“Agito scalmanato un mazzetto di poesie
come fossero 20 anni di bollette arretrate
pagate di corsa
in una volta sola
Non puoi venirmi a dire adesso
che tu non sei
Casa”
(E. Ingrosso, Casa)
Emanuele Ingrosso nasce a Milano (1995) e partecipa al primo Poetry Slam nel 2016; da allora gira l’Italia con i propri testi, all’interno dei Poetry Slam LIPS.
Ingrosso ha partecipato alla coppa del mondo di Poetry Slam (2020), che, prevista a Parigi, si è svolta per la prima volta nelle camere di tutto il mondo.
Ha debuttato con degli spettacoli di Stand-up poetry: Da piccolo odiavo i bambini (2018), con il quale ha vinto il concorso nazionale MArteLive, nella sezione Teatro, e Il titolo te lo dico se vieni all’Arci Bellezza di Milano (2021).
L’autore conduce anche laboratori di scrittura creativa, nelle scuole elementari.
La poesia di Ingrosso è scritta per essere interpretata e alcuni testi sono nati da degli esercizi di scrittura creativa, pescando una parola a caso che diviene il titolo del testo (come Tombino e Topinambur).
L’autore rappresenta degli spaccati particolari sull’esistenza, descrive i legami familiari e si avvicina all’ottica sistemico-relazionale. Il poeta fa riflettere su cosa vuol dire diventare adulti o smarrire “la bussola dell’evoluzione”.
Partiamo dal passato, dalla periferia e conosciamo
L’ENNIO
Da piccolo vivevo sereno
Nel mio paesino
In periferia
Nel mio paesino c’era
L’essenziale
Una drogheria
Una farmacia
Un’edicola
Il bar dove si giocava a Ramino
E due chiese
dove si confessavano
Le sconfitte a Ramino
A me
Bambino
Non era dato di capire
A loro
Adulti
Non era dato di spiegare
[…]Tutti conoscevano l’Ennio
L’Ennio aveva sempre il sorriso in volto
E una buona parola per tutti
Quando lo incontravo
Mi regalava sempre
Due Zigulì
Non quella alla fragola
Che fanno schifo
Quelle all’arancia
Poteva regalarmene una
Ma me ne dava sempre due
Perché era l’Ennio
Non gli si chiedeva nemmeno
“Come stai?”
È l’Ennio, come vuoi che stia?
[…]Non sapevamo neanche il suo cognome
Ma non ce n’era bisogno
Tanto ormai era l’Ennio
E lo sarebbe restato per sempre
Per questo nel paesino
In periferia
Ci facemmo dire due volte
Dall’edicolante
Che l’Ennio non c’era più
Mai più
Zigulì
[…]Perché da quelle parti
L’impiccato
È solo un gioco
Scarabocchiato sulla lavagna
Quando la maestra non c’è
Tu, bambino
Continua a indovinare le parole che scelgo io
Un dizionario con le blasfemie strappate a morsi
Questo siamo noi
Adulti di periferia
Fatti i denti per quando regredirai a
Uomo
Io, dall’alto della mia bassa statura
Me ne stavo zitto
Quasi per dispetto
Nel paesino in periferia
Si era smarrita la bussola dell’evoluzione
Si vendeva morte come fosse estinzione
E un piccolo adulto in fioritura
Cominciava a capire
Quello che voi
Bambini decrepiti
Non avete mai saputo spiegare.
I confini rigidi intergenerazionali ostacolano la comunicazione affettiva, che caratterizza i processi evolutivi: “ed è ciò che fa la differenza sostanziale nello sviluppo del bambino; la capacità di comunicare partecipando emotivamente ci dà degli elementi di riferimento fondamentale sia in ambito clinico che in ambito educativo e preventivo. Certamente riconosce e focalizza l’intrinseca natura relazionale dell’essere umano, sin dalle sue fasi iniziali dello sviluppo. Da un certo punto di vista, si pone come paradigma per una sfida culturale anche nelle relazioni tra adulti” (D. Toneguzzi, 2019).
L’autore, in maniera disillusa, pone delle domande su come fare a crescere, a proteggersi dal dolore e trovare dei giusti confini. E ci fa mettere incredibilmente nei panni di un TOMBINO
E invece quelle tre parole sono lì, sul mio quaderno
Sottolineate tre volte
Proprio sotto il titolo, accolto con una buona dose di ironia da tutta la classe
Quando tu, maestra
Ridendo sotto i baffi mi hai invitato a spiegare perché
tra l’ampia gamma di scelte
Io abbia sostenuto con forza la tesi secondo cui
Da grande
Sarei voluto diventare
Tombino.
Mi sto già allenando nel bagno di casa mia
Nonostante le continue interruzioni di mia madre
Che mettendosi di traverso tra me e il mio sogno
Ogni volta che mi becca supino nel box doccia a boccheggiare
Chiama il 118.
[…]Ne dovrò mangiare di acquazzoni e chewing gum consumati
Prima di candidarmi
Per la posizione tanto bramata quanto proibita
Di tombino primo livello
in Via Dante, dietro casa mia.
[…]Inghiottire piogge
Vedere la città srotolarsi sulla mia nuca
Mentre mio nonno, orgoglioso
mi racconta di quando
Il 28 aprile 1945
Gli imbottirono la bocca
Di tessere dal sicuro sapore littorio
[…]Io, vestito di cartacce, prendo la prima ruggine della stagione come un complimento
e mi riposo
guardando il mio letto di catrame rassettato
Lì, a due passi dai miei occhi rossi
S’incontrano due sguardi dolci
Che non mi hanno mai abitato
Si scambiano un sorriso a pelle distesa che sembra dire
abbiamo proprio fatto bene
A dirci ‘non ancora’
Adagiano sulla guancia dell’altro il proprio lieto fine senza bisogno di premere
Per poi prendere le due direzioni opposte
Del marciapiede
Di un incrocio che oggi
Non ha avuto bisogno
Di un mazzo di fiori
Ridono
Trovando stupido
L’impulso di
Ringraziare per quel mattino così limpido
Un tombino arrugginito.
Possiamo immaginare che essere metaforicamente un tombino renda consistenti, completi nel mondo, e dia una prospettiva diversa da cui guardare le relazioni.
Lo scrittore immagina la vita dei suoi genitori senza di lui e un loro incontro assisto da fuori, come parte della strada che li sta ospitando.
Un tombino sta all’aperto a
“inghiottire piogge
Vedere la città srotolarsi sulla mia nuca”
e il poeta conduce il lettore in mezzo all’acquazzone, si sente l’acqua sulla pelle, la ruggine. Si percepisce l’esterno addosso, come un
NAUFRAGO IN UN MONOLOCALE
“Andrò a fare una nuotata
Nel box doccia
Sperando non mi azzanni
Qualche boccetta di Badedas
Stasera per mangiare andrò all’inseguimento
Con un bastone appuntito
Di qualche rarissimo esemplare di
Paella dell’Esselunga
Sacrificherò lattine di Manzotin
Suonerò bottiglie di vino
Ne usciranno serpenti di grasso
Risvegliatisi dal sonno
Nella cappa della cucina
Accenderò un fuoco sfregando tra loro due
accendigas della Bic
Farò la danza della pioggia
Guardando il meteo registrato
Farò branco
con i vecchi che ballano
su 7Gold
Farò riti voodoo
Punzecchiando la mia bambola
Dolcemente, con amore
Ché ho paura di sgonfiarla
Dormirò nudo, sdraiato
Sull’erba voglio, la più verde
Coltivata illegalmente
Nel giardino del vicino”.
Ingrosso si sposta sulle polarità evoluzione/involuzione, minaccia/protezione, esterno/interno. Gli oggetti quotidiani appaiono animati: dove trovare la protezione migliore? Dentro o fuori? Dove sentirsi a casa?
CASA
Si spegne la cucina
Sfocata
dietro una fritta nebbia extravergine
t’intravedo
Brandisci un pesta carne
che scagli
con la pacatezza tipica di Bud Spencer
Una Guerra mondiale giocata da bambina
poi decenni di oppressione democristiana
liberati con foga
su una fesa di tacchino
Si spegne il ripostiglio
scopro ora che una luce ce l’aveva
Nascosto da 30 tovaglioli a metà
sbrilluccica
un pallone arancio tagliato
mi ci rivedo
È dentro una scatola
“Cose da riparare” ci hai scritto sopra
con un pennarello scarico
Ho avuto una volta, a 12 anni, la tentazione
di buttarmici dentro
temo proprio mi avresti inseguito
armata di ago e filo
Si spegne la camera da letto
ti ho visto donna per la prima volta
quando abbracciato allo stipite della porta
ti ho guardata
rimboccare le coperte alla parte destra del letto
un’ultima volta, con massima cura
Quella tua ninna nanna, ne sono sicuro
è nascosta
in quel piccolo grammofono sul comò
che non ha mai suonato e quindi
suonerà sempre quello che dico io
Si spegne il bagno, la sala e infine
il corridoio, no
non mi rassegno all’idea di non poterti tenere accesa
Luminosa
Come la tua casa, ogni casa
Agito scalmanato un mazzetto di poesie
come fossero 20 anni di bollette arretrate
pagate di corsa
in una volta sola
Non puoi venirmi a dire adesso
che tu non sei
Casa
e che devo mettermi a gattonare
alla mia età, che vergogna
inalando anche
quei pochissimi residui di polvere
memorizzandone l’odore
e poi i cassetti, la ruggine dei martelli
posso mettermi io a scorrere tutte le carte napoletane, trovare la più usurata
forse un asso
scoppiargli un bacio, trattenerlo
magari ingoiarlo?
non posso cercare questi e altri profumi
senza aver perso il vizio di trovarli nel tuo corpo
le braccia la cucina
le dita il ripostiglio
il ventre, le guance camera vostra
e poi il bagno, la sala, il corridoio
i tuoi occhi che mi seguono
e che adesso fissano un punto dove cerco di entrare io
che sono ingombrante
per starci dentro
ad un punto
non posso farmi spugna, alla mia età
dei tuoi profumi
non sono pronto
non sono pronto a consegnare le chiavi di casa
ad un padrone che non si palesa
che non l’ha mai fatto e
quando lo farà (se)
sarà per spremermi
lasciar gocciolare il succo dei miei profumi
nell’attesa che qualcuno, senza vergogna
inizi a gattonare.
Questa poesia è stata scritta dopo una telefonata con la nonna, nella quale il poeta ha compreso che si stava spegnendo lentamente: con lei se ne andavano anche i suoi profumi e la capacità di ricordarli.
Gattonare, crescere, lasciare andare: è necessario considerare la casa un luogo nel quale stare bene, ritrovare la propria intimità e portarsi dentro le persone amate, per superare la paura di morire, senza aver assaggiato il
TOPINAMBUR
Un impercettibile formicolio
Al braccio sinistro
Sintomo già visto ma
mai
In questa variante che insiste sul polpastrello
nettamente diversa da quella della notte precedente
è andata
guardo di sghembo il cucù appeso in cucina
segna la mia ora
per sicurezza verifico ma so già tutto
“impercettibile formicolio braccio sinistro insiste polpastrello infarto?”
Ed eccola
la sentenza
che ridacchia dei miei ultimi respiri
un 26enne in Alabama nel ’49 ha avuto esattamente i miei sintomi
e ha lasciato questo mondo
l’anno scorso
infarto
Tu mi dici “ma no amore, è uguale a ieri”
[…]Mi affolla la testa il marasma di cose
Che non ho fatto
Una su tutte emerge
Non so che sapore abbia il topinambur
[…]Mi fossi deciso ad assaggiare il topinambur avrei avuto
Abbastanza Vitamina H
Per alzarmi dal letto a 20 anni e fare 25 fermate di metro
Alle 8 del mattino
13 di tram e arrivare in Via Noto
laurearmi giusto giusto
trovare un lavoro degno
[…]Vivremmo in un appartamento molto più caldo
In Portogallo
Il tuo sogno
Saremmo su un divano molto meno deformato di questo
Affogherei ogni dolore nella Biotina di cui è zeppo
Il Topinambur
Posso rimediare
Lasciare il mondo senza quell’enorme rimpianto
Corro su Google, cerco
Topinambur spedizione in un giorno
[…]Per me sarebbe perfetto
Un bel bonus topinambur
Risolverebbe tutto
In realtà
Costa 6 euro al chilo, neanche tanto
Posso comprarmelo da solo
Ma no, che te ne frega a te
del topinambur
Sprechi soldi e tempo, poi non ne hai bisogno
Quando hai gli amici che secernono Vitamina H e costano meno
Ci sarà occasione, non è ancora il tuo momento
Ne manca di vita
A stasera.
Ingrosso dà valore alle relazioni e ai momenti quotidiani dell’esistenza, che va pienamente vissuta, affrontando le ansie in maniera terapeutica attraverso la scrittura e l’umorismo. Tramite la poesia si dà parole a un malessere che si esplica nel corpo, viene tradotta una richiesta di accudimento, un bisogno relazionale espresso a livello fisico che trova finalmente una via alternativa di espressione.
Da un punto di vista psicologico, secondo la Ugazio, situazioni percepite come una perdita di protezione e una minaccia di una separazione, reale o immaginaria, possono determinare l’insorgenza di sintomi: “la conversazione nelle famiglie dove si sviluppano i disturbi fobici è dominata dalla semantica della libertà” […] “le cui polarità principali sono ‘libertà/indipendenza e esplorazione/attaccamento[1]”. “Questo positioning fa sperimentare una grande paura nei confronti del mondo e dei pericoli da cui siamo circondati ma anche un pressante desiderio di esplorare[2]”. Attaccamento ed esplorazione vengono vissuti come inconciliabili ma entrambi irrinunciabili, e il soggetto si muove sull’asse paura/coraggio (V. Ugazio, 2018).
L’ansia da malattia è un malessere tipico dalla nostra attualità: “nel soggetto ipocondriaco c’è di solito una sopravvalutazione di ciò che può essere una minaccia esterna” […] “l’ipocondriaco è convinto di avere una o più patologie. Nella visione psicodinamica, sta sostituendo la sua angoscia in modo simbolico[3]” (A. Raggi, L. V. Fabj, 2021) con uno spostamento sul piano fisico di sofferenze interiori.
Ingrosso ci porta fuori e dentro: possiamo naufragare in un monolocale e sentirci a casa sotto la pioggia, perché è in noi che avviene il vero nubifragio e la ricerca di equilibrio. Il cambiamento porta a costruire dei confini permeabili, che facciano sentire protetti e pronti ad esplorare perché, nonostante le paure, l’esistenza non si ferma e va gustata: “ne manca di vita a stasera”.
[1] Ugazio V. (2018) Storie permesse, storie proibite. Bollati Boringhieri, Torino.
[2] https://valeriaugazio.com/teoria-delle-polarita-semantiche/disturbi-fobici/
[3] Raggi A., Fabj L. V., (2021) Psicopatologie ai tempi del coronavirus. Ansie, fobie, ipocondrie in Home Sweet Home a cura di A. Lombardo.