L’Oceano Borderline, pubblicato nel 2006 dallo psichiatra e psicoterapeuta Luigi Cancrini, è un libro
che ci invita ad esplorare il funzionamento border della mente, paragonato ad un oceano per
l’ampiezza di situazioni che in esso possono rientrare. L’autore condivide con noi “naviganti”
riflessioni e considerazioni maturate durante la sua lunga esperienza professionale, in particolare
nell’ambito della marginalità e delle tossicodipendenze e presso il Centro di aiuto al bambino
maltrattato di Roma.
In questo viaggio, l’autore ci invita a considerare come il funzionamento borderline, un
funzionamento basato sul meccanismo difensivo della scissione, sia una potenzialità dell’essere
umano a cui tutti noi abbiamo accesso secondo livelli più o meno alti o bassi di attivazione di soglia,
quando altre difese più evolute non sono utilizzabili. Questo concetto è fondamentale e centrale nel
lavoro di Cancrini, perché apre a due importanti riflessioni: che il funzionamento borderline si sposta
lungo un polo, un “oceano” di comportamenti e livelli differenti non solo da persona a persona, ma
anche all’interno di momenti diversi della vita della persona stessa, e quindi che non è una struttura
immutabile e uguale per tutti; che noi professionisti della salute mentale non siamo esenti da questo
funzionamento e che anche noi possiamo scivolare in un funzionamento di tipo borderline, in
particolare in momenti di controtransfert durante lo svolgimento della nostra professione.
Riprendendo lavori di altri autori, come Melanie Klein o Margaret Mahler, Cancrini evidenzia come
tutti gli esseri umani, durante il loro sviluppo, apprendono il funzionamento borderline della loro
mente nel delicato compito di integrare le rappresentazioni buone e cattive del Sé e delle persone
con le quali si relazionano a partire dai primi mesi di vita. La capacità di sviluppo di una buona
integrazione tra le diverse rappresentazioni di Sé e dell’Altro e la maturazione di una soglia di
attivazione sufficientemente alta prima di scivolare in un funzionamento di tipo borderline possono
essere ostacolate da contesti patologici e da circostanze relazionali disfunzionali che si ripetono
nell’esperienza della persona, in modo privilegiato durante il delicato periodo delle “crisi di
riavvicinamento” del bambino nei confronti del suo caregiver, ma anche nelle esperienze relazionali
più tardive dell’adolescente o dell’adulto, andando a compromettere i suoi compiti maturativi e di
sviluppo e abbassando i suoi livelli di soglia per l’attivazione di un funzionamento borderline come
risposta difensiva all’angoscia .
L’autore sottolinea però due aspetti importanti: le esperienze relazionali sfavorevoli non sono
episodi occasionali, ma sono esperienze ripetute nel tempo, e che la possibilità del bambino di
accedere a una figura che sia in grado di permettergli di sviluppare fiducia nelle relazioni gli
permetterà di sviluppare più facilmente rapporti di speranza e di fiducia nel futuro. Questo è
fondamentale, perché ci invita a mantenere sempre uno sguardo aperto all’esplorazione delle
risorse relazionali presenti nell’ambiente del paziente bambino o quelle che possono esservi state
nell’infanzia del paziente adulto, aiutandoci a comprendere maggiormente come mai da esperienze
in apparenza drammaticamente simili a volte possano delinearsi traiettorie di sviluppo e possibilità
molto differenti. Quando si verificano ripetutamente esperienze che ostacolano i compiti di
integrazione del bambino, la tipologia e il clima affettivo di queste esperienze ripetute andranno poi
a definire la tipologia di repertorio comportamentale messo in atto durante l’attivazione del
funzionamento borderline. L’aver fatto esperienza di essere il “gioiello di famiglia” senza però venir
rispecchiati nelle proprie emozioni profonde e autentiche o senza essere visti con uno sguardo di
amore e comprensione anche nelle proprie fragilità può portare alla possibilità di sviluppare
comportamenti patologici di tipo narcisistico in età adulta, mentre l’aver fatto esperienza di
relazioni incentrare sul controllo, la violenza e la trascuratezza può comportare ad un repertorio di
comportamenti patologici di tipo antisociale, per quanto una netta separazione tra le varie tipologie
di disturbi sia spesso puramente convenzionale, ritrovandosi nella realtà clinica una notevole
complessità multiforme nei comportamenti patologici manifestati.
Un terapeuta che può essere d’aiuto nella sua professione è un terapeuta che riesce ad accogliere
le angosce del paziente, che lo cerca nelle sue “crisi di riavvicinamento”, e nello stesso momento
riesce ad incoraggiarlo con delicatezza all’esplorazione, evitando in questo modo sia il rifiuto che
l’eccessiva protezione, riuscendo a rendere possibile un buon processo di integrazione delle
rappresentazioni buone e cattive del Sé e dell’Altro.
Per poter svolgere questa funzione, il terapeuta deve essere consapevole che nello svolgimento
della sua professione verrà investito di tutta una serie di esperienze che fanno parte della storia del
paziente e che potrebbero attivare, in maniera più o meno temporanea, momenti di regressione a
funzionamenti più o meno integrati anche nella mente del terapeuta, andando ad ostacolare il
lavoro che sta svolgendo. La possibilità di uno spazio di supervisione è quindi una risorsa e parte
fondamentale del lavoro del terapeuta, che in questo modo viene aiutato dai colleghi ad accedere
nuovamente ad un funzionamento integrato della propria mente nel lavoro con il paziente.
In conclusione, Cancrini ci porta in un viaggio alla scoperta di un nuovo modo di guardare al
funzionamento borderline della mente, con la consapevolezza che ci siano ancora tanti mari da
esplorare e da conoscere, ma mantenendo uno sguardo aperto alle risorse e alla relazione come
fonti di speranza, come un faro nei momenti di navigazione più bui e tempestosi.