“Da soli il nostro compagno
di viaggio è il fantasma
che ci cammina accanto”
(Luca Buonaguidi).
Luca Buonaguidi1 (1987, Pistoia) è uno psicologo clinico, specializzando in Psicoterapia Umanistica-Bioenergetica, socio della Federazione Italiana Psicologi dello Sport e membro del comitato scientifico della redazione della rivista Poetry Therapy Italia. È anche uno scrittore, che ha frequentato a lungo l’Asia e ha scritto libri di viaggio come Uno studio sul niente – Viaggio in Giappone (Italic Pequod, 2018), di cui ci occuperemo in questo articolo, e vari libri di musica, fotografia e poesia.
Ha pubblicato da poco il manuale Poesia e psiche2, nel quale espone che “il giorno in cui poeti, filosofi, psicologi, scienziati, medici, artisti troveranno un terreno di incontro e parleranno una lingua comune è sempre più vicino, e questo libro compie un passo significativo avvicinando la poesia alla scienza, l’intuito all’analisi, l’ispirazione alla terapia”…“sappiamo che gli psicologi tentano di comprendere l’esperienza di vita degli uomini da quel fatidico momento in cui Freud risolse un problema clinico con i versi di un poema classico. Ciò che continuiamo a non sapere è l’enigma della poesia tra terapia e follia, da dove viene l’ispirazione poetica e come la psicologia può riconoscerla. La risposta è la poesia come altra scienza del Sé e cura dell’Altro3”.
Luca Buonaguidi sviluppa anche uno studio sul niente, ovvero su ciò che è invisibile, impalpabile, e che si può avvicinare al tema dell’implicito in psicoterapia.
Il libro Uno studio sul niente – viaggio in Giappone è “un taccuino di viaggio corredato con fotografie itineranti e citazioni di scrittori, fumettisti, filosofi, monaci e viaggiatori” e poesie di Luca Buonaguidi, che vengono in parte riportate nell’articolo, come stimoli e suggestioni che aprono molte riflessioni.
“Il risultato è questo studio sul niente espresso in 21 cartoline geopoetiche, devote alla tradizione giapponese di accompagnare parole a immagini”… “Il libro è irrorato di un sentire noto con il nome di wabi sabi, una parola intraducibile e che anima la concezione estetica giapponese, fondata sull’accettazione dell’impermanenza e dell’imperfezione delle cose, oltre che della loro ininterrotta relazione col soggetto che le osserva” e “questo sentire si rivela per esempio nel gusto delle poesie haiku e declina l’atto stesso del viaggiare in Giappone come un “essere vivo e morto/ insieme”, cioè essere se stessi e contemporaneamente assorbiti nel tutto, oltre i propri confini4.
“A Kyoto c’è un tempio
con 34 colonne e 33 spazi vuoti
che si chiama “trentatré”.
Da questa e altre storie
deduco la differenza
che c’è tra lo zen e me
fino a che non studierò
il niente in sé e per sé”.
Possiamo domandarci “che cosa rende terapeutica una psicoterapia? È la dicibilità del disagio in uno spazio relazionale? Oppure, come le nuove scoperte scientifiche e il pensiero filosofico attuale ci portano a pensare, a determinare la cura sono fattori “impliciti?5”. “La conoscenza esplicita è consapevole e viene rappresentata simbolicamente in forma di immagine o in forma verbale; l’evento terapeutico che riorganizza la conoscenza esplicita del paziente e dell’analista, nel contesto della relazione transferale e controtransferale, è l’interpretazione. La conoscenza implicita è invece inconsapevole ed opera al di fuori del dominio verbale; l’evento terapeutico che riorganizza la conoscenza implicita del paziente e dell’analista è il momento di incontro. Questo processo, a livello esplicito e implicito, nel corso del tempo accresce la capacità riflessiva che mette in grado il paziente di acquisire nuovi modelli”…“In questo modo i cambiamenti che compongono la danza tra i sistemi implicito ed esplicito forniscono una chiave di fondamentale importanza per la comprensione e la facilitazione del processo psicoanalitico”6. “Quantomeno interessante sarebbe, alla luce di ciò, ripensare concetti quale quelli di Transfert e Controtransfert. Pertanto, il cuore pulsante della psicoterapia sarebbero proprio Forme Vitali in interazione” (M. Verdesca).
Daniel Stern ha introdotto il concetto di Forma Vitale “a significare l’espressione del nostro senso di vitalità” (A. Risoli) “si potrebbe immaginare come esse fungano da sesto senso in grado di rilevare e definire quelle tipologie di profili dinamici, che hanno a che fare con lo stile di una persona, col modo in cui si muove, col ritmo e col volume con cui parla”…“Per chiarire meglio il mondo invisibile delle forme vitali nel mondo interpersonale del bambino, Stern sottolinea e ribadisce come tali notazioni sono letteralmente necessarie al musicista al fine di cogliere ed eseguire correttamente l’espressività e l’anima di una composizione. Ciò si complica ancora di più nel teatro e nel cinema ove più linguaggi sono soliti incrociarsi in maniera cross-modale, esclusivamente secondo coordinazioni funzionali, sincroniche… Sono dunque più proprietà, queste, che concorrono a risolversi in una totalità Gestaltica. Proprietà che concernono con le modalità che utilizziamo nel quotidiano per relazionarci con gli altri, in gergo: conoscenza relazione implicita (Lyons-Ruth, 2007)”…“ho sempre pensato che l’arte e la poesia siano parte della nostra visione periferica, così radicata in noi, così tanto sotto il nostro naso, da non essere vista, da sembrarci affascinante e mai del tutto afferrabile o comprensibile secondo le consuete norme del razionale7”.
“Secondo lo psicoanalista Franco Lolli (2006) l’inconscio e la poesia hanno in comune il mettere in crisi il funzionamento dell’Io a livello individuale e sociale perché ne contestano la logica, mirando un sapere che possa dire qualcosa di ciò che sfugge all’ordine simbolico8”.
Nan-in, un maestro giapponese dell’èra Meiji (1868-1912), ricevette la visita di un professore
universitario che era andato da lui per interrogarlo sullo Zen. Nan-in servì il tè. Colmò la tazza del suo ospite, e poi continuò a versare. Il professore guardò traboccare il tè, poi non riuscì più a contenersi. «È ricolma. Non ce n’entra più!».
«Come questa tazza» disse Nan-in «tu sei ricolmo delle tue opinioni e congetture. Come posso spiegarti lo Zen, se prima non vuoti la tua tazza?»
Mujū Ichien
La carpa vuota
la sua tazza da the.
Sosta sotto
una cascata
libera da
ogni sostegno,
non farnetica
dentro il sentiero.
Giace.
Come le cose.
In silenzio.
Nezu-jinja, Tokyo
Nella storia Zen il maestro paragona la mente del professore alla tazza, così piena di cose che è inutile mettersi a lavorare perché non c’è posto per altro, andrebbe tutto di fuori. Solo dove c’è confusione e spazio mentale possono nascere nuovi pensieri.
Nella domanda di formazione dell’allievo è insita una richiesta di evoluzione (Becchis E. 2006, in Ugazio et al. 2006), che implica la necessità di “svuotare la propria tazza”. L’integrazione tra apprendimento e cambiamento collega il sapere con l’esperire, come afferma Whitaker: “niente che valga la pena di essere appreso può essere insegnato, deve essere esperito”.
Ruggiero9 (2023) propone di adottare una prospettiva estetica, orientata a “curare” la forma oltre che il contenuto e anche il senso del suono oltre al significato della parola e, come terapeuti, di sviluppare la natura poetica e musicale della mente.
Per lo psicoanalista francese Lacan “in ogni forma di sublimazione il vuoto sarà determinativo: ogni arte si caratterizza per una certa modalità di organizzazione intorno a questo vuoto” (in Lolli, 2006, in Buonaguidi, 2023), che ci avvicina all’Altro come diverso da Sé e all’interpretazione personale della poesia, che “per essere cantata deve essere sottratta: occorre la sua privazione, la sua mancanza, deve mancare” (Buonaguidi, 2023). “Più il soggetto nomina e introduce la presenza più egli scava l’assenza” (Tarizzo 1998, in Buonaguidi, 2023), per la quale “la poesia sarebbe quindi un’operazione significante sui limiti del sapere, sulla mancanza dell’altro” e “sul centro del linguaggio esterno al linguaggio stesso”10.
In poesia, dunque, più si evoca il non detto e più si dà valore al significato del testo e la cura delle parole che vengono scelte riguarda anche la dimensione terapeutica. Non soggiace alla poesia una spiegazione, altrimenti sarebbe prosa, ma, come la terapia, può essere utilizzata come strumento per una rielaborazione psicologica.
Per Lacan “la psicoanalisi è contemporaneamente un’esperienza terapeutica e un’esperienza poetica, il rapporto fra le due si rivelerebbe proprio nel funzionamento stesso della struttura inconscia” (Di caccia, in Lolli, 2006, in Buonaguidi, 2023) e, dunque, invisibile.
Riportando questi concetti alle dinamiche di coppia, Lacan afferma che “amare è donare ciò che non si ha”, questo significa imparare a donare l’assenza, che attiva la mancanza e il desiderio di rivedere la persona amata. L’asse desiderio/assenza (che mette in moto il desiderio) è dunque fondamentale nelle relazioni. Per fare questo, nella vita quotidiana, è necessario vedere l’altro come unico e diverso da sé, non proiettare vecchi schemi o aspettative, pretese o paure. Trasformare lo scambio commerciale, che implica una relazione di possesso, con quello di dono, significa donare sé (e la propria mancanza) senza rivendicazioni: poter essere per l’altro l’oggetto che causa la sua mancanza e il desiderio, senza opinioni e congetture, svuotando la propria tazza. “Donare la mancanza, nell’amore, significa far sentire che la presenza dell’altro è ciò che scava in me la sua mancanza”11. Come scrive Erri De Luca “quando ti viene nostalgia, non è mancanza, è presenza, è una visita”12.
Questo processo evolutivo può avvenire nella coppia, in un’ottica sistemica relazionale, e anche nei confronti di se stesso:
Cammino in strade a tre piani
tra forme future nel ritmo
muto di luci epilettiche,
c’è una certa cura, un’idea
nell’orgia metallica
mi sento bene, mi sento male, 6
non capisco cosa siano
il bene e il male
dentro la pancia
del mostro morale e lucente.
E tutto un guardare d’essere
in essere boccheggiare
in un’armonia contrita e liscia,
tra pesci rossi che gonfiano
le branchie nei riflessi vitrei
dei bordi, il vuoto pneumatico
agita appena questo sogno
di luce artificiale.
Nuoto in questo acquario,
sono piccolo e lontano.
Roppongi, Tokyo
Il poeta “piccolo e lontano” sa che “c’è un niente che tutte le sere appare e scompare”:
Prima di studiare lo zen, gli uomini sono uomini e le montagne montagne. Mentre studi lo zen le cose tendono a confondersi. Dopo aver studiato lo zen, gli uomini sono uomini e le montagne montagne. Dopo questa affermazione, il Dottor Suzuki si sentì domandare: “Che differenze c’è tra il prima e il dopo?” e rispose: “Nessuna differenza, a parte che i piedi sono un filino staccati da terra”.
Silenzio, John Cage
Il cartello invita
a sedere immobili
e in silenzio:
qui si insegna
la trascendenza
nell’immanenza
ma sono arrivato tardi
e il guardiano mi invita
a uscire dal tempio.
Per strada
il mondo e già scritto
e gioca a guardarmi fisso:
qualche luce,
serrande abbassate,
sembra una sera come altre
ma da qualche parte c’è
un niente che tutte le sere
appare e scompare.
Shimamoto, Tokyo
Il processo di assenza dà valore alla presenza, attraverso un gioco tra pieno e vuoto, che riguarda sia le relazioni che gli elementi della natura, anche se “non c’è figura né sfondo”:
Egli cercò di farsi strada verso quella voce
quasi folle… Barcollò per ritrovare il suo
equilibrio, il capo riverso, e la Via Lattea si
precipitò dentro di lui con un ruggito.
Il paese delle nevi, Yasunari Kawabata
Cado insieme alla neve
nessun pensiero nella mente,
la sedia e larga a sufficienza.
Dentro case costruite
con le mani giunte in preghiera1
guardo fuori dalla finestra…
…Seguo una figura
sullo sfondo anche se
non c’è figura né sfondo.
Un nulla scheletrico viene
con la notte a dividere
questa valle dal mondo.
Gassho-zukuri, Shirakawa-gō
L’essere umano può sostare come la carpa, contro la corrente, nel ciclo continuo di vita e morte, per essere vivo e morto insieme… in raccoglimento e in contatto col cosmo:
“Maestro, spesso mi interrogo intorno al senso della vita e soffro perché non trovo una risposta”.
“Quel fiore è appassito, ma lui non sa perché. Impara anche tu a fiorire e ad appassire senza perché”, rispose il Maestro.
La domanda di Masao, Roberto Carifi
Il bosco ricorda
la tua impermanenza.
Sei una cosa
che accade
al pari di un fiore,
hai la tua stagione
migliore e un tempo
per diventare concime.
Respiri sempre entrambi
i momenti dormienti.
Li unisce il risveglio
nel cosmo che veglia
i passi che muovi
verso l’Intero.
“Invece di restringere il tuo mondo, di semplificare la tua anima, dovrai accogliere più mondo e infine il mondo intero nella tua anima dolorosamente ampliata per poter giungere forse un giorno alla fine, al riposo”…“Il ritorno al tutto significa aver allargato talmente la propria anima da poter riabbracciare l’universo” (H. Hesse, 1946).
Volgersi verso l’Interno, ricercando la propria identità, ed essere al tempo stesso assimilati nel tutto13, è possibile considerando l’uomo inserito nell’ambiente, come concime di se stesso, in una continua trasformazione.
“Nel processo Creativo, il vuoto è condizione necessaria e fondante affinché esso si possa avviare nel modo più autentico possibile14”. Questo processo implica l’ascolto (di sé e dell’Altro-inteso come ciò che è diverso da sé) e il silenzio, proprio come avviene nelle stanze di terapia, quando l’ora della seduta porta una tregua dalla realtà che continua a scorrere (correre) fuori, per ricreare al suo interno un piccolo mondo relazionale. Il silenzio rappresenta una modalità di riflessione e di congiunzione, ci connette gli uni agli altri:
“Un impero invisibile di silenzio
Dove tutti possiamo parlare lo stesso idioma
Al di là dei colori e delle lingue
Gli occhi, l’anima della persona”15.
Attraverso il contatto con se stessi, tutto evolve e si rarefà:
“Voglio imparare a rispettare gli zombie,
ad agitare un cero al Buddha del mattino,
a stare immobile ma mai fermo
e anche tutto il giorno dentro una stanza
e dentro una stanza dentro me stesso,
solo, ma non solo e basta,
solo-solo, solo senza me stesso”16
e si può svanire e rinascere:
“Voglio dedicare
la prossima vita
a sparire, al vento
e a farmi vuoto
dentro il tempo”.
“I versi di Buonaguidi svelano che il segreto, in questi casi, è togliere, ridurre all’essenziale, che solo la poesia può raccontare certi frammenti di esperienza. L’invisibile17”. L’autore accompagna il lettore in un viaggio psicologico all’interno e all’esterno di se stesso, ci catapulta in un regno parallelo alla frenesia quotidiana dell’attualità, fatto di un ritmo nuovo, intimo, in cui si può sostare, e da assaporare Piano Piano18:
“Piano Piano Siamo usciti dalle correnti
Si vive ritirati in se stessi
Piano Piano Si piange dentro una mano
Dentro il proprio incavo
Piano Piano Si ride nel pugno
Dietro il cancello dei denti
Non si è più stanchi
Non si è più toccati”
…
“Da dove chiami
mio amore?
E dove sei?
Da dove proviene
il tuo muto richiamo?”
(Antonio Bertoli, Piano Piano).
1 Luca Buonaguidi ha curato il primo libro scritto in Italia dai pazienti di una comunità terapeutica per dipendenze patologiche, L’isola che c’è – Un laboratorio autobiografico in comunità (SassiScritti, 2019), con Francesca Gori.
Ha curato il progetto di scrittura autobiografica collettiva www.ambulancesongs.com.
Attualmente fa parte dello staff di Guidani per il progetto Freedom, una mostra e un libro fotografico sulle subculture contemporanee, di cui è autore di tutti i testi. Il suo blog è www.lucabuonaguidi.com
2 Buonaguidi L. (2023) Poesia e psiche. Dall’ispirazione poetica alla terapia della poesia, Edizioni Mille Gru, Monza.
3 Buonaguidi L. (2023) Poesia e psiche. Dall’ispirazione poetica alla terapia della poesia, Edizioni Mille Gru, Monza.
4 De Martino, Fromm, Suzuki, (1789) Psicoanalisi e buddhismo Zen, Astrolabio, Milano.
5 Atti del secondo congresso della psicoterapia italiana A cura di Margherita Spagnuolo Lobb.
6 Conoscenza relazionale implicita/esplicita. Relazione terapeutica implicita/esplicita. Processo di cambiamento I.PP.
7 Verdesca M, Stateofminde.it.
8 Buonaguidi L. (2023) Poesia e psiche. Dall’ispirazione poetica alla terapia della poesia, Edizioni Mille Gru, Monza
9 Ruggiero G., (2023) Prove d’orchestra, la natura musicale della psicoterapia, Alpes, Roma.
10 Buonaguidi L. (2023) Poesia e psiche. Dall’ispirazione poetica alla terapia della poesia, Edizioni Mille Gru, Monza
11 Recalcati M., Lessico amoroso, Dio come ti amo.
12 De Luca E., Montediddio.
13 De Martino, Fromm, Suzuki (1978) Psicoanalisi e buddhismo Zen, Astrolabio, Milano.
14 Dipendiamo.blog
15 Barbato F., Nelll’oscurità del mio petto. Nel prossimo articolo saranno sviluppate le tematiche della sua poesia.
16 Il verso finale e una citazione di Antonio Delfini.
17 Colgan P, Una lanterna nel buio.
18 Bertoli A, (2015) Astri e Disastri.