POESIA COME MANIFESTO DI LIBERTÀ
“Lasciatemi qui
sul tuorlo della ferita
a slabbrare interi sistemi
tra il punto e virgola”
(Stefania Giammilaro, Errata Complice)
Stefania Giammillaro[1] (Messina, 1987) è avvocato e dottore di ricerca in Diritto Processuale Civile(UniPi). Performer poetico-teatrale, cura gli eventi letterari al Caffè Letterario Volta Pagina (Pisa) e alla Libreria Civico 14 (Marina di Pisa); presso quest’ultima organizza la Rassegna Poetica Un (A)Mare di Versi Dialoghi D’Autore.
Fa parte del Lit-blog Le Finestre de L’Irregolare, nel quale ha inaugurato un filone di articoli della Rubrica Poesia all’Opera, con lo scopo di mettere a confronto l’Opera lirica, la poesia e la filosofia.
Ha pubblicato: Metamorfosi dei Silenzi (2017), L’Ottava Nota – Sinfonie Poetiche (2021) ed Errata Complice (2024) e ha collaborato nello staff del cortometraggio Fidati di me, in veste di autrice del monologo finale (2024).
Il nucleo centrale della silloge poetica Errata Complice riguarda le relazioni affettive e familiari e l’evoluzione della scrittrice rispetto ad esse e al rapporto con se stessa.
Stefania Giammillaro utilizza la scrittura con una funzione terapeutica e, tramite la poesia, compie delle rielaborazioni psicologiche.
La poeta ci riporta la sua “dolente esperienza autobiografica; ma anche la caratteristica formale della sua trasposizione in versi lessicalmente drammatici (vi ricorrono sostantivi quali: ‘coltello’, ‘stimmate’, ‘spine’; espressioni quali: ‘gomiti viola’, ‘grumi di sangue’; e tanti verbi attinenti alla violenza fisica)” (F. Alaimo, 2024, da Prefazione al libro) espressivi e carichi di sofferenza.
Alcuni testi sono scritti in siciliano ed esprimono la potenza della scrittura di Stefania Giammillaro: sono versi che riguardano l’appartenenza, la separazione e il ritorno alle origini.
L’ottica sistemica relazionale evidenzia l’importanza dell’appartenenza al contesto socio-familiare per essere in grado di separarsi, in un processo di identificazione e differenziazione che pervade i processi di sviluppo e le relazioni.
“Il titolo della silloge Errata Complice, inoltre, ricalcando l’espressione errata corrige non senza un chiaro rimando di senso, riassume bene il percorso di recupero della propria autonomia e libertà, stigmatizzando senza incertezze una relazione sbagliata di cui l’autrice riconosce di essere stata complice” (F. Alaimo, 2024, da Prefazione al libro). Se ben riflettiamo, la scrittrice conia un termine che riguarda una complice errata, cioè che contribuisce al perpetuarsi della sofferenza, ma è anche capace di compiere una trasformazione.
“I titoli delle prime due sezioni (Il peccato, La colpa, che sottintende l’espiazione) tracciano una traiettoria etica che si riallaccia allo schema compositivo della tragedia greca” (F. Alaimo, 2024). All’interno di questo percorso incontriamo la coppia (e lo svolgersi del dramma affettivo), e la famiglia di origine (una sorta di coro), “in cui la vittima si emancipa finalmente dal giudizio della società dei benpensanti (compresa la cerchia parentale)” (F. Alaimo, 2024) e giunge alla sezione conclusiva della raccolta (Il perdono).
La disposizione e il contenuto delle poesie costituiscono metaforicamente un processo terapeutico, di cui i testi che seguono possono rappresentare una fotografia emotiva dell’inizio del percorso psicologico:
Hai votato la sacra bellezza
al tabernacolo di amanti senza tempo
Hai ingoiato scelte e rimorso la lingua
prima dell’ultimo bacio a strappo
stendendo panni di ghiaccio
su gomiti viola
appesi al balcone
delle marionette
Oggi dimentichi la tua forza
e se esiste giustizia che riscatta
la perdi al rigore dei birilli
nel travaglio di un parto, senza nascita
e della sua conclusione:
Nulla è perduto
tutto è adesso
Non sono viva nel ricordo
nell’ossessione
di quel che avrei potuto
La carne è in questo pizzicotto
che giro di traverso per sentirmi
quando non distrae il mare
La parola è ponte che attraversa
la possibilità di perdonarmi
allo specchio dei rimorsi
E se sanguino
sanguinerò per partorirmi.
Stefania Giammilaro attraversa un travaglio di un parto, senza nascita e comprende come partorirsi, cioè come separarsi e autogenerarsi: e se sanguino/sanguinerò per partorirmi.
La raccolta di poesie diventa quasi una sorta di terapia, che accompagna la scrittrice nel cambiamento. Le relazioni sono rievocate negli aspetti disfunzionali e “l’autrice, nel raccontare l’esperienza autobiografica di un rapporto amoroso insano (uno dei tanti in cui l’amante, verbalmente e gestualmente violento, considera il corpo dell’amata come oggetto di desiderio e di dominio, senza la grazia di uno sguardo autentico rivolto alla persona), sembra quasi innestare le sue parole nell’intrico spinoso di una memoria ancora sanguinante” (F. Alaimo, 2024, da Prefazione al libro):
Nun s’adduna
Nun rinesci a cunfunnirimi
ca sugnu bedda (sì)
Maliritta biddizza ca nun s’adduna
Ca mi vardi rintra l’uocci e mi capisci
mi piacissi cririri
ma veni sulu n’ menzu l’anchi a pussidirimi
E mancu mi vardi (no)
ma mi rici ca sugnu bedda (sì)
Maliritta biddizza ca nun s’adduna
Vastassi na canzuni di na stidda p’arricriarimi u cori
ma ti fa priautu u to silenziu ‘nzivatu
ca stavota nenti mi rici
mancu ca sugnu bedda (no)
Biniritta biddizza ca cancia ‘mmarazzi pa viriognia
e s’adduna sì,
ri essere ‘a cruci ri sta menzogna
Non s’accorge Non riesci a confondermi / che sono bella (sì) / Maledetta
bellezza che non si accorge / che mi guardi negli occhi e mi capisci
/ mi piacerebbe credere / ma vieni solo tra le gambe a possedermi / e neanche
mi guardi (no) / ma mi dici che sono bella (sì) / Maledetta bellezza
che non si accorge / Basterebbe la canzone di una stella per rallegrarmi il
cuore / ma preferisci il tuo silenzio sporco / che stavolta, niente mi dice /neanche che sono bella (no) / Benedetta bellezza che cambia abito per la
vergogna / e si accorge sì, / di essere la croce di questa menzogna
In questo tipo di legami il compagno è utilizzato nella funzione di oggetto-sé, che implica l’incapacità di riconoscere l’altro e, dunque, l’arresto dello sviluppo della capacità di amare (N. Mc Williams, 2011).
Dai testi compare un maschile potente e fragile allo stesso tempo, che potrebbe utilizzare meccanismi di difesa come l’idealizzazione e la svalutazione:
Lavarsi dai capelli fino al midollo
lacerando di dosso
ogni vana rincorsa
dall’affanno narciso
Scrostare il viso
da rughe palpabili
alle ferite degli addii
e passare l’aceto
sul congedo della delusione
Non c’è più differenza adesso
tra il riflesso e il pavimento
su cui riposa
Solo la rosa
può combattere le sue spine.
Emerge un grande senso di solitudine, nell’affrontare le proprie spine, e di vuoto… di Niente:
Scrivi sui muri
la cenere
di quel tempo
che più non infiamma
A volte improvviso
s’incastra
un granello in gola
Inaspettato
ricorda cosa
eri diventata
“Niente”
allo specchio
“Niente”
sulla carta
“Niente”
tra le braccia
“Niente”
Quel niente che dondoli in culla.
“Dopo avere acquisito la consapevolezza del proprio annullamento fisico-psichico a causa di una distorta dipendenza amorosa: Niente/ allo specchio/ Niente sulla carta/ Niente tra le braccia/ Niente” (F. Alaimo, 2024), la poeta riesce a ricostituire la propria identità e i legami affettivi, con dei confini più saldi.
L’autrice attua anche un percorso di svincolo dalla propria famiglia d’origine “essendo considerata dal padre esercitante un ruolo di protezione affettiva e insieme coercitiva, un’eterna bambina, il cui allontanamento volontario appariva uno strappo imperdonabile” (F. Alaimo, 2024):
Lo strappo si è compiuto.
Asciugo lacrime sul tuo volto
– né sarebbe stata l’ultima volta
Sopracciglia, palpebre e carezze
ricurve all’esterno
lasciano spazio
al rossore paonazzo dei lineamenti
Ora brillano i tuoi occhi verdi
Ingoio il salto-sussulto che non trattieni
che lacera in mezzo
l’immagine bambina
aggrappata a spalle di marmo
Mi accorgo saperti potente nella fragilità
ti ho visto piangere, papà.
Il processo di differenziazione comprende lo sviluppo di un rapporto diverso, che permette di cambiare i vecchi modelli (M. Bowen, 1979) e dare nuovi significati alla storia del legame tra genitori e figli. È Williamson (Williamson, 1982) che introduce un “nuovo” stadio nel ciclo vitale della famiglia, una importante fase di transizione che riguarda il superamento del confine gerarchico, che separa soggetti ormai adulti (tra i 30 e i 40 anni) dai propri genitori. Williamson si riferisce alla tematica legata all’intimidazione intergenerazionale, che ha origine dalla paura primordiale del rifiuto parentale, dell’abbandono e della morte, ma anche al timore di essere invasi e posseduti dallo spirito dei genitori. La paura si può intensificare per il rifiuto ad accettare il normale processo di invecchiamento e la morte, così la vulnerabilità dei genitori potrebbe rappresentare una forma di intimidazione finale. Questo “nuovo” stadio è qualcosa che ha a che vedere con l’intimidazione, il potere e la gerarchia, ma rappresenta l’occasione per riesaminare l’origine e l’uso del potere e delle sanzioni nel gioco relazionale tra le generazioni e per ridistribuire tale potere in forma egualitaria (Williamson, 1982). La possibilità di riequilibrare le dinamiche intergenerazionali è per Williamson alla base della maturità psicologica, dell’autonomia e autorità personale. La generazione adulta può offrire un sostegno, senza tuttavia assumersi la responsabilità emotiva, e tale aiuto può essere offerto “spontaneamente” e non come “pagamento di un debito”[1]. I rapporti possono essere migliorati con lo sviluppo di una relazione da persona a persona (M. Bowen, 1979): cioè creando una situazione di parità a livello psicologico con la prima generazione, in cui genitori e figli si ritrovino ad essere due persone che condividono le esperienze umane della vita e della morte.
Stefania Giammillaro fa un augurio alle nuove generazioni e interrompe i modelli familiari del passato, così che nessuno ti sia più destino:
Sono vecchie le tue scarpe, padre
ferite aperte sul passo stanco
antico lignaggio di un’educazione
votata al silenzio
duro a morire,
mai espiato
Sono vecchie le tue scarpe, figlio
logorate dagli attriti del capriccio
usurate dalle bestemmie
del tempo contadino
che rinneghi
tra mani intonse
di amari mestieri
Sono vecchie le tue scarpe, uomo
che senza condanna
ti avvii alla colpa
piegata dalle ginocchia arrese
alle macerie mai risorte
da possibilità sospese
Prova queste scarpe, bambino
che nessuno ti sia più destino
di un cuore di padre, amore di figlio
o dignità di uomo
che nessuno sia più di te vanto libero
abbraccio di fuoco
sul tuo cammino.
Il lettore si può identificare nelle storie narrate per le tematiche universali, affrontate in maniera catartica. “La poesia della poeta siciliana si inscrive, indubbiamente, nell’ambito della cosiddetta poesia confessional” (F. Alaimo, 2024) e anche in quello della Biblio-Poetry Poetry[1], come strumento di crescita e di cura.
Nella lettura sono coinvolti molti processi psicologici: il lettore entra in relazione con le poesie (e l’effetto che suscitano) e con l’autore (e la sua biografia): quali emozioni e proiezioni vengono attivati?
“Nella maggior parte degli articoli di settore le fasi delle dinamiche della biblioterapia vengono ridotte a tre: identificazione; catarsi; introspezione” […]All’interno delle Teorie della ricezione “la concezione che Jauss ha della catarsi è che si tratta di un movimento interiore il quale, partendo dall’identificazione con il protagonista dell’opera, porta il fruitore a compiere una esperienza dell’altro e a modificare perciò la propria identità”. […] La catarsi è una “forma di purificazione dalle emozioni, rinnovo dei pensieri e dei sentimenti di cui il lettore prende consapevolezza nella fase dell’introspezione dove, penetrando il significato del cambiamento subito, lo rende stabile, lo radica dentro di sé”[2] (M. Dalla Valle, 2018). Il lettore interagisce emotivamente con il testo e attua un percorso proiettivo e di interiorizzazione.
“I versi di Stefania Giammillaro assumono un alto valore testimoniale, utile ad altre donne che vivano una situazione identica e che potrebbero trovare una sorta di manifesto di libertà” (F. Alaimo, 2024):
Che se poi ti abbracci
non ti raccogli intera
ed è sempre difficile
stirare gli angoli
Che se poi ti abbracci
sei tutta per te
dalle guance all’alluce
e sul tuo equatore
un accento di libertà
La scrittrice descrive la capacità di autogenerarsi, prendersi cura di sé e darsi valore per ricostruire una personalità autonoma e trovare sul proprio equatore un accento di libertà.
L’opera di Stefania Giammillaro, dunque, dona ai lettori un testamento poetico ed esistenziale, che privilegia il cuore e le relazioni affettive: gli occhi servono a guardare / solo quando il cuore / non ha più nulla da donare:
Muta sugnu
comu pisci senza sangu
ca trema a schina ghigata
Littra strazzata
pi na lisca lissata
n’mezzu ai renti
Sula, sittata
ravanti a tavula cunzata
cu tutti i cumannamenti
Figghia sugnu
e matri mi ciamu
senza iabbu né maravigghia pi parenti
senza patiri i dulura
ra nascita
m’arricampu cunzumata
pi chiddi ra morti
sorti mavara
ca m’accumpagna
Matri sugnu
e figghia nasciu n’autra vota
pi vuatri ca nun cririti a na parola rata
surda e malacavata…
Nun viru nun parru nun sientu
ma vi lassu a testamento
na cunnanna
na ninna nanna d’amuri
ca comu sciroccu
ciusciando rina, vi ricuorda:
“L’uocci aggiuvanu a taliari
sulu quannu ru cori
nun c’è chiù nenti ri pigghiari”.
Muta sono / come pesce senza sangue / che trema a schiena piegata /
Lettera strappata / per una lisca lasciata / tra i denti // Sola, seduta /
davanti alla tavola apparecchiata / con tutti i sacramenti (apparecchiata
a puntino) // / Figlia sono / e madre mi chiamo / senza stupore né
meraviglia per i parenti / senza patire il travaglio del parto / vi raggiungo
consumata per quello della morte / sorte cattiva / che m’accompagna //
Madre sono / e figlia nasco un’altra volta / per voi altri che non credete
alla parola data / sorda e malfatta… / Non vedo, non parlo, non sento
/ ma vi lascio a testamento / una condanna // una ninna nanna d’amore
/ che come scirocco / soffiando sabbia, vi ricorda: / “Gli occhi servono a
guardare / solo quando il cuore / non ha più nulla da donare”.
[1] Dalla Valle M. (2023) Nasce la BIPO – Associazione Italiana di Biblioterapia e Poesiaterapia
Numero 008, 11 Luglio 2023.
[2] Dalla Valle M. (2018) Biblioterapia – storia, modello terapeutico, metodi e strumenti.
[1] come invece si ritiene che avvenga ad esempio da Boszomenyi-Nagy e da Framo.
[1] Suoi inediti sono stati pubblicati in diversi blog e sulla rivista Bubble’s Italia Magazine nella rubrica La terra della Poesia, curata da David La Mantia. Fa parte di diverse antologie delle quali si ricorda: Riflessi-Rassegna Critica alla Poesia Contemporanea, Edizioni Progetto Cultura 2023, e Dark way of Sicily – Voci Black, ilglomerulodisale 2024.