“La vita è un segreto che non so dire
Ma per cui sorridere
E di cui so ridere
La luna stasera è bellissima”
(G. Musso, F. Pipia “Astolfo sulla Luna”)
Giulio Musso (Palermo, 1996) è poeta, paroliere e rapper. Ha scritto di letteratura weird, musica popolare e arte postumanista. Attualmente è dottorando in letteratura ispanoamericana, presso l’Università di Padova.
Federico Pipia (Palermo, 1996) è un musicista e regista: come compositore, si occupa di musica elettronica, elettroacustica e strumentale; in ambito teatrale e perfomativo si interessa di improvvisazione e teatro sonoro.
Il progetto Astolfo 13 rappresenta una rilettura e rielaborazione musicale, in chiave contemporanea, dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto; grazie al quale hanno vinto la VII edizione del Premio Dubito.
Gli autori sono cresciuti nello stesso contesto e hanno sviluppato un immaginario comune, mescolando nel tempo le loro abilità e influenze artistiche e culturali, che sono diverse ma limitrofe, come i loro caratteri.
Palermo e il mondo globalizzato sono sempre stati i loro orizzonti, in una prospettiva dialettica e contraddittoria. Forse non è un caso che questo progetto sia nato proprio quando entrambi hanno lasciato la città per studiare all’Università, in due città diverse, come se fosse un tentativo di mediazione o di sublimazione del rapporto conflittuale con il loro habitat. La genesi e lo sviluppo del progetto sono avvenuti in modo molto naturale e poco cerebrale, come se entrambi avessero capito al volo che questo era quello che avrebbero sempre voluto vedere, o ascoltare, e che non c’era.
La scrittura dei testi e la composizione delle musiche è stata armonica, la direzione da intraprendere è stata comune e tutto si è sviluppato con naturalezza nonostante la complessità dell’argomento.
Le avventure dei paladini di Francia sono la materia principale della tradizione secolare del Cunto[1]siciliano e del Teatro dei pupi. La letteratura fantastica, i quartieri rionali dove sono cresciuti, la lingua segreta di Palermo e la sua decadenza (con i palazzi abbandonati che crollano), la musica rap, la poesia di strada e persino i gangster-movie: tutte queste interferenze prendono piede già nella loro infanzia e attivano nel pubblico un meccanismo immediato di forte riconoscimento.
Gli autori, dunque, partono dallo studio e dal rispetto rigoroso del testo ariostesco e, tramite l’ibridazione di alcune strategie narrative del Cunto[2] siciliano e del Teatro dei pupi con quelle performative della poesia orale contemporanea (spoken word, poesia ad alta voce, rap), rappresentano il loro mondo interiore, legato al contesto socioculturale in un dato momento storico. “Il progetto include stili ed usi linguistici e forme della poesia orale molto diverse”… e “rientra in una definizione di spoken word decisamente arricchita e singolare[3]”.
Questi sono gli ingredienti della riuscita di questo esperimento, che è andato di qua e di là per l’Italia. Lo spettacolo, nel tempo, è cresciuto insieme agli artisti, in tutti i sensi: hanno aggiunto qualcosa e continuano a sperimentare e a ragionare attivamente sulla sua forma in termini di performance. Il presupposto nasce dal desiderio di stupire genuinamente e coinvolgere il pubblico: divertire, divertirsi e fare appassionare gli spettatori raccontando una storia, da riscoprire insieme, sono tra gli obiettivi primari del progetto. Narrare viene inteso nel senso di creare qualcosa di sorprendente e magico, da condividere collettivamente e nel quale riconoscersi tutti.
Sul palco gli autori diventano due cantastorie, si trasformano in maniera catartica e possono giocare con chiunque, compresi loro stessi. Il nome Astolfo 13 richiama quello della missione spaziale sulla Luna Apollo 13: un altro gioco evocativo con il lettore, con il quale intraprendere un incredibile viaggio lunare.
PROEMIO
“Le donne i cavalier l’armi gli amori
Le sere storte senza cortesia io canto
Del mio quartiere in cui passano i Mori
D’Africa in mare in Francia nocquer tanto
In tasca poche lire per liquori
Ed elmo e spada sotto un vecchio manto
E arnesi da stregone in una mano
Perché oggi vi racconti un fatto strano
Dirò d’Orlando in un medesmo tratto
Cosa non detta in prosa mai né in rima
Che per amor venne in furore e matto”
…
“a vuluti siantiri a storia r’un picciuattu
Ca’nfuddisci d’amuri e vi la cuntu ch’i paruali ca canuscio
Orlando nnu castiaddu d’Atlante, statt’accura!
S’arricampanu i Turchi pi ffari cosi turche
Speramu u Signuruzzu
Astolfo sulla Luna”
…
Volete ascoltare la storia di un ragazzo
Che impazzisce per amore, ve la racconto con le parole che conosco
Orlando nel castello d’Atlante stai attento!
Arrivano i saraceni per fare cose turche!
Speriamo il Signore!
Astolfo sulla Luna
…
“Poeta clandestino della strada questo sono
E quanto posso dar tutto vi dono
E quando devo scegliere non scelgo
Quello che posso prendere mi prendo
E sentirete dei più degni eroi
Degli eroinomani le loro lame ogni vecchio
Ubriacone del reame con in testa gli avvoltoi
Armature di silenzio mi guardo allo specchio e poi
Dietro di me
Ragazze madri e principesse
Ladri di biciclette
Spacciatori e spadaccini si spacciano per amici
Masnadieri nati ieri Saraceni coi bicchieri pieni
A corte corteggiatori di notte borseggiatori
Il mio barrio come Parigi circondata
Carlo Magno, libertà vigilata
Giganti e vigilantes demoni dal cielo
Pagati dai pagani Ruggero ai domiciliari
Nell’orecchio i diamanti nessuno verrà a salvarti
non c’è Bradamante
Sperando più nel suon che nella spada
Canto l’arte della guerra e la guerra per strada”.
Due brani sono in dialetto palermitano (proemio e La furia di Orlando) “per aggiungere potenza espressiva[1]” e permettere di giocare con dei riferimenti precisi legati, ad esempio, alla tradizione del Cunto.
ORLANDO NEL CASTELLO
“L’ho cercata sempre senza darmi pace
L’ho cercata sempre mai pensando a Dio
E stagni e campi e selve e strade strane
Nessuno l’amerà mai quanto l’ho amata io”
…
“L’ho cercata in Francia l’ho cercata in Spagna
L’ho cercata in Olanda l’ho cercata in Bretagna
La cerco nei miei sogni e m’intrappola la mente
La cercherò per sempre dal cuore dell’Occidente
E penso e ci ripenso e mentre galoppo lento
Improvvisamente
Passa davanti a me uno sconosciuto senza volto
Trascina sul cavallo una ragazza disperata che chiede aiuto
Il suo grido sconvolto mi punge il cuore mi chiama per nome
Aspetta!…conosco quella voce”
…
“Non dico che lei fosse, ma sembrava
la mia angelica e gentile innamorata
Cavallo vai veloce
Fulmine dal manto bianco
Cavallo vai veloce
Segui il suono del suo pianto”
…
“Un palazzo, un portone, sono dentro”
…
“Arazzi tutt’intorno
Un salone gigantesco
Cos’era quello?! Un movimento?
Le sedie al contrario
Mi sento osservato”…
…
“Un po’ meravigliosa sembra
Un po’ pericolosa sembra
… Mi manca l’aria
Ho sete …
Oh! Dell’acqua!
Mi sento meglio… Mi sento male!
Un sapore strano
Ah! La scala si sposta
Il tizio nell’arazzo s’è mosso
Il vino era blu, non è vino rosso”
…
“la mia Angelica dov’è?!
Dov’è? Dov’è? Dov’è?
Angelica mia, sembra magia”
…
“Sei giravolte e tu non ci sei
Corre che sopra, corre che sotto
Corre al trotto ed al galoppo
Corre corre come un pazzo
Dentro il magico palazzo”
…
“Si scioglie il pavimento
La sento ancora adesso mentre sto cadendo…
Respira…
ragiona
respira
ragiona
qualcosa non quadra
qualcosa non quadra
qualcuno ti guarda
tieni alta la guardia”
…
“sguaina la spada!
Orlando ci sei? Guardami
Orlando ci sei? Parlami
Orlando ci sei? Pensa
…ragiona”
“aguzza la vista, l’uscita non c’è
campa cavallo rimani con me”
…
“Arcate di vertebre strade di cellule poche nuvole di respiro una pioggia di nervi
Tessuti siriani striati di muscoli muscoli inermi intarsiati di muschio
Minuscole micrometropoli di rossi globuli immobil mobili fatti di costole
Costeggiando un pozzo nero di succhi gastrici in vortice un tubo gigante scarica sangue già morto
In circolo il circo dei linfonodi annodati all’intestino un destino di pace un destino di guerra una follia d’amore denti aguzzi lingua ponte levatoio toio!
Piovono piovre e cobra
Cambio direzione, allucinazione corrode, corro ancora”
…
“Sembrava così vicina ma così lontana
Più mi avvicino più si allontana”
“Da una finestra vedo la luna”.
L’episodio è una metafora della vita umana intesa come eterna ricerca di qualcosa di irraggiungibile, di una felicità che non arriva mai: l’oggetto del piacere si materializza davanti ma non viene mai colto. I tropi di un trip allucinogeno servono per spiegare ciò che succede ad Orlando, narcotizzato e travolto in questa angosciante trappola edonistica. Gli artisti fanno immergere il lettore nelle avventure psicodeliche di Orlando, che sperimenta un percorso allucinatorio, attraverso gli abissi della mente: paure e stati persecutori in cui si perde la fiducia nei propri sensi, perché ciò che si vede è fallace. Viene preannunciato il tema della fragilità umana e della perdita della ragione.
IL MAGO ATLANTE
“Capiresti che Non è un gigantesco manicomio
Non è la cucina del demonio
Non è un circo itinerante
Ma il Castello del Mago Atlante!
Con tutte le fantastiche attrazioni”
…
“Su! Non fare l’isterico prendi l’iperico
Per gli incubi c’ho l’edera, aceto miele e menta così non ti lamenti
Piccole dose di Vicodin chicci di pesticidi festicciole per i paladini ricchi
Per l’allucinazione: ayahuasca peruviano! La mano nella tasca, la tasca nella mano
Per farlo più felice dell’invito felce e rosmarino
Rende il soldato salvatore iperattivo!
Xanax ananas gocce sudore Satana
Salto in padella due rane del Madagascar
Anice stella stregone chef stellato betulla camomilla marijuana semi guaranà gelso nero
ginepro gesto falso ginepraio agosto sembra gennaio
Una febbre da cavallo a febbraio
Menta piperita papaia e passiflora cosicché dopo due passi appaia una pussy nuova
Lo sai? Dio non si alza prima delle sette di mattina
Vuoi evitare d’incontrarlo? Ti ho prescritto della benzodiazepina!”
…
“Non vede il sol tra questo e il polo austrino
Un giovane sì bello e sì prestante:
Ruggiero[1] ha nome, il qual da piccolino
Da me nutrito fu, ch’io sono Atlante.
Disio d’onore e suo fiero destino
L’han tratto in Francia dietro al re Agramante[2];
Ed io, che l’amai sempre più che figlio,
Lo cerco trar di Francia e di periglio”.
Da una storia classica emergono delle tematiche di oggi, come il dispensare un illusorio benessere e l’acquisire un rimedio per curare ogni disagio, per colmare ogni vuoto. “Provare a rimanere senza soluzioni, senza correre verso la propria dose personale è l’azione più coraggiosa che si possa fare” per raggiungere “la via verso la disintossicazione emozionale[3]”.
Il dramma della guerra fa da sfondo alle vicende, nelle quali i personaggi sono mossi da conflitti interiori, contraddizioni e desideri visceralmente umani.
Emergono le ambivalenze e le sfaccettature dei protagonisti, utilizzati per raccontare in modo divertente, espressivo e metaforicamente efficace un episodio della storia. Astolfo è un personaggio dei poemi cavallereschi caratterizzato da grande spirito di avventura, è un paladino di Carlo Magno, originario dell’Inghilterra, e protagonista di imprese mirabolanti[4]. “Dissolve il castello di Atlante, il luogo in cui”… “tutti vagano in cerca del proprio oggetto del desiderio, e le pulsioni del proto-sé sembrano intrappolate in una ripetitività che impedisce loro di dispiegarsi. Dissolvendo l’incantesimo di Atlante, Astolfo dà la possibilità alle coscienze nucleari di estendere
la loro consapevolezza[1]” (P. Gervasi). Inoltre, doma l’ippogrifo[2], raggiunge la porta dell’Inferno e in seguito va verso il Paradiso terrestre.
VERSO IL PARADISO TERRESTRE
“Non sono queste nuvole materia che noi abbiamo respirato mai!
Cavallo con le piume, con le ali e con gli artigli
Grifone con gli zoccoli e la coda
Ippogrifo, amico, destriero micidiale
Creatura affatto finta, ma naturale!
Nell’aria c’è qualcosa di diverso, lo sento, lo senti?
C’è tutta la memoria che mi sfuma, il fato pare qui piccola cosa,
nel luogo più straniero, più simile alla casa.
Andiamo, Voliamo!”
…
“Un paradiso, un destino senza istruzioni, un orizzonte molto più grande di noi.
Compagno dalle penne iridescenti, che vieni dal Nord, ci crederesti?
Da lì sarà vicina anche la Luna col suo cerchio”.
Orlando ha lasciato il suo re in pericolo per Angelica, ha disertato per seguirla, e capita nel luogo dove, incise nella corteccia di vari alberi, legge delle scritte in cui insieme al nome di Angelica c’è quello di Medoro, il giovane saraceno di cui è innamorata. All’inizio non riesce a crederci, attua un processo di negazione e di rifiuto della realtà ma, di fronte alle prove (il bracciale che ha regalato ad Angelica), non può più mentire a se stesso. “È lui che ha bisogno di sentirsi il salvatore di Angelica e proprio la sensazione di esser per lei superfluo, irrilevante”…“lo riempie di furia, invidia, rabbia, gelosia, violenza”.
“Ariosto descrive a questo punto nel paladino un interessante vissuto di dissociazione: si sente morto, e sente che ciò che rimane di lui non è che lo spirito prigioniero di tormenti infernali”… “e anche la donna fino ad allora amata è ora” odiata.
“È questo un meccanismo frequente: l’oscillazione odi et amo”…“È una miscela intollerabile che fa sì che il dolore tenda a volgersi all’esterno e si trasformi ora in ira irrefrenabile, la furia appunto[3]”.
LA FURIA DI ORLANDO
“L’amore che sbaglia la strada
L’amore che butta le chiavi
Che passa col rosso
Che non lascia scelta
Decide la guerra
Avvelena i fiori
Che dorme in piedi
Che uccide i pensieri”
…
“E allora u paladino
Che era u cchiù saggiu
Ra’a Coirte ri Francia
Ri Carlo Magno
Si strazza a magghiatta
Si leva a’airmatura
Si spogghia nudo
Nudo come un verme
E u sangu c’addivintava bollente
E pigghia a pistuala e si mette a sparare
A tutti, e ammazza i viddani,
i cristiani, i tuirchi
E scippa i lampioni ra luce in mianz’a strata
E muzzicuni e cavuci e graffi
E staccava a tiasta, staccav’i vrazza
E l’usava com’una mazza
E tagghiava e curreva e sparava e sbavava
E sirene, ambulanze e via vai
E cu u taliava ricia “un fuaddri accussì unn’avia vistu mai”
…
E allora il paladino
Che era il più saggio
Della corte di Francia
Di Carlo Magno
Si strappa la maglia
Si toglie l’armatura
Si spoglia nudo
Nudo come un verme
Il sangue diventava bollente
E prende la pistola
E comincia a sparare a tutti
E ammazza contadini, cristiani, infedeli
Divelle i lampioni della strada
E poi morsi, calci, graffi
E staccava teste, braccia
E le usava come una mazza
E tagliava, e correva e sparava e sbavava
E sirene e ambulanze e viavai
E chi lo guardava diceva “un pazzo così non l’ho visto mai!”
…
“Esplode la sua crisi pantoclastica, al termine della quale giace per tre giorni immobile, a terra, fissi gli occhi nel cielo, senza avvertire appetito né sonno”.
“La relazione tra sé e il mondo lo ha deluso; potrebbe anche interromperla distruggendo sé, sceglie di distruggere il mondo. Tanta forza e poco senno sono una pessima combinazione: la più pericolosa[4]” perché lo riduce a uno stato bestiale e semina morte e distruzione in tutto ciò in cui s’imbatte. È allora che Astolfo, che rappresenta la razionalità, si reca sulla Luna per recuperare il senno di Orlando: luogo metaforico dove si raccoglie tutto ciò che si perde sulla Terra.
“Astolfo trova le lacrime e i sospiri d’amore, l’ozio, il tempo perso nel gioco, i desideri irrealizzati”…“l’uomo può comprendere, grazie a questo viaggio, anche delle parti di sé: trova infatti proprio lì molte cose che lui stesso ha perduto[5]”.
È un viaggio alla ricerca di se stessi: la pazzia è rimasta tutta sulla Terra.
Orlando poi viene “soccorso moralmente dagli amici che lo costringono a inalare il senno che gli ha recuperato Astolfo, quelli che si sono volontariamente esposti alla sua dissennata violenza per aiutarlo; si sente riaccolto, perdonato da loro e riesce a superare quella che oggi definiremmo uno stato di grave depressione postpsicotica[1]”.
Ritrovata la ragione, aiuterà Carlo Magno e vinceranno la guerra contro i saraceni.
“Astolfo, recuperando il senno di Orlando, non solo risolve la vicenda bellica del poema, ma restituisce all’universo poematico la possibilità stessa di affermare la persistenza della coscienza”… “l’eroe ariostesco che percorre nel poema il cammino più lungo e tortuoso: misura il mondo, quasi cartografandolo, ed esplora i suoi confini più estremi, visitando l’Inferno e raggiungendo il Paradiso terrestre e il Cielo della Luna. Il suo volo sull’ippogrifo è il volo della mente che diventa autocosciente[2]”.
ASTOLFO SULLA LUNA
“Navigare nel cielo
Il fiato del santo
illumina il sangue
Circola e incendia le ossa
Imporpora gli occhi
Consiglia la strada
Scaglie d’argento
L’alba vestita di nero
Qui si nasconde il futuro
Il gioco dell’ombra
Le lacrime degli amanti”
…
“Cercare per sempre le cose perdute
Le stelle esplodono piano
Piano
Scoppiano in bolle i pianeti
Enorme
Il vento che sbatte
Contro uno specchio nero
Gli angeli fanno la guerra
E tutto rimane in pace
Nubi di carta
Nubi di neve
Nulla si muove
E tutto accade
Il mio cuore è una costellazione
Ha il peso specifico dell’avventura
Dal suono della prigione
All’innocenza del male
L’amore è un veleno che non uccide
La vita è un segreto che non so dire
Ma per cui sorridere
E di cui so ridere
La luna stasera è bellissima”.
“Astolfo, eroe che attraversa la mutevolezza, rappresenta la coscienza estesa, alle prese con l’instabilità dell’esperienza[3]” e ci fa riflettere sull’importanza di adattarci con flessibilità ad una realtà che muta velocemente, sia nel testo classico che nella vita contemporanea. Gli autori ripercorrono i temi attuali della fragilità umana, della pazzia, della violenza, delle stragi senza senso, dell’amore non corrisposto, della vana rincorsa delle illusioni, dell’ironia della sorte. Ci guidano nel castello incantato, ci fanno venire i brividi, volare sull’ippogrifo e oltrepassare le atrocità della guerra e il paradiso.
Il lettore assapora il gusto del meraviglioso e inizia ad amare le avventure dei paladini. “Il significato psicologico del poema si dispiega nella sua dimensione relazionale[4]” e per gli artisti condividere collettivamente e “raccontare storie dà alla poesia oggi un senso[5]”. E, grazie alla poesia, che dona immortalità, i versi spaziano dal passato al futuro e fin sulla Luna.
[1]http://www.psychiatryonline.it/node/6507.
[3] P. Gervasi https://www.doppiozero.com/orlando-furioso-il-poema-della-coscienza.
[4] P. Gervasi https://www.doppiozero.com/orlando-furioso-il-poema-della-coscienza.
[5] Matteo di Genova Poesia delle periferie arrugginite: cosa ci ha lasciato Alberto Dubito.
[1] P. Gervasi https://www.doppiozero.com/orlando-furioso-il-poema-della-coscienza.
[2] L’ippogrifo è una creatura leggendaria alata, originata dall’incrocio tra un cavallo ed un grifone, con testa, ali, zampe anteriori di aquila ed il resto del corpo da cavallo.
[3] http://www.psychiatryonline.it/node/6507.
[4] http://www.psychiatryonline.it/node/6507.
[5] https://www.studenti.it/orlando-furioso-astolfo-sulla-luna.html.
[1] Giovane guerriero pagano, discendente dalla stirpe di Ettore, che si convertirà al cristianesimo per sposare la guerriera cristiana Bradamante,capostipiti della Casata degli Estensi, che così viene celebrata.
[2] Personaggio letterario che comanda i saraceni contro i cristiani di Carlo Magno.
[3] Pintaudi G., La dose.
[4] Astolfo ha una lancia d’oro, che sbalza di sella ogni cavaliere, e un corno che riempie di paura chiunque lo senta.
[1] I cannibali della parola, Astolfo 13 vince il premio Dubito 2019, a cura di Dimitri Ruggeri.
[1] Cunto: racconto espresso come narrazione orale, con cui i cantori intrattenevano il popolo per la strada
3 I cannibali della parola, Astolfo 13 vince il premio Dubito 2019, a cura di Dimitri Ruggeri.