Mentre Giochi psicotici nella famiglia si concludeva con l’invito a pensare per andirivieni, a suggerire l’incessante avanti e indietro esplorativo tra modelli diacronici e sincronici, tra il generale e il particolare, il presente e il passato, Entrare in terapiaparte proprio dall’evoluzione del modello sistemico verso una maggiore complessità, che si esplica mediante il concetto delle sette porte. Queste stanno ad indicare le porte di ingresso per penetrare nel mondo del paziente e del suo sistema familiare, griglie di lettura della realtà che si intersecano tra loro a comporre una prospettiva per l’appunto complessa. Naturalmente va seguito un ordine, che però non deve essere rigido e uguale in tutte le terapie, ma piuttosto deve adattarsi alla specificità del caso. A tal proposito, bellissima la metafora proposta dagli autori per cui ci si può immaginare una stanza centrale, che rappresenta il paziente e la sua sofferenza, intorno alla quale si innalza una parete circolare, nella quale si aprono diverse porte, ognuna delle quali introduce a uno spicchio della stanza centrale: sta al terapeuta scegliere da quale porta entrare per prima, per poi retrocedere e sceglierne via via un’altra.
La prima porta – i quattro contesti della domanda – rappresenta la fase preliminare, che comprende il primo contatto telefonico, in cui viene avanzata dal richiedente la domanda di aiuto, ed il conseguente primo colloquio. L’obiettivo di questa prima fase è di mettere a fuoco una valutazione semplice e operativa su quali siano le migliori procedure per costruire una presa in carico efficace.
Le domande di aiuto sono molteplici ma possono essere raggruppate in quattro categorie: la domanda di un familiare per un altro familiare che viene definito paziente o malato o problematico, non motivato a chiedere aiuto, poco collaborativo o perfino oppositivo; la domanda per una relazione definita dal richiedente difficile/problematica/conflittuale; l’assenza di domanda che conduce ad un invio coatto da parte di un’istituzione (come la scuola o il tribunale); la domanda individuale di una persona per sé stessa. A seconda del tipo di domanda pervenuta, il terapeuta sceglierà il formato più opportuno per il primo colloquio, che rifletterà la visione che egli ha del problema. Ad esempio, se il paziente designato è un adolescente o giovane adulto non richiedente, si ritiene idoneo un primo colloquio congiunto con i genitori; se si tratta di un bambino, il primo incontro avverrà alla sola presenza dei genitori e solo successivamente si vedrà il paziente bambino. Se il paziente non richiedente è un adulto, risulterà utile invitare al primo colloquio il partner o la famiglia di origine, a seconda di chi ha sollecitato la domanda – è regola ferrea convocare sempre chi telefona (se è membro della famiglia).
In generale, gli obiettivi del primo colloquio saranno: ottenere una definizione descrittiva e comportamentale del problema, che è espressione di sofferenza verso cui va costruita empatia; valutare e garantire la messa in sicurezza del paziente e dei suoi familiari; restituire una spiegazione psicologica individuale del problema; esplorare e valorizzare le risorse del paziente e della famiglia; proporre un programma di intervento (contratto).
Con la seconda porta – la diagnosi sistemica – prende avvio la fase di consultazione, che ha l’obiettivo di ottenere una ricostruzione condivisa della storia evolutiva del paziente (e degli altri membri del nucleo), per giungere a un’ipotesi condivisa su ciò che è stato, così da identificare un progetto riparativo, recuperando e stimolando le risorse di ciascuno. Partendo dallaconoscenza dei dati raccolti nei colloqui preliminari, riguardo la storia del paziente e della sua famiglia, e dall’osservazione nel qui e ora di come la famiglia si rapporta, si indaga il funzionamento relazionale mediante tredici dimensioni: dimensione strutturale; dimensione del gioco di potere o strategica; dimensione etica della giustizia; dimensione delle regole, del controllo e della guida; dimensione della preoccupazione; dimensione del conflitto/cooperazione; dimensione dell’empatia e del calore; dimensione della comunicazione e della metacomunicazione; dimensione della chiusura/apertura verso l’esterno; dimensione della responsabilizzazione; dimensione della paura; dimensione delle credenze irrazionali condivise o miti; dimensione evolutiva.
La terza porta riguarda la sintomatologia. Se inizialmente ci si sofferma sulla necessità di definire il problema presentato dal paziente all’interno di un’ottica descrittiva, poi integrata con la “teoria della malattia” dei singoli membri della famiglia, il passaggio successivo è illustrare il tipo di sofferenza che si esprime con quel sintomo, la cui espressione riflette la rappresentazione che il paziente ha di sé e il suo funzionamento in termini di tratti distintivi della sua personalità che danno stabilità al sintomo.
La quarta porta è la diagnosi di attaccamento, che permette di formulare una prima diagnosi di funzionamento individuale: osservare le modalità relazionali adottate dalla persona consente di fare ipotesi circa il tipo di attaccamento (sicuro, ansioso-ambivalente, ansioso-evitante o disorganizzato) sviluppatosi a partire dalle esperienze primarie con le figure di riferimento e dei conseguenti modelli operativi interni formatisi (che riflettono le concezioni del mondo dei rapporti). Inoltre, dà riferimenti importanti per comprendere i differenti sviluppi di personalità, soprattutto quelli disfunzionali e traumatici, e quindi anche per capire l’eziopatogenesi dei disturbi psichiatrici e di personalità.
La quinta porta è la diagnosi di personalità. I tratti di personalità possono essere espressi lungo un continuum che va dalla sfumatura del carattere della persona normale alla patologia psichiatrica, sono cioè dimensionali, nel senso che funzionano a diversi livelli di rigidità/pervasività: normale (costituiscono uno stile), nevrotico (possiamo vederli come un tratto) o psicotico (un vero disturbo del carattere, egosintonico). Un disturbo della personalità è una configurazione pervasiva del carattere, che rappresenta un’organizzazione difensiva rigida rispetto ai vissuti di sofferenza, agli stress esistenziali e alle sfide evolutive, e si esplica in un funzionamento ripetitivo, la cui rigidità comporta un impoverimento del funzionamento cognitivo, affettivo, interpersonale e del controllo degli impulsi.
La sesta porta è la diagnosi trigenerazionale, che consiste nel far raccontare ai genitori la loro storia infantile, il clima della loro famiglia, i rapporti con i loro genitori, alla presenza dei figli. Così facendo si mettono in luce i processi di trasmissione di tratti e comportamenti attraverso le generazioni, offrendo una nuova prospettiva che vede i genitori collegare i vissuti di figlio con il modo con cui hanno affrontato il divenire genitore, e i figli meglio comprendere i vissuti dei genitori.
La settima e ultima porta è la diagnosi basata sulle emozioni del terapeuta. Il terapeuta deve essere in grado di creare un’alleanza intensa, creativa, autentica con il paziente, alternando momenti più fusionali a momenti di distacco necessario. Le emozioni del terapeuta possono essere o indotte in risposta agli atteggiamenti del paziente (controtransfert) o provocate da meccanismi di somiglianza/identificazione con lui (risonanza); risultano pertanto una fondamentale via per la conoscenza, in quanto favoriscono la comprensione del paziente e del terapeuta stesso. In particolare, il controtransfert aiuta nel fare diagnosi di personalità rispetto all’individuo e diagnosi del funzionamento del sistema rispetto alla famiglia, mentre la risonanza permette di fare diagnosi sul terapeuta. Inoltre, l’attenzione alle emozioni del terapeuta è di decisiva importanza per la prevenzione di possibili distorsioni antiterapeutiche della relazione con il paziente, quali fuga, rifiuto, fastidio, distacco, onnipotenza, eccesso empatico, ipercoinvolgimento, bisogno di controllo, paura, preoccupazione.
Al termine della fase di consultazione, che generalmente dura dalle tre alle sette sedute, ottenuta una collaborazione ottimale di tutti i membri della famiglia coinvolti, viene stipulato il contratto, che definisce gli obiettivi condivisi esplicitati e segna il passaggio alla terapia vera e propria.