POESIA E AZIONE: LE PAROLE CHE RISARCISCONO
“Io mi accuso
di non aver strappato
il filo spinato che divideva i mondi”
(Antonella Bertoli, Io mi accuso)
Antonella Bertoli è laureata in Scienze della Formazione ed Educazione, con Master in Andragogia. Giornalista, insegnante, scrittrice e poeta ha vinto numerosi premi in concorsi di poesia e narrativa nazionali ed internazionali.
Ha pubblicato due sillogi poetiche Il tempo non aspetta ed Emozioni per l’uso, una raccolta di racconti Novelle del tempo perduto e di testi teatrali Se, come il viso si mostrasse il core e vari romanzi, tra cui Lucia, Giacomo e il camion della morte, Bianca, Nome di Battaglia Fior di Stelo, La Boje e Jessie White, storia d’amore, di lotta e di passione.
Si occupa di problematiche sociali, storiche e politiche che riflettono la sua formazione e i suoi interessi culturali e fa inoltrare il lettore nel suo ambiente, raffigurandolo in versi:
La mia terra[1]
Questa terra scorro
con lo sguardo di sempre.
Eoni sembrano passati da quando ci sono nata.
Distesa piatta e sconsolatamente desolata:
Bob Dylan era forse passato nelle terre tra Adige e Po
per cantare desolation road?
Da decine di anni io ci vivo
abituata ai suoi silenzi nebbiosi,
al gracchiare chiassoso dei corvi,
alle ruberie furbesche delle gazze
che spiegano le bianche e nere ali
ti ridono in faccia se le guardi volare.
Nel becco tengono il mio anello lucente
e se ne infischiano della mia corsa:
non riuscirò a raggiungerle mai
perché io ali non tengo e volare non so.
Se volgo lo sguardo vedo acqua e terra,
terra e acqua:
i fiumi scorrere lenti e placidi, insieme a canali e fossi,
gracidare di rane e afa che ti stanca le gambe
e ti affatica il cuore.
Eppure non c’è rumore tutto intorno,
in questo paesaggio che delinea uno skyline piatto, infinito
e sottile.
Qualche albero
interrompe la linea di demarcazione fra cielo e terra,
ma se apri gli occhi o li chiudi
rimane lo stesso velo di caligine.
Una caligine fatta di malinconia.
Serve un po’ di umorismo per contrastare la malinconia e valorizzare la scrittura, ma come si scrivono le poesie?
Poesie geometriche[2]
Si prendono le parole
si lanciano in aria
e quando ricadono
come bravi soldatini
si mettono in riga.
Così scrivi una poesia orizzontale.
Gira la ruota
e il topo che corre non raggiunge mai la meta.
Perché il cerchio non inizia e non finisce.
E tu come il topo
che gira e rigira
giri e rigiri ma
non arrivi da nessuna parte.
Così scrivi una poesia circolare.
Nota su nota
annodi le frasi
srotoli i fili intricati nella testa.
L’edificio finto si erge
lettera su lettera, l’ultima si arrampica.
Cade e ricade.
Piomba a terra.
E non si rialza.
Guarda in su.
Ed ecco la poesia verticale.
Antonella Bertoli rappresenta anche le sue esperienze relazionali e familiari: la narrazione assume una funzione curativa ed è uno strumento necessario per rielaborare eventi traumatici, che hanno segnato la storia della sua famiglia in modo indelebile, di cui rimangono sempre Ricordi e pensieri
Non sono pensieri, sono ricordi.
Non ho più pensieri.
Solo ricordi.
Le forme sformate di mia madre
il naso insanguinato di mio padre
reciso sull’asfalto.
Le urla di due bambini
abbandonati sul sedile in fiamme di una Topolino prestata.
Nessun soccorso,
auto moderne che sfrecciano di lato
e il caldo del fuoco che ci avviluppava.
Scampammo alla morte con due secchiate d’acqua:
due pulcini bagnati,
con in mano il naso del padre
cercando di riattaccarglielo.
L’ambulanza tardiva segnò il destino di una famiglia:
la sorella più grande in collegio,
noi piccoli a casa dei nonni,
la madre in ospedale insieme al padre.
Per anni e anni.
Ricordi e pensieri. Pensieri e ricordi.
Tristezze del passato. Che non si cancellano.
Il cervello non è un’anima pensante.
Il mio computer cerebrale registra le immagini e le riavvolge in pellicola.
Strano, ci sono pochi colori. Lingue di fuoco gialle e blu.
Il naso di mio padre e la sua faccia rossi di sangue.
Noi in bianco e nero. Figuranti di un film, girato e finito.
Mai proiettato nelle sale al pubblico.
Sull’asfalto rimase una striscia rossa.
E nel cuore un groppo nero di dolore.
L’autrice non si arrende di fronte alle difficoltà e porta avanti un percorso letterario di ricerca e sperimentazione e una poetica fatta di cura e di quesiti esistenziali.
Intraprende un processo terapeutico che inizia con l’elaborazione di Ricordi e pensieri personali e procede verso la poesia civile, come testimonianza di eventi storici da non dimenticare per risarcire le ferite del passato:
15 ottobre 1944
Il 15 ottobre 1944 era domenica a Villamarzana
ma le campane non suonarono a ricordare il dì di festa.
Alle 16 del pomeriggio,
le stesse campane suonarono a morto
fasciate dal silenzio
della paura di chi stava nascosto
sgomento nelle case e aspettava.
Aspettava gli echi sordi delle mitraglie,
aspettava invano che loro tornassero.
Le madri ingoiavano piano le lacrime
per il figlio imberbe:
15 anni ancora da compiere,
gli altri di soli 16 anni
chiusi dentro la casetta degli orrori
guardati a vista dai portatori del male.
“Ci laverem le mani col sangue dei partigiani”
cantarono i nazifascisti sgangherati
facendo uscire dalle case la gente del paese:
Primo Esempio!
Scrissero a fuoco sulla casa del barbiere:
Guardate gentaglia
cosa capita a chi colpisce chi comanda!
E l’orrore si affacciò sulla via con il tocco della prima campana:
DONNNNN
I primi sei prigionieri caddero
falciati dalla raffica di mitra accanto al muro,
girati di spalle perché le Brigate Nere,
28 italiani che spararono su 42 italiani!
non vollero farsi riconoscere o vollero umiliarli.
DONNNNN
altri sei colpi colpiti dai proiettili
si riversarono sui primi caduti.
Corpi sopra altri corpi.
E poi ancora
DONNNNN, donnn, donnnn, donnnn,
[…]Morti su morti.
42 vittime di una vendetta scellerata
quando già, chi sapeva, aveva parlato
e svelato il nome dei militari infiltrati
scoperti e uccisi dai partigiani.
42, solo uno riuscì a salvarsi,
che cadono nella fossa comune.
E la gente, paziente recuperò i corpi
nella fossa comune calati,
pianse i suoi morti
ricordò quei momenti
ma gli odii non si sono ancora spenti
se nel mondo i diversi ancora muoiono
dispersi, sgomenti, torturati, fucilati, ammazzati, violentati.
La Storia degli Eroi di Villamarzana
serva ad insegnarci che non c’è valore più grande
dell’amore.
Questo testo è stato letto a nome del Comitato Polesano per la Resistenza il 15 ottobre 2021 a Villamarzana, in occasione del ricordo della strage operata dai fascisti il 15/10/1944. Con la morte nella fossa comune l’identità personale dei protagonisti si intreccia con la vicenda storica, che riguarda i nostri antenati e i discendenti.
Possiamo riflettere sul legame tra poesia e guerra e se la letteratura possa lenire i mali già avvenuti e quelli della nostra attualità.
“Una poesia scritta da Hind Joudah da Al-Breij, campo di rifugiati a Gaza, si apre con questi versi[1]:
“Cosa significa essere un poeta in tempi di guerra?
Significa chiedere perdono…
scusarsi profondamente
con gli alberi bruciati
con gli uccelli senza nido
con le case demolite
con le lunghe crepe lungo le strade
con i bambini pallidi prima e dopo la morte
con i volti di ogni madre triste o assassinata.
Questa poesia appare sul sito Passages through Genocide, gestito da un gruppo di volontari che raccolgono, traducono e pubblicano testi di scrittori palestinesi che stanno affrontando il genocidio a Gaza, per diffondere le loro parole. Quindi, dopo la protezione, abbiamo l’insegnamento di saper chiedere perdono. Per amare e proteggere la natura e la nostra relazione con tutto ciò che è natura, compresi noi stessi e gli altri essere umani, così come gli esseri più che umani, dobbiamo scendere dai nostri troni antropocentrici che ci siamo costruiti e chiedere umilmente scusa, anche quando non siamo noi i responsabili della violenza e della distruzione. Questo è un profondo insegnamento e forse ancor più profondo proprio perché arriva dalle macerie appena crollate, mentre l’annichilazione di terre e persone continua” (T. Haberland, 2024).
“Siamo pozze di pioggia ai lati della strada:
ascolta piano se vuoi sentirlo,
quel battito astrale che ti ha plasmato”
(Antonella Bertoli, Oscillazioni astrali)
La scrittrice descrive la prima volta che le Donne ebbero la possibilità di votare, ricordando le emozioni di coloro che erano sempre state escluse dalla vita pubblica e da allora fu un momento, ma durò per sempre:
2 giugno 1946
In massa, in massa
andarono a votare.
Tremanti:
per la prima volta
le donne,
gli angeli del focolare,
le mamme e le nonne,
figlie, sorelle, mogli,
vedove e zitelle
presero in mano quella scheda
fino ad allora a loro vietata,
su cui apporre una croce
per decidere
di loro stesse del Paese,
per decidere finalmente
se vivere o morire.
Gli uomini le presero in giro:
in molti le presero da parte per imporre un nome e un voto,
un partito e un segno,
un re o un presidente,
maschio comunque,
maschile il voto, maschile il genere.
Ma per la prima volta,
tremanti ancora,
le mani presero la matita copiativa
brandendola come arma
contro una società
che le voleva schiave e serve di casa
e scrissero una croce rossa
rossa come il destino
rossa come il loro cuore,
rossa come la passione che le aveva
portate fin davanti a quell’urna.
Femminile il nome, femminile il genere.
Fu un momento, ma durò per sempre.
Ancora oggi permangono profonde ingiustizie e violenze di genere, di cui la poesia si fa portavoce per creare un cambiamento:
La sposa bambina
Un fiore di bimba
ho visto nel mio viaggio esotico
di turista occidentale.
Un fiore di bimba
con il bianco vestito
e un sorriso divertito.
A me ricordava la prima comunione,
ma quello di lei era un velo bianco da sposa.
[…]Era un fiore la bimba
e non sapeva che andava incontro
alla notte scura.
Ci andava senza paura
perché madri e padri e zii
dicevano che era normale
accarezzare un vecchio
che la doveva stuprare.
Aveva una bambola in braccio
e al petto la stringeva mentre avanzava
tra ali di braccia sconosciute.
Pensava fosse un gioco
ma la notte più non parlava
né più sorrideva.
[…]Aveva una bambola in braccio
la bimba senza più sorriso
con il vestito bianco macchiato di sangue
quando il rito tribale la consegnò alla terra.
“Lo storico Carlo Greppi, nel suo ultimo libro, evidenzia come il fare poetico e la poesia abbiano, almeno in una certa misura, il potere di salvare la vita”[2], sia attraverso il significato metaforico sia nel ruolo del poeta che immortala situazioni drammatiche e manda un messaggio alle generazioni.
Antonella Bertoli utilizza la poesia con una modalità catartica rispetto ai drammi dell’umanità e affronta problematiche importanti, come suo fratello Antonio, poeta, scrittore e uomo di teatro che si era occupato di processi di cambiamento: era un Terapoeta[3]. Antonio Bertoli aveva sviluppato una propria disciplina da lui denominata Psico-bio-genealogia[4], che indaga la trasmissione della malattia attraverso le generazioni per attivare dei percorsi di guarigione.
Dopo aver elaborato una lettura dell’Albero genealogico, Antonio prescriveva un Atto Poetico, cioè un’azione simbolica necessaria per interrompere il modello di ripetizione del passato. L’Atto Poetico fa emerge la parte di noi libera dai ruoli rigidi familiari (che portano a recitare un copione sempre uguale) e crea una trasformazione.
Fondamentale è dare valore alla poesia come azione e questo avviene anche nei testi di Antonella: la sua poesia agisce e sa risarcire il dolore individuale e collettivo.
Ciò che viene vissuto, osservato e conosciuto diventa scrittura: lo stile veloce e sonoro scorre fluido e trova una forte collocazione perché Antonella trasforma le parole in immagini, lasciando un segno nel lettore: la traccia del suo passaggio poetico.
[1] Haberland T. (2024), Poetura #3. La poesia ai tempi del geno/eco-cidio in Poetry Therapy Italia, Numero 10, 26 Luglio 2024.
[2] Greppi C. (2024) Un uomo di poche parole. Storia di Lorenzo che salvò Primo in Poetry Therapy Italia, Numero 10, 26 Luglio 2024.
[3] Psicobiogenealogia e immortalità https://gruppomacron.com
[4] Bertoli Antonio (2010) Psico-Bio-Genealogia – Le vere origini della malattia. Macro Edizioni, Cesena.
[1] Bertoli A. (2022) Il tempo non aspetta, Doge Edizioni, Rovigo.
[2] Bertoli A (2020) Emozioni per l’uso, Arti Grafiche Diemme.