THE DREAMERS
PROCESSI DI EVOLUZIONE E DIFFERENZIAZIONE
Come si può fare per crescere e diventare adulti, senza rinunciare ad essere dei sognatori? Come trovare se stessi, la propria identità, senza aderire acriticamente ai modelli proposti dalla società?
Come transitare dal principio del piacere al principio di realtà integrando questi elementi nella vita quotidiana? In poche parole, come congiungere l’interiorità con l’esterno, l’apparire con la realtà: “avere o essere”?
Il film The Dreamers, tratto dal romanzo The Holy Innocents di Gilbert Adair (che è anche sceneggiatore), offre degli spunti di riflessione su molte domande.
“Oltre che un film sulla politica, o sul Maggio francese, o sull’incesto, o sull’iniziazione sessuale, The Dreamers è un film sulle immagini, sulle possibili relazioni che un soggetto può intrattenere con le immagini e sul rapporto tra immagine e mondo[1]” (E. Carrocci). Siamo a Parigi, nel 1968. Matthew, un ventenne americano, studia cinema e frequenta la Cinémathèque Française. Qui conosce una coppia di gemelli, Théo e Isabelle, che lo inviteranno a trasferirsi a casa loro.
Bertolucci sceglie Parigi perché è “il luogo che forse più di ogni altro segna la sua appartenenza a un territorio. Non si tratta, naturalmente, di un territorio inteso in senso geografico né culturale (uno dei caratteri più evidenti del cinema di Bertolucci è forse proprio il suo nomadismo, il carattere apolide del suo sguardo perfino quando gira in patria): Parigi è il territorio immaginario della cinefilia”.
Nel febbraio (1968) Henri Langlois era stato rimosso dalla sua carica di direttore della Cinémathèque Française, dal ministro della Cultura André Malraux, suscitando forti proteste. La rivoluzione che vuole rappresentare il film, all’inizio, è cinematografica e il film stesso è costituito da continue citazioni con lo scopo di celebrare il cinema (Ray, Godar, Truffaut, Wilder, etc).
“Il cinema, che appassiona i giovani parigini negli anni in cui era è nata la Nouvelle Vague, (s)muove le vicende dei giovani che improntano la loro vita come specchio del cinema, in un periodo in cui i loro mondi e i loro sogni sono indissolubilmente intrecciati ai sogni della celluloide[2]” (G. Santoro).
Sedere in prima fila per ricevere le immagini per primi, essere “insaziabili” di cinema e ricreare la vita come se fosse un’opera d’arte è per i ragazzi la modalità che sviluppano per ricercare di un nutrimento interiore.
Questa fruizione dello schermo “si caratterizza essenzialmente per l’ambivalenza, per l’indistinzione interno/esterno, attivo/passivo, agire/subire, mangiare/essere mangiati, quella stessa indistinzione che per buona parte del film definisce il comportamento dei tre giovani cinefili i cui genitori, ci dice a un certo punto Théo, lasciavano sempre la porta aperta” (E. Carocci) esprimendo la difficoltà a costruire dei confini intergenerazionali. E forse si può ricollegare anche alle tematiche del film “il corridoio della paura” che guardano nelle prime scene.
“Molto spesso nel film, e fin dalla sua prima apparizione, Isabelle recita, e d’altra parte il suo personaggio è spesso caratterizzato da associazioni con figure di dive hollywoodiane” (E. Carocci), ad esempio, con la protagonista di Viale del tramonto.
“Isabelle si esibisce, si offre allo sguardo come icona: ma si tratta, per questa diva bambina, di un gioco in cui coinvolgere Matthew” (E. Carocci): Isabelle si identifica con dei modelli immaginari che coglie dal cinema, perché sono gli unici che conosce e le servono per celare le sue insicurezze e fragilità.
Il film scorre a ritmo di rock (Doors, Janis Joplin, Jimi Hendrix), con riferimenti all’arte (Delacroix, David, Bacon, Warhol, La venere di Milo) e con una dimensione estetica curata perfettamente nelle immagini e nella scelta della musica.
Come terapeuti possiamo domandarci: “come si costruisce una mente clinica fondata su principi estetici, una mente che sia al tempo stesso, flessibile, dinamica, musicale, cioè sensibile alla ritmicità dell’incontro terapeutico e capace di attingere alla musicalità della parola, del gesto, del silenzio, in un processo continuo di improvvisazione creativa[3]?” (G. Ruggiero). È “nel pensiero sistemico ed eco-sistemico” scrive Ruggiero (2023) “che si trovano radici e tracce più affini alle filosofie orientali: una visione circolare del tempo, fondata sul principio che non esiste una cosa isolata nell’intero universo, che ogni cosa è collegata ad un’altra, che la totalità contiene le singole parti, ognuna delle quali contiene in sé la totalità”, proprio come in alcuni film di Bertolucci della “trilogia orientalista” (o “trilogia dell’altrove”), alternati alla “trilogia intimistica” (o “trilogia da camera”), tra cui rientra The Dreamers.
I protagonisti di The Dreamers esplorano se stessi e i loro corpi nella reclusione dell’appartamento. I fratelli fissano “le regole di uno strano quiz cinefilo, allo stesso tempo innocente e perverso, che li porta ad esplorare i limiti della propria identità emozionale e sessuale[4]”. L’idea che Bertolucci vuole comunicare nei suoi film riguarda la liberazione sessuale, che spacca i ruoli rigidi della famiglia borghese, portata dal regista a volte all’estremo, come se ci fosse un bisogno di scandalizzare lo spettatore mostrando ciò che di solito non viene rappresentato (e può essere considerato osceno nel senso etimologico di obscenus, che sta fuori dalla scena), che avviene di pari passo alla rivoluzione politica.
I ragazzi “si chiudono in casa per riflettere privatamente sulla (loro) rivoluzione. Il padre, un poeta ormai inascoltato, e la madre, dolce e silenziosa casalinga, sono mandati in esilio fuori Parigi. I figli provano ad appropriarsi del futuro espropriando per prima cosa quello spazio privato, il grande appartamento borghese dei genitori, che è la sede simbolica e il cuore stesso della società sotto accusa. Gli ossessivi giochi intellettual-erotici dei tre ragazzi, che ormai non lasciano più l’appartamento nemmeno per andare alle manifestazioni, diventano il loro laboratorio rivoluzionario privato[5]” (F. Gregoratto).
Matthew viene coinvolto nella relazione di giochi e penitenze dei gemelli (siamesi) ma si pone come principio di realtà: “così non crescerete mai”, afferma invitando Isabelle a uscire da sola con lui “senza la protezione del rapporto fusionale, incestuoso e dipendente, che ha instaurato col fratello per mantenersi a riparo dal mondo” (E. Carrocci). Quando vanno al cinema, si spostano dalla prima all’ultima fila proprio perché prevale il rapporto con l’altro rispetto a quello con l’immagine.
La loro uscita da soli “ci mostra il tentativo di uscire da uno stadio infantile e riparato, per sperimentare un modello alternativo e più maturo di relazione affettiva, fino a concludersi con il richiamo di Théo cui Isabelle non saprà opporsi” (E. Carrocci).
“Con la canzone dei Doors I’m a spy in the house of love per la prima volta Matthew entra in camera di Isabelle e questo sembra rappresentare l’ingresso nella sua intimità, nel suo spazio individuale, come una spia nella casa dell’amore: un ingresso alla ricerca di indizi che gli facciano capire chi è Isabelle. La camera sembra quella di una bambina, è una camera anonima come quella delle sorelle di Matthew: ci sono degli orsacchiotti, i pattini, un microscopio, le fotografie dei genitori; tutto contrasta con il bisogno di Isabelle di avere degli spettatori (che appare come “diva bambina”), con la stanza caotica di Théo e con la definizione di “durs et purs”.
Il rapporto di Matthew con Théo e Isa comincia a incrinarsi: lui non può più seguirli, e d’altronde i due fratelli devono allontanarlo per non vedere smascherato l’(auto) inganno che struttura le loro identità”… “Théo e Isabelle sono due adolescenti fermi a uno stadio infantile, e in questo risiede la loro colpa e insieme la loro innocenza”…“Nel seguito del film risulterà chiaro che per Théo e Isabelle è impossibile concepire forme mature di coinvolgimento, sia affettivo che politico-ideologico.” (E. Carrocci).
Come terapeuti riteniamo che: “non è possibile prendersi cura della persona senza osservarla all’interno del suo contesto familiare, sociale e relazionale” (G. Ruggiero, 2023). Se consideriamo il sistema familiare, in un’ottica sistemico relazionale, notiamo un confronto intergenerazionale multiproblematico, legato a un mancato riconoscimento e sostegno nella crescita, all’assenza di confini permeabili (Minuchin, 1977), alla difficoltà di comunicare e di svolgere le funzioni genitoriali e compare la sofferenza che le dinamiche relazionali disfunzionali comportano nella famiglia.
“Tutti abbiamo un padre” dirà Matthew “Sì, ma il fatto che Dio non esiste non significa dire che lui possa prendere il suo posto” affermerà Theo a proposito di suo padre, che sembra sapere tutto e non condividere le ideologie dei figli e del contesto storico, ma restarne “fuori”, fuori dalla famiglia e dalla collettività.
“La condizione di Théo e Isabelle è quella di due «cine-figli», per utilizzare l’espressione di Serge Daney: due orfani per cui il cinema rappresenta, più o meno, la restaurazione della figura del padre assente (una delle grandi tematiche del cinema di Bertolucci)”…“Lo schermo cinematografico, per loro, non è il luogo di un incontro, bensì un riparo protettivo contro il mondo esterno. Il purismo del cinefilo, in The Dreamers, è indice di un isolamento, cioè una difesa” (E. Carrocci).
La difficoltà dei genitori a svolgere un ruolo genitoriale crea nei fratelli una coesione simbiotica: viene a crearsi una sola individualità, una “massa indifferenziata dell’io familiare” (Bowen, 1979); i ruoli che hanno assunto tengono i familiari rigidamente imprigionati in una determinata posizione e questo costituisce una minaccia per l’individualità e l’autonomia e impedisce il processo di differenziazione.
C’è una dipendenza (soprattutto economica) dai genitori ma non un’appartenenza, che permetta di stare al mondo in maniera evolutiva.
“I legami sociali, di amore e di potere, sono ormai ridotti a una transazione economica” (F. Gregoratto). “Le provviste e il denaro lasciato dai genitori vengono sperperati senza riguardi: il privato diventa il luogo dell’esaurimento della proprietà privata. In secondo luogo, il rapporto tra i sessi viene elaborato da una complicatissima conformazione edipica, dove il ruolo materno viene giocato e distorto dalla trasgressiva e insicura gemella (che brucia il pranzo), il ruolo paterno si divide tra un gemello narciso e possessivo e l’amico, l’ospite straniero. I generi e i rapporti di potere rimangono, ma le gerarchie (almeno quelle generazionali), così come i risparmi, vengono spazzati via” (F. Gregoratto).
In questo film, inoltre, viene espresso anche un “confronto-scontro tra la borghesia illuminata francese e la borghesia americana, che, con la tolleranza pacifista, cerca di ritrovare l’innocenza perduta negli anni della guerra del Vietnam; e c’è molto altro ancora…” (G. Santoro). Il bisogno di aderire a un estremismo, cioè di assumere le categorie in modo estremo, rappresenta una modalità per riempire i vuoti interiori e nascondere le paure, che impediscono la crescita, bloccano un’evoluzione relazionale, e spiegano la scelta politica assunta dai fratelli alla fine del film.
“Il motto sessantottino dell’“immaginazione al potere” significa, per i sognatori di Bertolucci, andare a ritrovare in quel potente immaginario collettivo, costituito dalla storia del cinema, degli alter ego da reinterpretare (come i freaks di Browning, la regina Christina di Mamoulian, e naturalmente Franz, Arthur e Odile di Band à part), mimando una rivoluzione che verrà – o che forse sta già accadendo, altrove, e senza di loro”…“Lo schermo del cinema non può più rimanere lo schermo che schermava noi, dal mondo (dice Matthew), ma viene infranto dal sasso di un manifestante lanciato contro la finestra dell’appartamento” (F. Gregoratto), che rivela ai tre ragazzi che è scoppiata la rivolta del Maggio ‘68. “Il sasso (l’evento) arriva a rompere la finestra e salva Isabelle dalla vergogna di essere stata scoperta dai genitori” (F. Gregoratto) nel ménage à trois col fratello, interrompendo il suo tentativo di suicidio.
Isabelle accende il gas e progetta la morte con i ragazzi, che dormono al suo fianco, dentro la tenda orientaleggiante, che ha montato nel mezzo del salotto. “Si tratta di una casa dentro la casa, un rifugio dentro il rifugio, uno spazio avvolgente e iper-regressivo che costituisce una fuga dal caos che i tre hanno creato nell’appartamento” e che anticipa la “separazione definitiva per la strada, nel momento in cui i tre dovranno prendere davvero una posizione di fronte al movimento del Maggio” (E. Carrocci).
Come portare avanti il proprio percorso di sviluppo interiore e trovare una posizione evolutiva rispetto alle dinamiche familiari, sociali e politiche?
Bertolucci esprime che “le tensioni e conflitti privati possono essere risolti, positivamente o negativamente, solo nello spazio pubblico” (F. Gregoratto).
La struttura spaziale tipica del cinema di Bertolucci è costruita secondo l’asse interno/esterno, “dove l’interno corrisponde all’intimità della vecchia, grande casa borghese, un labirinto di cunicoli”… “e l’esterno è la strada dove alla fine i protagonisti sono costretti a scendere se vogliono sperimentare (e risolvere) pubblicamente i loro confitti” (F. Gregoratto). Per Bertolucci la vera rivoluzione parte dalla costruzione di legami affettivi significativi e questo avviene all’interno della società, in cui si vive, per cui è fondamentale occuparci della collettività, utilizzare la cultura al posto della violenza e soprattutto integrare la mente con il cuore.
[1] Carocci E., The Dreamers, https://www.academia.edu/.
[2] Santoro G., “The dreamers” di Bernardo Bertolucci, Primo Tango a Parigi. Per non dimenticare quei sogni che cambiarono il mondo, https://www.nonsolocinema.com
[3] Ruggiero G., (2023) Prove d’orchestra, la natura musicale della psicoterapia, Alpes, Roma.
[4] bernardobertolucci.org
[5] Gregoratto F., La rivoluzione incomincia in camera da letto? Il “discorso sulla famiglia” nella trilogia di Bernardo Bertolucci, academia.edu.