“Dietro ogni poesia c’è sempre
– sia pure invisibile –
l’autore, la sua natura, il suo essere,
la sua situazione interiore”
(G. Benn).
Natalia Rita Pellegrini si è laureata in Filosofia e Scienze e Tecniche Psicologiche (Laurea triennale) e Psicologia clinica (Laurea Magistrale) e sta frequentando la Scuola di specializzazione in Psicoterapia sistemico-familiare, a Firenze.
Quando scriveva la tesina di maturità, al liceo psico-pedagogico, decise di intitolarla: Quanta inquietudine negli uomini! … impara ad essere felice e la premessa recitava così: “Mi sono avvicinata al tema dell’inquietudine e di conseguenza a quello della ‘tanto ricercata’ felicità, quando mi sono accorta di aver iniziato un processo di appropriazione di me stessa. Credo ci sia un momento, nella vita di tutti, in cui ti accorgi che è come se non avessi mai saputo di avere problemi alla vista e poi, quando provi un paio di occhiali, ti rendi conto di vedere tutto più nitido”.
Da quel momento ha sempre sentito il bisogno di dar forma alle sue emozioni, di prenderle e fermarle per poterle rivivere continuamente.
L’autrice ci propone dei componimenti poetici per immortalarli e farli viaggiare allo stesso tempo. Ha scelto il titolo Crepe (in prossima pubblicazione) perché è proprio attraverso le spaccature che ha fatto entrare il mondo dentro di sé e tramite queste guarda il mondo.
“Arriverà quella persona
che riuscirà ad infilarsi così bene
tra le crepe che hai addosso,
che non ti accorgerai nemmeno
del fatto che ti è entrata dentro”
(Natalia Rita Pellegrini, Crepe)
L’autrice narra la sua evoluzione personale e psicologica nelle poesie ed il superamento di ostacoli e paure, proprio come se la stesura dei testi – una sorta di diario poetico – corrispondesse a un processo terapeutico relazionale.
La poesia è un veicolo per la scoperta di sé (Berger, 1973), e fondamentale “non è quanto la poesia possa essere usata in una terapia formale, ma piuttosto che la poesia è terapia e si tratta di una parte integrante del normale sviluppo” (Harrower, 1972).
“La poetry therapy si basa sulla premessa che la scrittura poetica abbia proprietà curative (Campbell, 2007) e la Pellegrini ci fa viaggiare nel suo vissuto interiore.
“I fautori della disciplina sostengono infatti che la scrittura di poesia consenta alle persone di esprimere le emozioni, convalidare e sentimenti, definire le idee, contestualizzare le esperienze, vagliare ipotesi, imparare indirettamente, in contatto con gli altri, diventare più consapevoli delle scelte personali” (Hynes & Hynes-Berry, 1994, in Buonaguidi, 2023).
A volte ci sentiamo instabili, pieni di crepe, in procinto di romperci: la fragilità è una condizione comune dell’essere umano. Alcune relazioni allargano le crepe, cioè fanno leva su di esse fino a formare delle voragini; sono legami disfunzionali che minano la stabilità:
“a persone come noi è facile far credere
che l’errore sia dentro di noi
Che l’errore siamo noi
Ma non è così[1]”.
La ricerca di un equilibrio tra conflittualità interne è un elemento fondamentale per la poetessa, insieme alla conquista della fiducia in se stessi e negli altri.
Sono indagini faticose, con ostacoli gravitazionali, ma questo rende le rende ancor più rilevanti:
“Non appena entra nel mio campo gravitazionale
tutto perde equilibrio
Le cose intorno a me
cominciano a galleggiare
ad allontanarsi da me
E io sono lì, che cerco di afferrarle
Affannosamente
Finché non mi fermo inerme a pensare[2]”
E ancora:
“Mi sono sempre sentita
un insieme disordinato
di schegge metalliche
Mi sono sempre fatta male
quando ho cercato di riordinarle
Tu come fossi un magnete
arrivi e mi rimetti in ordine[3]”.
Il processo di scrittura e terapia di Natalia Rita Pellegrini si muove sull’asse stabilità/caos, ordine/disordine e possiamo considerarlo nell’ambito della Poetry Therapy. “La poetry therapy è la più autorevole depositaria della visione della poesia come strumento terapeutico per la cura della persona”… “nasce e si sviluppa ufficialmente solo nel XX secolo, ma la sua storia affonda nell’Egitto del 4000 a.C., quando medici e sacerdoti non solo raccomandano la lettura dei canti poetici per guarire gli invasati, ma per un effetto più rapido imbevono i papiri con una soluzione che permetta di ingerirli (Rojcewicz, 1999). Quattromila anni dopo, nel I secolo d.C., ad Efeso, Alessandria e Roma il medico Sorano tratta i disturbi mentali facendo recitare versi poetici ai suoi pazienti: tragedie per i pazienti maniacali, commedie per i depressi (Spencer, 2009). Dopo neanche duemila anni, nel 1981, negli Stati Uniti nasce la NAPT, National Association of Poetry Therapy[4]” (Buonaguidi, 2020).
“La storia e lo sviluppo della poetry therapy sono stati, in larga parte, internazionali e interdisciplinari, con una base pratica, teorica e di ricerca molto solida”…
“Con il sopraggiungere del XX secolo, il pioniere della psicologia moderna, Sigmund Freud, dette il suo contributo anche alla riabilitazione della poesia all’interno del campo delle scienze impiegate nel trattamento della salute mentale. Infatti, attribuendo la scoperta dell’inconscio e poeti, Freud collego l’idea medica moderna alle intuizioni psicologiche del passato[5]” (Buonaguidi, 2023).
I testi poetici della Pellegrini esprimono l’ottica sistemico-relazionale e si calano all’interno dei legami familiari:
LE MIE MANI PICCOLE
Vorrei essere ancora in balia di voi
e ricordare i momenti
con quella sfocatura che hanno ora
le serate della mia età
Vorrei rivolgermi al mondo
come se sotto di lui
ci fosse un enorme cuscino
fatto a forma delle vostre pance
Come quando la sera, era di rito
addormentarsi sulla tua, papà
Vorrei avere il panino con la mortadella
sempre nella mia borsa.
E mangiarlo pensando a quanto è buona,
la mamma
Vorrei poter correre da lei
ogni volta
che ho le lacrime agli occhi,
senza riserve,
come facevo da bambina
Vorrei avere le mie mani piccole
sempre nelle vostre,
enormi per me.
La scrittrice torna indietro verso l’infanzia e, nel suo percorso di ricerca, fa delle tappe per ritrovare le energie: si concede una pausa necessaria per un recupero emotivo, accompagnata da un buon vino.
POLVERE MAGICA
Mi lasci addosso polvere magica
sento il corpo che brilla
Gli occhi febbricitanti
Le labbra gonfie, rosa intenso
Le guance distese
Per i sorrisi
Il petto caldo
Le mani vuote
La sensazione di aver mangiato il piatto
Più buono della giornata
La voglia di bere
Il vino più rosso che c’è.
La sosta diventa un momento di tregua, a cui auspicare nelle difficoltà per uscire dal Labirinto:
“Mi sono persa nella mia mente
non sto trovando nemmeno una piazzola di sosta
Non voglio essere nemmeno così audace
da aspirare all’uscita,
una piazzola di sosta
Cerco
il contatto in grado di riempirmi i polmoni”
Come fare per uscire da se stessi, quando il labirinto è dentro di noi? Come attuare il Risveglio?
RISVEGLIO
Faccia a terra
Braccia legate, respiro affannato e
Ringhio animalesco
Sento come se il mio istinto venisse
Bloccato, deviato
Sedato
Mi alzo,
allontano tutti
Comincio a correre senza fermarmi
Perché fermarsi?
Altre volte invece,
sento la pace
Come se dentro di me
Tutti i fili seguissero una sola direzione
Attaccati all’inizio della testa
Annodati sul pollicione
Di ogni piede
Fermi,
decisi
Perché ribellarsi?
Penso di essere diventata
Me stessa ma, sento che
è soltanto l’inizio
di innumerevoli cambiamenti
Da che parte sceglierò
Di cadere?
Mi è permesso scegliere?
La conflittualità tra paralisi emotiva, movimento e pace interiore si dipana attraverso degli interrogativi e delle riflessioni dell’autrice, che non si ferma e va alla ricerca della propria identità e indaga le relazioni:
“Perché le cose dovrebbero cambiare
proprio ora?
Da anni ti penso
almeno una volta al giorno
Come fosse un rituale, del tipo
anche oggi
ho bevuto un litro e mezzo dei tuoi occhi[1]”.
L’autrice conosce attraverso i sensi: il gusto diviene la metafora di un nutrimento interiore, il tatto è necessario per sperimentare i confini dei corpi, tastando le crepe, cioè le ferite da rimarginare, da far germogliare e da cui fare entrare il sole.
La vista permette di assorbire i paesaggi scoperti qua e là, le diverse culture e nuovi aspetti del sé e si ascolta il battito accelerato del cuore “con le guance rosse e il petto bollente”:
MARMELLATA DI FICHI
Vorrei fare l’amore in un frutteto
Poco prima di cena, per fare tardi.
Con il signore del frutteto
Con le mani rovinate e ruvide
I capelli polverosi
Con il rosso del sole
che si intravede tra gli alberi
Con il caldo delle sere
di fine agosto
Su un telo da raccolta
e tornare con l’erba tra i capelli
e l’aria stanca,
con le guance rosse
e il petto bollente.
Nei versi “il cuore sale in viso[1]” e, tramite la figura retorica della sinestesia, scorrono ardore e tachicardie:
“Mi sono appoggiata
su di qualche petto
nel corso della vita
Alcuni hanno un suono sordo
Sporco
Alcuni sembrano intimoriti
dall’importante incarico loro affidato
e vanno veloci, disordinati.
Altri vanno davvero lenti
come se pensassero che, alla fine
c’è sempre tempo
per battere di nuovo
Stanchi, svogliati
Ma il tuo,
sa quello che fa[2]”
La descrizione dei legami privilegia le emozioni, che rendono gli Occhi liquidi:
“Ci sono delle combinazioni casuali
Che portano a incastri perfetti
I vicoli di notte
con l’aria della primavera,
il freddo che si scongela
La pelle liscia, segnata dai graffi
le lenzuola sconnesse”.
L’autrice, inoltre, conduce il lettore intorno agli elementi della natura.
Il mare rappresenta la perdita di controllo, qualcosa che impaurisce e attrae, perché, all’improvviso, solleva e atterra. Se ci abbandoniamo all’acqua, si può entrare gradualmente, sperimentare il fondo ed essere sostenuti:
“Sei totalmente immerso
in qualcosa che credi di poter controllare e
invece non controlli affatto
Ti spinge avanti e indietro quando e come vuole
svuota e riempie la riva in continuazione
Il battito accelera
per lo sforzo di tenersi a galla forse
O forse per l’emozione
Ho paura del mare[3]”.
La poetessa spazia dal mare al deserto:
“Il tuo corpo ha le stesse dune
e lo stesso colore
Là io mi sento minuscola
e immensa
E c’è un silenzio che
ti prende e ti scuote[4]”.
L’acqua si accompagna al fuoco, a Un fuoco come un’onda, che raffigura ciò che anima emotivamente, la vitalità, ma va saputo gestire:
“Ho sempre vissuto di fuochi anomali
Fuochi che non scaldano
ma lasciano ustioni
Quando brucia così tanto
che sembra congelarti
O quando è così freddo
che sembra bruciare”.
Natalia Rita Pellegrini racconta i suoi mutamenti interni e gli spostamenti esterni, ciò che vede all’esterno o che sa immaginare:
COSTIERA IN MUTANDE
Mi sarebbe piaciuto svegliarmi
‘sta mattina
in una casetta sulla costiera amalfitana
con la pelle ancora bianca,
che l’estate è appena iniziata
L’odore dei pini di mare che mi pizzica il naso
la sabbia fitta e ruvida sotto i piedi
il mare calmo ma sempre un po’ stronzo
la fame che saziata
si sposa magnificamente
col sole che ti ha fatto tiepida
la pelle.
L’immaginazione è un elemento essenziale per “usare la poesia per permettere alla persona di identificare dei fatti ed esprimere il sentimento che si associa ad essi, favorire la trasformazione della percezione e dell’emozione connessa a questi contenuti attraverso l’arte poetica e indagare gli aspetti creativi della propria psiche” (Lerner, 1997). Il processo di scrittura e di terapia, inoltre, procede in parallelo a un percorso di formazione professionale, che confluisce nella mente poetica dell’autrice:
MOQUETTE
In un ufficio con le vetrate grandi
e la moquette per terra
color tortora
con nessuno dentro
Il lavoro di qualcun altro
Lì, da sola
Con tutti i problemi degli altri
Appoggiati sul tavolo
e rimandati al giorno dopo
I tavoli da riunione, ovali e lunghi
Scalza.
Il lettore si muove in campi gravitazionali, con fibrillazioni emotive e inquietudini tra passato e futuro, che la poetessa affronta per superare blocchi o ossessioni:
“Vorrei togliermi l’armatura e
cadere in ginocchio alla preghiera[5]”
…
“Però io nell’aldilà non ci credo
e lassù non ci voglio andare,
voglio stare qua
A guardare[6]”.
Cosa ci sta suggerendo l’autrice? Ci comunica che arriva il momento di lasciare andare il controllo, affidarsi alle onde del mare, alle dune di deserto, senza armatura, cioè senza meccanismi di difesa, e stare semplicemente a guardare ciò che accade, quello che la vita presenta.
Natalia Rita Pellegrini ci propone dei testi da gustare come un piatto saporito, che scorre come vino e coglie il gusto degli altri[7], sullo sfondo di una “Firenze silenziosa, nasconde tra le mura risposte[8]”.
I versi si collocano nella cornice più ampia della ricerca psicologica e della fragilità umana e l’autrice evidenzia le crepe interiori nate dal contatto con l’altro e che l’altro può lenire. In questo contesto, dunque, la poesia assume un importante valore terapeutico, utilizzato per rielaborare la propria storia familiare e relazionale.
[1] Natalia Rita Pellerini, Proibita.
[2] Natalia Rita Pellerini, Un cuore bello.
[3] Natalia Rita Pellerini, Mare.
[4] Natalia Rita Pellerini, Una cosa preziosa.
[5] Natalia Rita Pellerini, Utopia.
[6] Natalia Rita Pellerini, Tra semidei.
[7] Il gusto degli altri, (2000), Film di Jaoui, Francia.
[8] Natalia Rita Pellegrini, Proibita.
[1] Natalia Rita Pellerini, Orologi di legno rotti.
[1] Natalia Rita Pellerini, Crepe.
[2] Natalia Rita Pellerini, Campo gravitazionale.
[3] Natalia Rita Pellerini, Una cosa preziosa.
[4] Buonaguidi L., Introduzione alla Poetry Therapy, Numero 000, 01 febbraio 2020.
[5] Buonaguidi L., (2023), Poesia e psiche. Dall’ispirazione poetica alla terapia della poesia, Ed. Mille Gru.