Earl anch’essi, come Penelope e Telemaco, sembrano rimasti ad attenderlo. Il tempo, infatti, seppur siano passati tanti anni, appare sospeso. Doreen è diventata proprietaria di un locale ma sembra non aver potuto ricostruire una vita affettiva ed Earl sembra imprigionato in una dimensione adolescenziale, senza futuro.
Cosa c’entra la vita dissoluta di Howard Spence con le gesta eroiche di Ulisse, costretto a stare lontano dalla propria famiglia dalla guerra di Troia?
Anche Ulisse, in fondo, è un personaggio discusso dalla letteratura, tanto che Dante lo relega nell’ottava bolgia dell’Inferno, insieme ai consiglieri fraudolenti della sua Firenze.
Per Dante, l’eroe greco è l’esempio negativo di chi usa l’ingegno per scopi illeciti: «Considerate la vostra semenza:/ fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e conoscenza» (XXVI, 118-120), Dante fa dire ad Ulisse, per convincere con abilità retorica, i propri compagni ad avventurarsi verso l’oceano, oltre le colonne d’Ercole, limite della conoscenza umana fissato dai decreti divini. Il viaggio, che seppur estraneo alla tradizione omerica, Dante fa compiere ad Ulisse, non è voluto da Dio e per questo è punito con il naufragio che travolge la nave. L’insaziabile curiosità e la sete di conoscenza dell’eroe omerico lo conducono quindi, agli occhi di Dante, incontro alla morte.
L’eroe greco nella tensione verso il divino, rimane in fondo profondamente umano.
Howard Spence scappa improvvisamente dal set. A spingerlo non ci sono eventi esterni, ma una spinta interiore, quella che potremmo definire, una tensione evolutiva. Si incammina verso ciò che ha negato per tanto, troppo tempo, alla scoperta degli scheletri che ha lasciato dentro il proprio armadio e decide di guardarli in faccia, uno per uno.
Dapprima si reca al cimitero a trovare il proprio padre, morto 10 anni prima, per poi affrontare lo sguardo del proprio figlio, diventato ormai trentenne. Aspetta una notte e un giorno, in strada, seduto sul divano che Earl ha buttato dalla finestra della propria casa, insieme a tutte le sue cose, per lo sconvolgimento dell’incontro con il proprio padre. Un’attesa che appare lunga trent’anni, un viaggio dentro sé stesso, per sé stesso e con esso, la possibilità di so-stare, finalmente, dentro il dolore della propria vita: tappa fondamentale nella transizione dall’adolescenza all’età adulta e momento indispensabile perché possa realizzarsi un reale scambio generazionale. Il processo di differenziazione dell’Io, per dirla con Murray Bowen, porta con sé la possibilità che gli altri componenti del nucleo familiare possano anch’essi accedere ad una maggiore definizione di sé.
Così infatti sembra accadere nel film al figlio di Howard, Earl, impersonato da Gabriel Mann. L’arrivo del padre appare come un evento che porta via ogni certezza, come evidenzia il gesto auto-distruttivo di buttare dalla finestra ogni oggetto della propria abitazione; è tutto da buttare, niente ha più valore della vita di prima. La comparsa del padre, come uno tsunami, cancella tutto.
Solo dopo questo momento possono tornare alla luce le antiche domande senza risposta ed Earl può risentire le emozioni dolorose connesse all’abbandono del padre e dare vita ad un cambiamento. Fino ad allora –“non vuole legami”- come ci dice con semplicità Sky, impersonata da Sarah Polley, la ragazza misteriosa, “l’altra figlia”. Sarà proprio quest’ultima ad offrire ad entrambi, padre e figlio, un modello diverso, dove il passato e il presente possono congiungersi, riformulando la speranza.
Anche Sky sta affrontando un viaggio, con stretto tra le braccia il suo vaso blu; figura esile, dall’apparenza fragile, è per me l’eroina di questo film. La ragazza misteriosa, portando con sé le ceneri della madre appena morta, si reca anch’essa nel Montana, per spargerle nel luogo che sa essere significativo per la propria madre. Sky riconosce in Howard “un padre”, rimane nel mistero se sia reale o simbolico ma poco importa. La sua figura ricorda quella di Telemaco, cosi come rappresentato nelle riflessioni di Recalcati (2013). Il figlio di Ulisse guarda il mare e nel suo sguardo c’è un’apertura sull’avvenire, c’è la richiesta di una giustizia, c’è la speranza di un incontro, c’è una ricerca attiva. Solo dopo il proprio viaggio Telemaco può abbracciare il padre, così come solo dopo aver riconosciuto Howard, Sky può lasciar andare la madre, disperdendone le ceneri.
Sky compie il proprio viaggio per sé stessa ed è solo dopo averlo compiuto che anch’essa può essere riconosciuta da Howard come “figlia”. Il reciproco riconoscimento sembra tracciare una nuova direzione per padri e figli, dove è possibile rilanciare la fiducia e la speranza nel legame. Così se alla fine del proprio viaggio, Howard può tornare nel set, Sky ed Earl decidono di partire insieme, all’insegna di un nuovo rapporto e della possibilità di andare avanti.
Cosa fa quindi di Howard Spence un eroe dei tempi moderni?
Howard Spence torna dal mare. Ha il coraggio di fermarsi, di rompere uno schema diventato ormai automatico, mettendosi scalzo in cammino con i propri fantasmi interiori, e di farlo prima di tutto per sé stesso, per una responsabilità verso di sé e verso la propria vita.
Recalcati osserva come dopo il tramonto dell’autorità simbolica del Nome del Padre, una profonda crisi etica attraversi il mondo occidentale, lasciando spaesati sia genitori che figli: «Nel nostro tempo nessuno sembra più tornare dal mare per riportare la Legge sull’isola devastata dal godimento mortale dei Proci» (Recalcati, 2013). Il processo dell’ereditare, della filiazione simbolica, sembra venire meno e senza di esso non si dà la possibilità di trasmissione del desiderio da una generazione all’altra e la vita umana appare priva di senso.
Howard Spence con il proprio viaggio porta a compimento il proprio compito di padre, offrendo ai propri figli un “nome” e con esso la possibilità di dare finalmente senso alla propria vita; non si presenta come un padre ideale, ma reale, con il quale diventa possibile confrontarsi e quindi scegliere. Del resto, cosa si eredita se l’eredità non è un regno?
“Abbiamo tutti almeno una volta guardato il mare aspettando che qualcosa da lì ritornasse. E qualcosa torna sempre da mare” (Recalcati, 2013).